giovedì 18 maggio 2017

4t-11-La Scuola di Francoforte e Popper

Le slides e la Dispensa





























La Scuola di Francoforte

La Scuola di Francoforte è una scuola filosofica e sociologica neomarxista. Il nucleo originario di tale scuola, formato per lo più da filosofi e sociologi tedeschi di origine ebraica, emerse nel 1923 nell'ambiente del neonato "Istituto per la Ricerca Sociale" (Institut für Sozialforschung) dell'Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte sul Meno, in Germania, sotto la guida dello storico marxista Karl Grünberg. Il nucleo successivamente si ampliò per numero di studiosi ed ambiti di ricerca. Il primo periodo di attività della scuola si inquadra nel primo dopoguerra, tra gli anni venti e gli anni trenta; all'avvento del nazismo il gruppo lasciò la Germania e si trasferì dapprima a Ginevra, poi a Parigi e infine a New York, dove continuò la sua attività. Dopo la seconda guerra mondiale alcuni esponenti (tra cui AdornoHorkheimer e Pollock) tornarono in Germania per fondare un nuovo Istituto per la ricerca sociale.
L'espressione "Scuola di Francoforte" è una denominazione informale usata per designare quei pensatori che furono affiliati o influenzati dall'Istituto per la Ricerca Sociale: non fu mai la denominazione di alcuna istituzione, né i suoi appartenenti la usarono per descrivere sé stessi.
Il tema principale, oggetto di studio dell’Istituto, fu quello della cosiddetta “teoria critica della società”. Con questa espressione si indica l’elaborazione intellettuale tesa a criticare l’ideologia capitalistica, evidenziandone le falle interne e con l’intento di offrire modelli d’interpretazione alternativi. Pur condividendo l’apparato teorico centrale, ognuno degli studiosi appartenenti alla Scuola di Francoforte puntò l’attenzione su aspetti diversi del problema.



Max Horkheimer (Stoccarda,1895 – Norimberga1973), fu il fondatore dell’Istituto  di ricerche sociali presso Francoforte, nonché principale esponente delle “teoria critica”. Con l’avvento del nazismo si trasferì prima a Parigi dove, con la collaborazione di Fromm Marcuse, redasse gli Studi sull’autorità e la famiglia. In quest’opera sostenne che la famiglia è il luogo sociale in cui si crea e si rafforza il consenso dominante, frutto del capitalismo. Nel periodo statunitense scrisse un altro libro, “Eclisse della ragione”, in cui criticò la società dominata dalla tecnica.  Le teorie elaborate da Horkheimer derivano in parte dalla conoscenza approfondita della teoria marxista e dall’uso della psicanalisi.

Erich Fromm  (Francoforte sul Meno,  1900 –Locarno,  1980). Proveniente  da una famiglia di religione ebraica molto osservante, iniziò la sua carriera come psicoanalista freudiano ortodosso a Berlino. Con lui viene interamente trattato il tema della società capitalistica, in rapporto alla personalità dell’individuo, grazie all’uso della psicanalisi. Secondo Fromm, la società attuale non riesce, per sua natura, a soddisfare i naturali bisogni dell’individuo, necessari per la sua realizzazione. Compito della psicanalisi è quello di aiutare il singolo a riconoscere le proprie esigenze e, attraverso la creatività, a realizzare se stesso. Alcune opere da lui scritte sono L’arte di amare”, Dalla parte dell’uomo” e “Avere o essere”.

Leo Löwenthal ha operato prevalentemente nel campo della sociologia della letteratura. I suoi studî, dedicati soprattutto alla letteratura "borghese" europea, intendono mettere in evidenza le trasformazioni storiche del rapporto tra individuo e società e, in particolare, le "contraddizioni" a cui l'individualismo borghese sarebbe andato incontro con lo sviluppo della "società capitalistica".

Theodor Adorno  (Francoforte sul Meno 1903 – Visp 1969), come la maggior parte  dei suoi colleghi, dovette abbandonare Francoforte in seguito alle politiche repressive naziste, per fuggire prima a Parigi e successivamente a New York. Assieme a Horkheimer scrisse il libro “Dialettica dell’Illuminismo”. Il pensiero sociologico che perseguì ruotò attorno a tre punti:
  • il concetto di razionalità strumentale, ovvero l’abuso degli ideali illuministi da parte del capitalismo, con lo scopo di aumentare il consenso e il controllo sull’uomo;
  • l’industria culturale, cioè la sistematica opera di omologazione e appiattimento delle diversità degli uomini, al fine creare bisogni sempre più uguali con l’aiuto indispensabile dei mass media;
  • il mito della personalità autoritaria, riprendendo le idee di Horkheimer, che dà alla famiglia la maggiore responsabilità nella creazione del consenso.
Il processo di industrializzazione di ogni aspetto della vita sociale del nostro tempo porta, secondo Adorno, ad una crescente e ineluttabile alienazione della soggettività dell'artista alle richieste livellatrici della cultura industrializzata; tale alienazione è studiata in rapporto ai principali fenomeni musicali contemporanei. Nel pensiero di Adorno confluiscono varî filoni e diverse esperienze. È presente, come motivo di fondo, l'influenza marxistica, soprattutto assorbita attraverso l'opera critica di Georg Lukàcs. Ma vanno anche ricordati i contributi della tradizione hegeliana ortodossa insieme con l'influsso, onnipresente, del pensiero di Freud. In quanto riconduce tutte le proprie analisi ad una ricerca intorno al significato profondo del nostro tempo, così come è possibile coglierlo nella musica dodecafonica, nell'arte astratta o nel tipo di tecniche produttive prevalenti. Adorno può a ragione venir considerato un moralista e nello stesso tempo un sociologo della cultura, nel senso proprio del termine. 


Herbert Marcuse (Berlino 1898 – Starnberg1979) di famiglia ebrea, fu un eminente filosofosociologo e politologo tedesco naturalizzato statunitense dopo la fuga dalla Germania di Hitler. Diede un forte impulso alle rivolte studentesche del ’68. Le sue  idee muovevano da un’esigenza di affrancamento dall’ordine soffocante della società industriale. Pur partendo da idee marxiste, se ne distacca quasi immediatamente, non condividendo la classica contrapposizione tra borghesia e proletariato (quest’ultimo già ben inserito nella società dei consumi), ma vedendo negli studenti e nei soggetti emarginati gli elementi più eversivi. Tra le sue opere si ricordano “Eros e civiltà” e “L’uomo a una dimensione”.


