martedì 23 maggio 2017

4t-7-La Fenomenologia di Husserl

Le slides e la Dispensa
















































La filosofia del novecento


Il positivismo ha dei forti riverberi anche in campo artistico e letterario (naturalismo, verismo, ecc.) che adottano la visione del mondo che dal positivismo sta emergendo. Husserl, come tanti intellettuali del suo tempo, fa parte di quella generazione di giovani ricercatori e intellettuali che in qualche modo sentono con crescente insofferenza l’imporsi di questa visione che pone la scienza come paradigma supremo di verità e di valore. D'altronde l’800 è il secolo delle grandi scoperte scientifiche che diverranno realtà pratiche nel ‘900, cioè il ‘900 raccoglie quello che è stato seminato nell’800. Per esempio tutte le applicazioni meccaniche, tecnologiche e fisiche che si svilupperanno (anche troppo) nel ‘900 sono già tutte sperimentate e presenti nella seconda metà dell’800.
L’ottocento è quindi un secolo di ottimismo storico sociale dove è in atto un processo di razionalizzazione tecnocratica che fa pensare alla possibilità (realizzabilità concreta per Comte) che questa possa aiutare anche nella politica, nella sociologia, nella medicina, nella psicologia, nella religione, nella storia, nelle relazioni fra stati. Una gestione tecnica, rigorosa e scientifica in tutte le realtà di questo mondo. Husserl vede in questo, e a ragione, un pericolo enorme di un riduzionismo psicologistico, una riduzione dell’umano e dello spirituale, una riduzione dell’uomo ad un normale fatto naturale, ad un pezzo di natura, ad un pezzo di una macchina, ad un oggetto, addirittura ad un organo riparabile psicologicamente o chimicamente o meccanicamente (chirurgicamente). In Francia nasce un movimento spiritualista molto forte, che cerca di far fronte a questo terribile e schiacciante riduzionismo dell’umano (Henri Bergson e il bergsonismo).
Vi è quindi lo sforzo di recuperare la vita spirituale, la vita morale nella loro originaria significatività e irriducibilità a delle leggi vincolanti e castranti.
In Italia Gentile e Croce controbattono anch’essi questo riduzionismo disumano con una reazione idealistica, il tentativo cioè di recuperare la grande lezione dell’idealismo tedesco. C’è anche, un tentativo che, secondo i suoi detrattori, ha fra le altre conseguenze quello di influenzare pesantemente la tradizione scolastica italiana, svalorizzando il momento scientifico e sfociando nei licei italiani con la riforma Gentile del 1924 che ha un fortissimo impianto idealistico e storicistico, privilegiando così la letteratura e le materie umanistiche a scapito di quelle scientifiche (non invece equilibrandole come sarebbe stato doveroso). Dedicheremo a loro l’ intera lezione sull’Idealismo italiano.
C’è un forte reazione anche in Russia, ma in Germania assume un aspetto del tutto particolare. Alfiere di questa reazione è il grande Nietzsche (scoperto e letto solo dopo la sua morte) che radicalizza le intuizioni di Schopenhauer e sulla sua scia si alimenta la filosofia della vita della quale George Simmel (1858-1918) diventa il suo esponente più importante.


Georg Simmel  (1858-1918)

George Simmel, nato in una famiglia ebrea poi convertita al cattolicesimo, è stato un filosofo e sociologo tedesco.
Ha analizzato gli eventi storici e sociali sia per come vengono originati dalla vita delle persone, sia per come le figure sociali vengano costruite dall'interazione tra individui.
Oggi è considerato uno dei padri "fondatori" della sociologia con  Emile Durkheim e con Max Weber, nonostante non abbia fondato una "scuola". Il suo pensiero è stato utilizzato da molti e in modi diversi anche per la vastità della sua opera.
Egli studia il passaggio dal piccolo gruppo al grande gruppo (il quale, raggiunta una certa dimensione, deve sviluppare forme e organi), in cui l'individuo diventa sempre più solo.
La divisione del lavoro porta alla frammentazione della vita sociale, le cerchie sociali da concentriche diventano tangenziali e incoraggiano l'individualismo e l'egoismo. Il denaro è la fonte e l'espressione della razionalità e dell'intellettualismo metropolitano ed è qualcosa di assolutamente impersonale, è un livellatore, riduce qualsiasi valore qualitativo ad una base quantitativa, portando quindi al determinarsi dell'ipertrofia della cultura oggettiva e all'atrofia della cultura soggettiva. La città moderna, la metropoli, porta ad una vita alienata. Nell'individuo metropolitano le sfere della famiglia e del vicinato, tipiche della comunità, perdono il loro peso, per essere sostituite dalla sfera dei mille contatti superficiali. L'individuo metropolitano vive una vita nervosa, perché un susseguirsi frenetico di immagini colpiscono il suo sistema nervoso, causando una diminuzione della capacità di reazione agli stimoli. L'individuo è quindi costretto a cercare rifugio negli spazi interstiziali dove si sostanzia la ricerca dell'"altrove" e dove è totalmente assente il condizionamento rigido del contesto sociale. Sta qui spesso l’origine di movimenti rivoluzionari e anarchici e spesso anche osteggianti la democrazia quando questa di fatto è una oligarchia (sistema di governo imposto da un gruppo ristretto di persone che di fatto hanno in mano il potere).