Il mutamento radicale della realtà è l’impegno della Scuola di Francoforte. Essa prende da Hegel e da Marx la dimensione dialettica totalizzante perché vuole così far emergere quelle che sono le contraddizioni della realtà, cioè la realtà è un procedimento dialettico dove di fatto si rifiuta l’armonia della sintesi ed è totalizzante perché si vuole guardare la realtà nella sua globalità e non in studi analitici particolari. Dalla tradizione freudiana vengono colti in particolare i meccanismi di introiezione dell’autorità.
Il tema dell’autorità è il tema principale del XX secolo, dovuto principalmente al recente vissuto delle dittature e dei totalitarismi: l’Imperialismo, il Nazismo, il Fascismo. L’altro evento storico importante moderno è la rivoluzione d’ottobre in Russia che per la Scuola di Francoforte è una rivoluzione fallita perché di fatto è solo un’altra faccia del Capitalismo. Viene poi trattato il problema della Società opulenta, ricca, tecnologica e burocratica a seguito della rivoluzione industriale. In questa, l’uomo che è il soggetto della realtà e che ha sviluppato scienza, tecnologia, burocrazia per dominare il mondo è a sua volta da esso dominato (schiavo del benessere, dei soldi, del consumismo, del successo, ecc. diremmo oggi).
Max Horkheimer,  nel suo libro del ’47 “La crisi della ragione”, individua proprio il concetto di razionalità del mondo occidentale. Egli distingue due tipi di ragione: la ragione oggettiva e la ragione soggettiva. La ragione soggettiva è quella ragione che si pone come essenza della realtà, come sostanza della realtà, come criterio di conoscenza della realtà, come criterio per agire nella realtà, come verità. È la ragione dei grandi sistemi filosofici: Platone, Aristotele, la Scolastica medioevale, l’hegelismo tedesco. Di contro nella cultura occidentale si è sviluppata una ragione soggettiva. La ragione soggettiva ha eliminato la riflessione sui fini, sul senso della realtà. Una ragione che si è vista solo nella sua funzione strumentale, funzionale. Il mondo moderno con il suo concetto di razionalità soggettiva ha risolto la razionalità nella funzionalità. Ciò che è ragionevole, ciò che funziona porta ad una analisi dei mezzi, non certo dei fini. Allora, se la ragione è funzionalità, il sapere si risolve nella tecnica, nel saper fare qualcosa. Se la ragione diventa tecnica la verità non può che essere l’utilità. È vero solo ciò che serve in funzione di qualcosa.
Theodor Adorno, sempre nel ’47, esce con la sua opera più importante: “La dialettica dell’illuminismo”. Il tema dell’opera è verificare cosa intendono i vari autori con la parola illuminismo. L’illuminismo non è solo il secolo dei lumi, ma principalmente contiene l’idea che l’uomo ha in mano la razionalizzazione del mondo. Il mondo reso plasmabile dalle mani dell’uomo, non più subito, ma governato. Certamente l’illuminismo è anche il secolo dei lumi e dove la funzione razionalista raggiunge il suo apice e apre alla società moderna industrializzata. Da quale sentimento infatti nasce la scienza, se non dal bisogno dell’uomo di dominare la natura. Dominio sulla natura che poco prima aveva cercato disperatamente di fare con la magia e le sue formule magiche segrete che poi invece è riuscito meglio a fare con le formule matematiche a disposizione di tutti.
Qual è l’effetto che ne è venuto fuori, qual è l’eterogenesi dei fini di questo pensiero, cioè le «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali»? Che l’uomo da soggetto di questo processo ne è diventato l’oggetto. Non è più l’uomo l’essere fatto a immagine e somiglianza di Dio e che si differenzia in maniera più che straordinaria ed evidente da qualsiasi altro elemento della natura, tanto da essere qualificato come “capolavoro di Dio”. L’uomo della modernità invece è semplicemente uno dei tanti pezzi con i quali è fatta la natura, buono da utilizzare o da scartare in funzione di ciò che serve. L’uomo diventa manipolabile come qualunque altro essere esistente. L’illuminismo ha in se questa logica autodistruttiva: voleva liberare totalmente l’uomo, ma invece lo schiavizza e lo distrugge. L’illuminismo ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura di renderli padroni, di liberarli da tutte le figure che gli stanno sopra, dai padri padroni, dai regnanti, dai tiranni ed infine dallo stesso Padre eterno  che non ci permettono di diventare adulti e maturi e soffocano la nostra libertà di crescere e progredire, la libertà di prendere in mano noi stessi la nostra esistenza. [Proprio qui vengono gettati i primi semi dell’idea che è già nella propria famiglia che inizia il soffocamento della personalità  e della libertà con un tipo di educazione arcaica e oppressiva e che invece dovrebbe essere in mano a professionisti dello Stato – Ndr].
 “Ma la terra interamente illuminata [dall’illuminismo], dice Adorno, splende all’insegna di una trionfale sventura”. Grazie all’illuminismo si è giunti ad Auschwitz.  Ancora oggi questa osservazione di Adorno non è tanto digerita, pensate a quando Adorno la espresse nel 1947.
Italo Mancini  (Schieti1925 – Urbino1993 - sacerdote e filosofo, che non fa parte  della scuola di Francofortein un suo libro dice: ”secondo la lettura fatta da Adorno, che vede nello schematismo kantiano (il vertice filosofico dell’illuminismo) il tramite della ragione manipolante e scellerata che procede dalle orge terrificanti del marchese De Sade alla volontà di potenza di Nietzsche, alla cultura di Auschwitz, l’emblema del nazionalsocialismo. La ragione diventata finalità senza scopo. L’uomo è solo un pezzo di natura, non ha un senso, non ha un fine e per questo lo si può adoperare per qualunque scopo (Tratto da Italo Mancini Frammento su Dio”, Andrea Aguti (a cura), Ed. Morcelliana 2000).
La Scuola di Francoforte non è costituita da teologi o moralisti, ma dai nipotini degli illuministi che sono neomarxisti e vogliono usare la ragione per capire la realtà. “Questa ragione scientifica basata sull’oggettivizzazione della realtà, che si proponeva di far dominare il mondo dall’uomo precipita nel suo opposto. L’uomo è diventato oggetto di analisi, di dominio.
Posso quindi pensare di poter modificare l’essere umano. Se la mia intelligenza arriva a poter pensare di poter modificare l’uomo e la sua vita e al limite sconfiggere la morte, vuol dire che posso farlo. Con loro siamo di fronte ad un nuovo genere di barbarie, un nuovo genere di vandalismo, quello dell’illuminismo totalitario, di chi ha preso la ragione e ne ha fatto uno strumento di dominio, proprio perché la ragione ha perso qualsiasi scopo. Nell’Odissea di Omero, c’è la dimensione dell’uomo borghese occidentale che obbliga i suoi uomini a lavorare, cioè a continuare a remare tappandosi le orecchie all’arrivo delle sirene per non rimanere da loro incantati e proseguire il viaggio, ma lui si fa legare all’albero maestro per sentire il loro canto, capirlo e goderne, ma senza deviare dal suo cammino, legato anche lui al suo ruolo alienante.
Anche Max Horkheimer  ritorna sui suoi passi e critica l’idea marxista, dichiarando di aver abbracciato il marxismo più per reazione allo strapotere di pochi che per vere e proprie convinzioni ideologiche.  Horkheimer fa notare che Marx si era illuso che esistesse una identità fra giustizia e libertà, mentre di fatto questo rapporto è sempre dialettico. Più garantisci giustizia, più limiti la libertà degli altri, più garantisci libertà più avrai ingiustizie.
Il marxismo, lo dirà poi anche Adorno, crea una realtà immobile perché costringe ad uno schema che impedisce in realtà una vera rivoluzione. La rivoluzione che si realizza nella Russia di Stalin è una rivoluzione fallita, mancata. Una rivoluzione che semplicemente esprime l’altra faccia del Capitalismo, perché rappresenta sempre una realtà burocratizzata, organizzata, non libera, dove pochi dominano i molti. Negli ultimi momenti della sua vita Horkheimer si apre addirittura ad una dimensione teologica. È una vera e propria negazione dell’ideologia materialista dalla quale era partito. Non è certo il Dio cristiano, per Horkheimer, Dio rimane qualcosa di indimostrabile, ma che comunque non è proprio un Dio che rimane impassibile alla tragedia umana ed estraneo al dolore dell’uomo, questo è impensabile, ma è un Dio “nostalgia” che gli fa dire e gli fa sperare che l’assassino non trionfi sull’innocente, che esista una giustizia. Anche se siamo nella dimensione della teologia negativa, nella quale non si dice nulla di Dio, però ci dice una cosa e cioè che questa realtà non è più così assolutizzata come era prima, questa realtà non è l’ultima realtà.
Theodor Adorno si fa portatore di questa idea della dialettica, l’emergere dei contrasti, ma in senso negativo. Cioè la dialettica deve rimanere negativa, non si può operare questa sintesi pacifica proposta dal nichilismo perché si cerca di armonizzare ciò che nella realtà non è armonizzabile. Si cerca di razionalizzare ciò che è irrazionale, si cerca di unificare quello che per sua natura è diverso, ciò che è diverso non può che rimanere diverso. Allora questa opera mistificatrice combinata dall’hegelismo ha ingannato il mondo.
Adorno dirà in un celebra passo della sua opera: “Auschwitz ha dimostrato inconfutabilmente il fallimento della cultura, il fatto che potesse succedere in mezzo a tutta la tradizione della filosofia, dell’arte, delle scienze illuministiche, dice molto di più che essa, lo spirito, non sia riuscita a raggiungere e a modificare  gli uomini”.
È la filosofia che ha sempre giustificato la realtà, che ha sempre cercato di spiegare la realtà, che non ha fatto emergere le contraddizioni della realtà e che ci ha così portato ad Auschwitz. Tutta questa cultura che ci ha portato a questo è allora da buttare. Bisognerà cominciare tutto daccapo. Se questo tentativo di dominio dell’uomo ci ha portato a questo è ovvio che abbiamo sbagliato strada. Per Adorno l’hegelismo e il marxismo eternizzano il presente, bloccano qualsiasi cambiamento radicale, occultano e non permettono che emerga ciò che invece la dialettica negativa metta in luce: l’individuale, il diverso, il marginale, l’emarginato.

Adorno poi punta il dito su quella che chiama l’“industria culturale”. Cioè vuol dire che questo sistema che si è creato ha uno strumento privilegiato che è l’impero dei “media”, che rappresenta lo strumento di controllo della coscienza delle masse più subdolo che si possa immaginare. Attraverso lo strumento dei mass media, il sistema alimenta sé stesso. Il termine usato di “industria culturale” è molto centrato perché dà subito l’idea che l’industria sia al servizio del consumatore, ma che in realtà il consumatore è la massa oggetto del sistema. L’uomo è solo l’oggetto, l’uomo è schiacciato, gli uomini sono appiattiti, l’uomo è un essere generico eteroguidato, gli uomini  sono una massa informe (possibilmente senza valori e senza volontà). Anche il divertimento è stato strumentalizzato (guidato, teleguidato, orientato, drogato) mentre dovrebbe essere per sua natura un momento di libertà. Il tempo libero invece è guidato nei modi, nei tempi, negli orari. Una delle cose più diaboliche che il sistema dell’industria culturale fa è garantire sè stesso. È lo stesso sistema che alimenta la sua immagine di meccanismo necessario per il benessere di tutti.



Uno dei capolavori di Herbert Marcuse è considerato Eros e Civiltà del 1955, opera rivoluzionaria, nella quale il pensatore tedesco formula l'idea di una società “liberata”, non repressiva, confutando alcune tesi di Freud, espresse nell'opera "Totem e tabù", in aperta polemica con i neo-freudiani e con Fromm.
Nell'opera Il Marxismo sovietico, Marcuse osserva come anche in Unione Sovietica il mutamento dei rapporti di produzione sia stato seguito da una perdita di coscienza rivoluzionaria, finendo per diventare un'altra espressione, accanto al capitalismo, di quella società industriale inevitabilmente portatrice di una morale repressiva.
Su questo punto egli condivide almeno in parte, il pessimismo di Adorno e di Horkheimer riguardo al rapporto tra progresso tecnologico ed emancipazione umana.
Nella critica della "teoria della civiltà" di Freud, Marcuse contesta la sua affermazione che  la civiltà inizia quando gli uomini per convivere (o sopravvivere) sostituiscono al "principio del piacere" il "principio di realtà"; l'uomo reprime i propri istinti, le proprie pulsioni, opera quindi il differimento dei piaceri e, in sostituzione di questi ultimi, sublima attraverso tutte quelle attività che sono comunemente considerate "frutto della civiltà" (arte, cultura, lavoro, ecc.). La società impone, quindi, una modifica dell'essenza degli istinti, dirottandoli dalla sfera sessuale a quella del lavoro. Per Marcuse, Freud ha scambiato per caratteristica generale un assetto transitorio che configura un dominio attuato attraverso forme di violenza in un primo momento e, successivamente, con l'amministrazione totale della società.
Ne “L’uomo a una dimensione” 1964. Herbert Marcuse inizia la sua opera forse più  importante.  Marcuse denuncia il carattere fondamentalmente repressivo dalla società industriale avanzata che appiattisce in realtà l'uomo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.
Nelle moderne democrazie occidentali i valori, che una volta erano propri di una parte della società (la classe borghese), si sono diffusi a tutti gli altri soggetti sociali, che si appiattiscono sull'ordine esistente: è in questo quadro che Marcuse elabora il concetto di tolleranza repressiva, ovvero il momento nel quale la libertà va a coincidere col permissivismo.
Nelle democrazie occidentali, a livello teorico, si parte dall'assunto che nessuno possiede la verità assoluta, allora la scelta viene affidata alla collettività, che può scegliere liberamente tra diverse interpretazioni politico-etico-culturali della realtà; è proprio a questo punto del processo "democratico" che si innesca il meccanismo repressivo: l'amministrazione totale dell'esistenza da parte della società impedisce, di fatto, una scelta che sia veramente libera, il contrario del relativismo democratico, ovvero un diffuso conformismo. In altre parole all'uomo viene data la possibilità di scegliere, ma non vengono forniti gli strumenti per farlo in modo veramente indipendente.
Anche il pensiero filosofico è asservito al senso comune, è unidimensionale. Marcuse critica alcune delle più importanti correnti del pensiero novecentesco sulla base dell'incapacità da parte di queste dottrine di opporre un radicale rifiuto al sistema esistente. La ragione ed il linguaggio non sono più strumenti in grado di assolvere al compito principale della filosofia, cioè trascendere la realtà esistente, restando fedele al contenuto universale dei concetti. La società tecnologica avanzata riduce tutto a sé, ogni dimensione "altra" è asservita al potere capitalistico e ai consumi, conquistata dal dominio "democratico" della civiltà industriale; una società che condiziona i veri bisogni umani, sostituendoli con altri artificiali.

Herbert Marcuse è stato uno dei pensatori più influenti del Novecento, soprattutto è nota la passione che per lui avevano gli studenti in rivolta nei tardi anni sessanta. Il suo pensiero, intrinsecamente anti-autoritario, rispecchiava la volontà di cambiamento radicale che animava la protesta dei giovani in tutto il mondo occidentale; il suo rifiuto di ogni forma di repressione, il suo secco no alla civiltà tecnologica (in entrambe le declinazioni liberal-capitalistica e comunista-sovietica), lo resero il filosofo del "grande rifiuto" verso ogni forma di repressione. Egli può essere infatti definito solo in modo generico un pensatore marxista, poiché, di fronte al fallimento, durante il XX secolo delle teorie di Marx, col dileguarsi dello scontro di classe in occidente, intuì che la lotta non era finita, ma si era solamente spostata nel terzo mondo, oppresso dall'imperialismo occidentale, sul quale anche le classi emarginate del "primo mondo" esercitavano una oppressione, pur accontentandosi delle briciole del banchetto capitalista.

Per i sessantottini fu anche molto importante il concetto di "liberazione dell'eros", inteso non solo come liberazione sessuale, ma come liberazione delle energie creative dell'uomo dal condizionamento della società repressiva, per la creazione di una società più aperta, fatta di uomini liberi e solidali tra loro. Eros inteso anche come "bello", in opposizione al concetto di dominio della società tecnologica; egli utilizzò l'espressione "società come opera d'arte", ovvero una società più autentica, veramente libera, dominata dalla fantasia e dall'arte come dimensione fondamentale di ogni forma di convivenza.


Si può dire che Fromm mosse i suoi primi passi riflettendo su due supposti fallimenti: la teoria marxista e la dottrina psicoanalitica. La teoria marxista non sembrava più in grado di spiegare la storia, mentre la critica fondamentale che Fromm muove a Freud è quella di aver ridotto l'esistenza umana al soddisfacimento libidico, un qualcosa che accade non universalmente, ma solo all'uomo alienato della società dei consumi. Il culmine della filosofia politica e sociale di Fromm si trova nel suo libro La società sana, pubblicato nel 1955. In esso Fromm poneva argomenti a favore di un socialismo democratico, di stampo umanista.
Egli divenne quindi uno dei fondatori del movimento del Socialismo Umanista, promuovendo la conoscenza dei primi lavori di Marx e del suo messaggio umanista presso il pubblico negli USA ed in Europa occidentale. Ma Fromm è particolarmente noto per due suoi saggi che ora vediamo.

In questo saggio, pubblicato nel 1957, il filosofo tedesco intende mostrare come l'amore sia una vera e propria arte e, in quanto tale, necessiti di disciplina, concentrazione, pazienza, supremo interesse e umiltà.
Non si tratta di un "manualetto di istruzioni", come specifica lo stesso autore nel prologo, ma la dimostrazione di come ogni tentativo di amare è destinato al fallimento senza uno sviluppo attivo della propria personalità e non ci può essere amore senza la capacità di amare il prossimo con fedeumiltà e coraggio.
Nel corso dell'opera il sociologo analizza quindi l'amore "autentico", con frequenti richiami alla mitologia greca e all'Antico Testamento; inoltre descrive le varie sue devianze e surrogati come il sadismo e il masochismo. Non mancano all'interno dell'opera alcune critiche a Sigmund Freud e alla sua concezione patriarcale del sesso.
Individuate da Erich Fromm queste due modalità di vita sono state riprese dalla  Psicologia Analogica come punti fondamentali nella formazione della personalità, con la scoperta che questo aspetto evolutivo si forma fin dai primi mesi di vita e ci accompagna per la tutta la vita con forti influenze sul comportamento.
La modalità dell’Avere, secondo Fromm, è più indicata alle società consumistiche, dove il possesso è una condizione essenziale. Il presente è il prolungamento dei ricordi posseduti. La modalità dell’Essere, più emotiva, è rivolta all’osservazione delle cose, il tempo futuro riveste una maggiore importanza che il passato. E’ importante cercare di variare il proprio comportamento verso quest’ultima modalità.
Sintetizzando l’esempio portato da Fromm:
Un “Avere” deve possedere un fiore, lo coglie, lo fa suo. Un “Essere” ne contempla la bellezza, godendo di questo, percependolo per immaginare altri orizzonti.(Avere o essere? – 1976)
Un lavoro molto importante di Fromm è Fuga dalla libertà, del 1941. Nella recente storia d'Europa, con particolare riferimento al nazismo, ma non solo, si può constatare che l'uomo è disposto a barattare la propria libertà con l'appartenenza sociale a formazioni collettive, in base al timore della solitudine, la quale però sembra più una condanna o, quantomeno, una condizione storica dell'uomo moderno che già matura al livello dei legami primari come la famiglia. Questa degenerazione, tipica del modo di vita borghese, è accompagnata da un progressivo allontanamento dalla natura che è un vero e proprio sradicamento. Si ha così una doppia frattura: l'uomo è lontano dal mondo, ma è anche sempre più lontano da sé stesso che di quel mondo naturale sarebbe comunque espressione.


Il pensiero di Fromm, contrariamente a quello dei filosofi più radicali della Scuola di Francoforte, ha incontrato grande successo di pubblico ed i suoi libri hanno raggiunto vendite record anche in Italia, sia per la semplicità del linguaggio, sia per l'attualità degli argomenti, sia per l'obiettivo messaggio di speranza che esso conteneva, incentrato sulla speranza messianica di un possibile socialismo comunitario. Per questo ricevette dure critiche da Marcuse ed all'interno della Scuola, ma venne accolto con favore persino da ampi settori del mondo cattolico. Questo ha anche contribuito alla formazione di una ideologia cattocomunista che tuttora è presente in quegli ambienti dove si privilegiano gli interventi sociali e si accantona la propria formazione religiosa, quella che dovrebbe dare il vero senso alla carità.


La logica della scoperta scientifica” è la sua prima opera che lo caratterizza, così come sarà la sua ultima opera uscita nello stesso anno della sua morte “Tutta la vita è risolvere problemi”.  Egli è noto per il rifiuto e la critica dell'induzione, per la proposta della falsificabilità come demarcazione tra scienza e non scienza, la difesa della "società aperta".
Nato a Vienna nel 1902 da una famiglia della media borghesia di origini ebraiche, Karl Popper studia presso l'Università di Vienna. Nella prima gioventù rimane attratto dal marxismo e membro del Partito Socialdemocratico d'Austria. Deluso dalle restrizioni filosofiche imposte dal materialismo storico di Marx, abbandona l’ideologia marxista, rimanendo da allora in poi un sostenitore del liberalismo sociale per tutta la sua vita.
In particolare il 1919 è l'anno che lo costringe a rivedere le sue convinzioni ideologiche: assistendo ad una conferenza di Einstein a Vienna. Popper viene colpito dal modo in cui Einstein andava alla ricerca di esperimenti cruciali, sfidando gli scienziati a sottoporre la propria teoria generale della relatività alla prova spettroscopica. « Sentivo che era questo il vero atteggiamento scientifico. Giunsi così, sul finire del 1919, alla conclusione che l'atteggiamento scientifico era l'atteggiamento critico, che non andava in cerca di verificazioni, bensì di controlli cruciali; controlli che avrebbero potuto confutare la teoria messa alla prova, pur non potendola mai confermare definitivamente. » (K. R. Popper La ricerca non ha fine. Un'autobiografia intellettuale (1976), Armando, 1997)
Nel 1928 consegue il dottorato in Filosofia e tra il 1930 e il 1936 insegna nelle scuole secondarie. Nel 1937, in seguito all'avvento del nazismo decide di emigrare in Nuova Zelanda per via delle sue origini ebraiche, e diventa lecturer di filosofia presso l'Università di Canterbury a Christchurch. Nel 1946 si trasferisce in Inghilterra, dove insegna logica e metodo scientifico alla London School of Economics e diventa professore nel 1949.
Sviluppa intanto una forte amicizia con l'economista liberale della scuola austriaca Friedrich von Hayek. Condividendo l'idea che le ideologie del nazismo e del socialismo siano accomunate dallo stesso errore metodologico di fondo.
Proclamato baronetto dalla regina Elisabetta II nel 1965, Karl Popper nel 1976 è ammesso come membro alla Royal Society. Egli si ritira dall'insegnamento nel 1969 ma rimane intellettualmente attivo fino al 1994, anno della sua morte. Durante la sua vita Popper viene insignito di diversi riconoscimenti importanti e prestigiosi.
Popper afferma in un suo scritto: Penso di aver risolto un problema filosofico fondamentale, uno dei tanti, il problema dell’induzione. Questa soluzione è stata estremamente feconda perché mi ha permesso di risolvere un gran numero di altri problemi filosofici. L’induzione non esiste e la concezione opposta è un errore belle e buono”.
Questo è Popper epistemologo che critica in maniera radicale l’induzione. Che cos’è l’induzione? L’Induzione è un ragionamento filosofico che parte dal particolare per risalire all’universale. Si fanno una serie di osservazioni di casi particolari, se ne colgono gli elementi comuni e si riconduce quindi la molteplicità del reale ad una legge universale, dal particolare all’universale. L’induzione è un procedimento tipico della scienza moderna. Infatti il metodo scientifico elaborato da Galileo Galilei partiva proprio dall’osservazione (metodo osservazionista) delle “sensate esperienze” (sia dei sensi che di sensati criteri). Inoltre noi possiamo osservare scientificamente un fenomeno solo se questo è quantificabile o matematichezzabile. Ricordiamo che per esempio un oggetto ha in se dei dati misurabili e quindi incontestabili o inconfutabili (altezza, lunghezza, profondità, peso, forma, ecc.) nei quali non possiamo non essere tutti d’accordo. Ma ci sono altri aspetti dello stesso oggetto che non sono altrettanto misurabili, perché sono soggettivi, cioè sui quali non si può essere tutti d’accordo e quindi non possono entrare nell’ambito della scienza, cioè studiati e analizzati scientificamente. L’universo è scritto in caratteri matematici.
 Da tutti questi dati misurati e catalogati si ipotizza una soluzione, cioè un tentativo di spiegazione dell’oggetto o del fenomeno osservato. Una volta elaborata l’ipotesi lo scienziato deve verificarla (principio di verificabilità che caratterizza la scienza moderna). Una volta che è scientificamente verificata e riprodotta diventa legge universale (ovvero immutabile legge scientifica). Questo comunque è per Popper un procedimento induttivo che non può portare a qualcosa di immutabile,  perché l’immutabile non esiste. Torniamo al problema medioevale degli universali che la filosofia contemporanea continua ad impegnarsi ad abbattere e combattere. Per Popper l’induzione non esiste perché non si può continuare ad osservare la molteplicità dei casi particolari in modo totale. Una osservazione è sempre parziale. Popper racconta la storia di un tacchino induttivista che vive in un pollaio e che ormai ha da tempo sperimentato che ogni giorno alla stessa ora arriva la contadina con il cibo. Il tacchino ha quindi sperimentato in uno straordinario numero di casi che a quella ora arriva sempre il cibo. Per questo tutti i giorni alla stessa ora si fa trovare vicino alla bacinella dove la contadina gli mette il cibo. È un fatto che con il passare del tempo il tacchino scoprirà che dopo una lunga serie di giorni in cui arriva il cibo puntuale, il giorno prima di Natale non arriverà il cibo, ma verrà preso e diventerà lui il cibo per altri. Quindi l’induzione anche se verificata a lungo non produce alcuna oggettività conoscitiva, o comunque produce una conoscenza che non ha alcuna attendibilità. Popper è un critico fondamentale dell’induzione. Per quanti casi particolari io possa analizzare non potrò mai arrivare ad una legge universale e immutabile.

Altra contestazione di Popper ad un principio della scienza è quella nei confronti della verifica. Nella realtà non posso verificare tutti i casi possibili, la verifica è un mito come l’induzione. Questo perché per quante verifiche io possa fare non arriverò mai alla certezza di aver trovato una verifica che mi confermi l’universalità del fenomeno osservato e della legge scientifica corrispondente. Basta un solo caso nel quale la legge non è verificata per far cadere il tutto. Non ci dovrebbe essere nessun caso non verificato nel passato, nel presente, ma nemmeno nel futuro e questo è impossibile da verificare. Ciò che rende scientifica una proposizione o una legge, non è il suo esser stata verificata, perché questo non la può rendere vera e quindi immutabile e universale. Si potrà dire solo che fino ad ora quella legge non è stata ancora smentita e quindi ha buone probabilità di essere vera o è ragionevole ritenerla tale fino però a prova contraria.  Ciò che rende scientifica una legge è la sua non falsificabilità. Quindi invece di intuizione e di verificabilità, ciò che conta è la non falsificabilità.


Popper poi critica profondamente due concezioni che nel ‘900 riscuotevano un successo incredibile e che si autodefinivano scientifiche. La prima è il Marxismo, al quale aderì da giovanissimo e che poi criticò così a fondo da diventare uno dei padri del “Liberalismo” che è di fatto l’opposto del marxismo (“chi è marxista da giovane non ha cuore, ma chi è marxista da adulto non ha cervello”  - Sir Winston  Churchill).

 La seconda è la Psicanalisi proprio per la sua impossibilità a poterla considerare scienza, perché non solo non può applicare correttamente l’induzione e non è totalmente verificabile, ma essenzialmente non permette assolutamente la falsificazione. Popper addirittura sperava di veder smentite per sempre queste due pseudoscienze prima di morire (cosa che poi avvenne). Per lui era evidente che entrambe queste due pseudoscienze non si sottoponevano mai alla falsificazione perché entrambe si ponevano come leggi scientifiche definitive, incontestabili. In realtà sono talmente inglobate nel loro schema con il quale leggono la storia, l’economia, la psiche, i comportamenti, ecc. da non permettere mai di essere falsificate, anzi qualunque tentativo in questo senso viene inglobato nel loro sistema. Leggiamo nelle “Congetture e confutazioni” di Popper: Fu durante l’estate del 1919 che cominciai a sentirmi sempre più insoddisfatto di queste tre teorie e cominciai a dubitare delle loro pretese di scientificità. Che cosa non va nel marxismo, nella psicanalisi (Freud) e nella psicologia individuale (Adler)? Perché queste dottrine sono così diverse dalle teorie fisiche, e soprattutto dalla teoria della relatività? Meditando sulla questione riscontrai che i miei amici, ammiratori di Marx, Freud e Adler erano colpiti da alcuni elementi comuni a queste teorie e soprattutto dal loro apparente potere esplicativo. Essi sembravano in grado di spiegare praticamente tutto ciò che accadeva nei campi a cui si riferivano. Erano teorie omnicomprensive (olistiche = dal greco “olos” che letteralmente significa “il Tutto”). Lo studio di una qualunque di esse sembrava avere l’effetto di una conversione o rivelazione intellettuale che consentiva di levare gli occhi su di una nuova verità preclusa ai non iniziati. Una volta dischiusi in questo modo gli occhi si scorgevano ovunque delle conferme (ecco la verifica). Per il marxista qualunque cosa accade e che legge sulla Pravda trova per forza conferme alla sua teoria, alla sua visione del mondo, alla sua teoria della storia. Il mondo pullulava di verifiche della storia, qualunque cosa accadesse la confermava sempre e quindi non si lasciavano falsificare. La sua validità appariva per ciò manifesta, e quanto agli increduli, che timidamente cercavano di sollevare qualche obiezione, si trattava chiaramente di persone che non volevano vedere la verità manifesta, o perché contraria ai loro interessi di classe, o a causa delle loro repressioni psicologiche ancora non analizzate (consigliabile allora uno specifico trattamento clinico). L’elemento più caratteristico di questa situazione mi parve il flusso incessante delle conferme, cioè delle verifiche. Un marxista non poteva aprire un giornale senza trovarvi in ogni pagina una testimonianza in grado di confermare la sua interpretazione della storia, non soltanto per le notizie, ma anche per la loro presentazione e soprattutto naturalmente per quello che non diceva. Quanto ad Adler (amico di Popper) restai molto colpito da una esperienza personale. Nel 1919 gli riferì di un caso di un bambino che non mi sembrava particolarmente adleriano, cioè ascrivibile alla sua teoria, ma egli non trovò difficoltà ad analizzare nei termini della propria teoria dei sentimenti di inferiorità, pur non avendo nemmeno visto, osservato, analizzato il bambino in causa. Un po’ sconcertato gli chiesi come poteva essere così sicuro. Risposta: a causa della mia esperienza di mille casi simili. Al che non potei trattenermi dal commentare: e con quest’ultimo, suppongo, la sua esperienza vanta  ora 1.001 casi.

 In questa sua opera Popper critica la pretesa di cogliere il senso della storia, di trovare cioè la chiave di lettura del processo storico. In altre parole trovare cosa c’è scritto sul traguardo di questa nostra storia. Qualcuno ci ha scritto “Comunismo realizzato” (Marx), qualcun altro “Età del Positivismo” (Comte), altri “la Ragione che illumina il mondo” (illuministi), altri ancora “il ritorno di Gesù Cristo alla fine dei tempi” (i cristiani), tutti comunque hanno individuato una direzione di marcia della storia. Il divenire della storia è mutabile, quindi diveniente, ma il suo traguardo ipotizzato è visto come immutabile, ma questo per Popper va abbattuto, quindi lo storicismo è una miseria. Tutti coloro che pretendono di aver individuato l’elemento che guida la storia, la chiave di lettura della storia, sono per Popper dei nemici della Società aperta. Popper rilegge tutta la storia della filosofia criticando questa impostazione storicistica e criticando fortemente anche  “L’Olismo”, cioè l’elemento che spiega il tutto. Popper rivaluta fortemente i sofisti per la loro convinzione che non esiste una verità assoluta “l’Uomo è misura di tutte le cose” (Protagora). I sofisti quindi erano gli uomini della società democratica, dell’Atene democratica, quella di Pericle, convinti che nessuno ha la verità in tasca, nessuno ha il criterio di giudizio per dire che una cosa è vera in assoluto, ma si apre alla discussione, si apre alla democrazia perché non è una Società chiusa, ma è una Società aperta. Come avevamo già rilevato nel trattare del pensiero politico di San Tommaso ci eravamo serviti delle osservazioni di Popper sui suoi concetti di Società aperta e dei suoi nemici, fra i quali spiccava Platone, visto come un totalitario. Questo perché Platone dice che esiste un immutabile (il mondo ideale) e dice che il filosofo è colui che contempla questo mondo immutabile ed eterno, cosa che gli permettere di conoscere la realtà (la verità) e quindi solo i filosofi hanno la capacità di assumere ruoli di governo. Conoscono cioè la verità, il bene sommo e quindi è giusto che abbiano il potere. Ma questa visione di Società di Platone è una Società chiusa, tirannica, dove governa chi pensa di avere il corretto punto di vista sulla realtà. Popper quindi è un critico radicale di tutte le forme di storicismo e olismo, di tutti cioè coloro che credono di aver individuato la verità sul mondo.
Leggiamo da Emanuele Severino (“la Filosofia contemporanea” – Ed. BUR Saggi – pag 336): …Popper respinge anche ogni concezione che, come il marxismo, si illude di conoscere le leggi necessarie dello sviluppo storico e il significato globale della storia. Tale significato non esiste e quindi non esiste nemmeno la possibilità di una rivoluzione globale (non esiste, cioè, un significato globale della realtà. Popper è interno a questa crisi di pensiero del ‘900 che ha abbattuto tutti gli “immutabili” e non ha fatto altro che esplicitare Nietzsche: non esiste direzione, non esiste meta, non esiste alto o basso, non esiste nulla di definitivo. C’è orrore nella filosofia del ‘900 per tutto ciò che è definitivo, per ciò che è stabile). Anche in campo sociale, sono possibili solo trasformazioni parziali, operate in base al metodo che è proprio della scienza: per tentativi ed errori, dove i tentativi sono le ipotesi che vengono poste al vaglio della critica razionale, e gli errori sono queste stesse ipotesi quando, poste così al vaglio, vengono smentite dall’esperienza.
“Società chiusa” è ogni forma di Società regolata da norme ritenute immodificabili. Ogni tipo di totalitarismo (di destra o di sinistra) è per Popper una forma di società chiusa. “Società aperta” è invece la società che sottopone al vaglio della critica razionale tutte le norme da cui essa si fa guidare. (Cioè la società che è sempre pronta a discutersi a rimodellarsi a cambiare, perché sa non c’è nulla di immutabile). Società aperta è quindi la società democratica di tipo occidentale (liberale).
Leggiamo ora invece da Vittorio Messori “Pensare la storia” Ed. Sugarco,  un suo articolo in occasione della caduta del muro di Berlino intitolato “Popper accontentato”: a 87 anni Karl Popper è stato accontentato, da decenni infatti questo filosofo austriaco ma che da tempo vive a Londra, stava ripetendo queste parole “Spero di vivere abbastanza a lungo da vedere sbugiardate e ridotte a pezzi le invenzioni di due ebrei (ebrei e tedeschi come lo stesso Popper) che hanno scritto in  tedesco ‘il Comunismo scientifico di Marx’ e ‘la Psicanalisi di Freud’. Quanto alla psicanalisi si sa come negli Stati Uniti, che per decenni ne erano stati succubi, lo psicanalista si sia ridotto ad una macchietta, protagonista delle battute di Woody Allen. Quanto al Marxismo è sotto gli occhi di tutti che fine abbia fatto. Tanto che, come è stato osservato con ironia o con amarezza, secondo i punti di vista, ormai in Freud e in Marx ci credono soltanto alcuni frati e suore e magari qualche vescovo del terzo mondo. Ma perché questa speranza di svergognamento è nutrita tanto tenacemente da Popper? Perché per lui questi due prodotti dell’ebraismo laicizzato dell’occidente, che come avevamo già visto sono un surrogato di un Messia mancato, avevano la pretesa di presentarsi come scienze ma erano esattamente il loro contrario, proprio perché non tolleravano critiche e respingevano a priori ogni tentativo di verifica. In effetti chiunque avesse azzardato qualche ostentazione sul marxismo era subito squalificato come una vittima dei pregiudizi di classe, nei casi migliori, o come un reazionario che si oppone al progresso e alla vittoria inevitabile del proletariato nei casi peggiori. Ogni critico diventava subito un nemico da combattere (non uno che la pensa diversamente) o un poveraccio da compatire perché non riusciva a liberarsi dai condizionamenti classisti. Alla pari dell’ideologo marxista anche per la psicanalisi si era creato un sistema impenetrabile ad ogni critica.  Ogni critica era classificata come una oscura resistenza dell’inconscio, quindi inverificabile e impermeabile a qualunque tentativo di falsificazione. Chiunque avesse voluto mettere in discussione la così detta analisi del profondo non era considerato come un interlocutore da prendere sul serio anche perché poteva aiutare a capire meglio, ma un malato bisognoso di cure (o la pensi come noi o sei matto). Come un complessato da sdraiare sul lettino per farlo parlare dei suoi rapporti infantili con mamma e papà durante la fase orale, poi quella anale ed infine quella genitale. Bisognava al fine avere il coraggio di rompere l’incantesimo e a gridare che “il Re è nudo” e Popper era uno che lo gridava ai quattro venti. Ma ci sono voluti decenni prima di poter cominciare a discutere i dogmi di Marx e di Freud, protetti come erano da un ricatto che tanto a lungo aveva paralizzato gli intellettuali per non essere scambiati o per reazionari o per repressi.

J. Ratzinger
Oggi in genere non c’è molto interesse per la storia. Perché volgersi indietro a guardare il passato – si dice – quando il presente è così urgente e carico di attese, e il futuro si annuncia così grande e importante? Non c’è da perdere tempo a considerare il passato. Il guaio è che simile convinzione non fa che aumentare la perdita di memoria, e la perdita di memoria conduce dal canto suo velocemente alla trascuratezza e alla perdita di consapevolezza [la perdita dell’esperienza e del vissuto dei nostri padri e dei nostri avi, cioè rendere inutili per la nostra vita di oggi le cose buone e le cose cattive già sperimentate da loro - Ndr].
A dire il vero c’è qualcosa di più preoccupante ancora della smemoratezza, e noi oggi cominciamo ad avvertirne i tratti: è l’avvelenamento della memoria, cioè il tentativo di accreditare tutto quanto il passato come una storia di oppressione e di deviazione, e di farci credere che soltanto ribellandoci contro tutto ciò che è stato e che è stato fatto, sia possibile costruire un mondo migliore. [buttare via l’acqua sporca con dentro il bambino, ovvero è bello buono e giusto solo il nuovo, il moderno. Il vecchio è tutto da buttare - Ndr].
Quando però la memoria viene avvelenata, con essa resta avvelenato anche l’uomo. Quando questi non può amare più nulla , quando non può ricevere più niente che valga la pena di essere trasmesso nel tempo, il mondo stesso finisce per essere nient’altro che veleno: per quanto l’uomo si dia da fare a ricostruirlo, esso non potrà mai che consistere di disillusioni e di contrapposizioni.
A fronte di tutto ciò, la storia della Chiesa, correttamente intesa, è una “ripulitura” e purificazione della memoria. Essa non è una storia tendenziosa, fatta di tesi precostituite [come avviene generalmente per la storia scritta da storiografi al servizio dei regimi totalitari o dei gruppi di potere del momento per dimostrare la correttezza e la genialità delle scelte fatte da chi appunto ha  in questo momento le redini del potere]. Solo la verità salva; e per questa ragione la storia della Chiesa deve essere vera “storia”, che pure ci documenti, senza alcun “abbellimento”, tutta la miseria, l’oppressione, le deviazioni dell’umano che si sono verificate.
Proprio quando ciò accade, diviene manifesto che sotto la cenere di tutti i fallimenti umani non si spegne mai la brace di quel “fuoco” nuovo che Cristo ha introdotto nel mondo. Alla vista di tutta l’umana meschinità, possiamo esattamente riconoscere che c’è qualcosa che né essa né il male che la contraddistingue possono cancellare; una luce, che nessun fallimento ha mai potuto interamente spegnere. In questo modo si vede che la Chiesa ha potuto sempre trasformare gli uomini con la potenza non della sua parola umana, ma della parola e dell’amore di Dio, e ha potuto donare loro quello sguardo misericordioso di salvezza, che dà vita, [che dà speranza, che dà la forza di andare avanti anche in presenza del male]. (Articolo di J. Ratzinger tratto dal quotidiano tedesco “Rheinische Post, del 17 marzo 1985)

Nel saggio di Fromm del 1957, il filosofo tedesco intende mostrare come l'amore sia una vera e propria arte e, in quanto tale, necessiti di disciplina, concentrazione, pazienza, supremo interesse e umiltà. In “Dogma e predicazione” J. Ratzinger ce ne parla così.
Il vero e proprio cuore de cristianesimo è e rimane l’amore del prossimo. In realtà, infatti, ogni singolo individuo è amato infinitamente da Dio e ha un valore infinito. Come acutamente ha compreso Pascal, Cristo dice a ciascuno: nella mia agonia, ho pensato a te. Per te ho versato questa goccia di sangue.
L’uomo non è mai puro materiale da costruzione del futuro, egli è anche un fine di per sé stesso. Ed egli non si esaurisce mai totalmente nelle diverse relazioni, ma rimane sempre un interrogativo mai risolto e carico di una domanda di infinito, che esige una risposta personale, la quale non può mai venire interamente pianificata. Perciò non ci saranno mai situazioni che rendano superflua l’iniziativa personale, premurosa e amorosa per l’uomo […].
Se un uomo è riuscito, grazie al suo amore, a dare un senso ad un altro individuo, ad un’altra persona, ha reso la sua vita infinitamente meritevole. Né si potrà mai cancellare il fatto che vi sono uomini che vivono solo perché hanno incontrato un amore tale da offrire loro una ragione di vita; cioè continuerà a valere a tutte le latitudini; questo dono non sarà reso superfluo da nessuna riforma e da nessuna rivoluzione (o ideologia).
E viceversa: tutte le volte che, pur in mezzo ad un mondo di inimicizia e di estraneità, ci è venuta incontro una persona, che lasciandosi alle spalle l’anonimità del collettivo è stata per noi un “fratello”, qui è accaduta realmente la salvezza […].
Solo aiutando a salvare gli altri, veniamo salvati noi stessi. Forse noi oggi siamo così spigolosi, talmente miseri nel nostro essere cristiani, perché cerchiamo così intensamente di aiutare soltanto noi stessi. (tratto da J. Ratzinger “Dogma e predicazione” Ed. Queriniana Brescia 1974)

(cfr. Gv 4,8).
La parola “amore”, una delle più grandi del linguaggio umano, è nello stesso tempo una fra le più svuotate e umiliate, banalizzata e involgarita. Eppure non c’è lingua che possa rinunciare ad essa, perché se smettessimo di parlare di amore, smetteremmo di parlare dell’uomo, smetteremmo di parlare di Dio, il solo che congiunge la terra e il cielo. […]
[…] È sulla croce che la parola “amore” riacquista tutta la sua originalità. L’uomo non ha bisogno solo di “toccare”, di “prendere” , di anelare al “potere”. L’uomo ha bisogno di “comprendere”, ha bisogno di “percepire”, di “ascoltare” , di “ragionare” , di spingersi fino alle profondità del cuore. È solo se la “ragione analitica” rimane in sé aperta alla “ragione più alta” e “comprensiva” (che comprende  cioè anche ciò che non si tocca, non si vede, non si mangia, ecc.), essa può davvero dirsi “razionale“ e “conoscere” veramente. Chi non ama, non può neppure conoscere (cfr. Gv 4,8).
Certamente la scienza è importante, il potere tecnologico è importante, l’economia è importante, ma se tutto resta unicamente finalizzato a sé, essi si riducono a essere qualcosa di vacuo, ma al contempo gravido di pericoli  per tutta l’umanità. Oggi ne facciamo esperienza diretta, scienza, tecnologia  ed economia (dovremmo dire politica), conservano valore e positività soltanto se restano inscritte e ordinate a quella ragione che percepisce più di quanto la fisica è capace di dimostrare, la tecnica di produrre, l’economia di risolvere, e che, pure, sa mantenersi nel vero.

Dove questa ragione viene “disinserita”, la “ragione analitica” si trasforma nella tirannide dell’irrazionalismo. (Omelia del 16 maggio 1985, in “Bollettino diocesano” n. 15 – 1985)


La disparità tra ricchi e poveri, da statistiche presentate più volte, sta aumentando, tanto è vero che tutti sanno che l’1% della popolazione mondiale detiene il 50% della ricchezza. La classe media, vero motore del capitalismo, sta perdendo capacità di acquisto (e posti di lavoro) e questo mina alla base il sistema industriale e la relativa economia basata sui consumi e di conseguenza indebolimento del potere della classe dirigente e delle speculazioni finanziarie. Nessun lavoro vuol dire nessuno stipendio, quindi niente consumi, niente risparmio, quindi niente ricchezza per la borghesia, quindi niente capitalismo. Dio è morto, il socialismo è morto, il feudalesimo è morto, l’imperialismo è morto, il nazismo è morto, il comunismo è morto, il capitalismo è morto. C’è però un cristianesimo che nonostante le continue diagnosi di “fase terminale”, continua ostinatamente a dare segni di vita. Il Dio che è morto è quello inventato dagli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è vivo ed è il Dio dei vivi ed è con noi fino alla fine dei tempi [Ndr].



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