Edmund Husserl (1859 -1938)




La prima fase è quella psicologistica, influenzata prevalentemente da Franz Brentano. Opera principale di questa fase è la "Filosofia dell'aritmetica" (1891). In essa egli si preoccupava di dare una fondazione psicologica dei principi matematici universali, scontrandosi però con il grosso problema di trovare un rapporto tra la soggettività psicologica e l'universalità della matematica. Su questo problema sarà costretto a rivedere la sua impostazione di fondo per approdare a una nuova fase.

La seconda fase è detta fase logicista. L'intento di Husserl è quello di fondare la matematica e i suoi principi sulla logica. Opera chiave sono le "Ricerche logiche" (1900-1901). Il problema col quale però anche qui Husserl si scontra, cioè il problema del rapporto tra l'universalità della logica e la possibilità di una conoscenza che è pur sempre soggettiva.

La fase di maggiore portata per la filosofia del Novecento è sicuramente quella fenomenologica. Opere principali di questa fase sono: "La filosofia come scienza rigorosa" (1911), "Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia trascendentale" (1913, in tre volumi, ma solo il primo pubblicato da Husserl), "Meditazioni Cartesiane" (1931), "La crisi delle scienze europee e la filosofia trascendentale" (1936).
Husserl morirà a Friburgo, il 26 aprile 1938, lasciando molti allievi tra i quali Martin Heidegger, Edith Stein, Max Scheler.
Alla sua morte lasciò una grande quantità di manoscritti, 45.000 pagine stenografate, note come l'Archivio Husserl di Lovanio. Da questi manoscritti saranno poi ricavati, a cura della sua allieva e assistente Edith Stein, importanti volumi pubblicati postumi nel 1950, il più importante tra i quali è “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale”.
Husserl si trova al centro della protesta contro questo mostro del mondo tecnocratico che sta sorgendo prepotente all’orizzonte. Mostro che ha il suo maggior centro proprio in Germania dove nascono la maggior parte delle invenzioni e delle applicazioni tecnico scientifiche (la chimica, l’ottica, l’acciaio, la meccanica, l’elettrotecnica,  l’industria pesante, ecc.). Husserl, da uomo del suo tempo si laurea in fisica e matematica, non è di formazione filosofica. Il suo primo scritto “Filosofia dell’aritmetica” è un tentativo di pensare il numero come fondazione della matematica. Husserl è fondamentalmente un matematico con alcune evidenti lacune di filosofia, ma un po’ per una sua particolare sensibilità personale, un po’ perché di fatto, quasi non volendolo, lavorando sul concetto di numero, andando sulla fondazione della matematica (che in quel periodo interessava diversi studiosi tedeschi) si trova a studiare Franz Brentano (1838-1917) geniale filosofo studioso di Aristotele, ex prete cattolico che ha lasciato la Chiesa. Aristotele sarà un importante riferimento anche per gli sviluppi più importanti della rivoluzione Fenomenologica dello stesso  Husserl e poi di Martin Heidegger altro grande appassionato di Aristotele.

Intenzionalità e Coscienza


In Brentano si trova il concetto di intenzionalità che è il concetto chiave della fenomenologia, e che lui riprende dalla tarda scolastica, e che dice che “il concetto sta nella cosa che rappresenta”. Rimando intenzionale dal concetto alla cosa.
Nella specifica corrente filosofica della fenomenologia, Intenzionalità è l’attitudine costitutiva del pensiero ad avere sempre un contenuto, a dirigersi necessariamente verso un oggetto, senza il quale, il pensiero stesso non sussisterebbe.
Brentano rivoluziona questo riferimento alla scolastica che a sua volta ha alle spalle un riferimento ad Aristotele. Egli fa uno sforzo molto profondo, anche per i tempi in cui lo fa, per interrogarsi sulla natura dell’atto di coscienza intenzionale.
La coscienza è sempre coscienza di qualcosa, di un contenuto. Questo è un concetto forte e ben presente nella cultura occidentale, ma Nietzsche lo aggredisce e lo indebolisce svuotandolo e considerandolo una menzogna. Il concetto di coscienza non esiste, è una maschera. Serve andare a vedere dietro a questa maschera cosa veramente c’è.
Husserl, nel momento in cui comincia ad operare filosoficamente, vede che la scena culturale tedesca del tempo è dominata da quello che oggi chiamiamo “psicologismo”, cioè predomina una visione psicologistica della vita di coscienza. La lettura psicologistica della coscienza la riduce ad un fatto naturale e fa con la coscienza dell’uomo e con i vissuti di coscienza quello che la scienza biologica fa con il mondo naturale, che la scienza fisica fa con i fenomeni fisici, riduce cioè la vita di coscienza ad una serie di fatti che la psicologia ritiene di poter legare a delle leggi, e precisamente alle leggi della psicologia. Husserl vede in ciò un pericolo estremo. Noi così reifichiamo la realtà, ovvero cosifichiamo tutto, cioè rendiamo tutto misurabile con le categorie della scienza e della tecnologia, financo nell’intimo della coscienza umana. In altre parole consideriamo tutto, anche l’uomo e la sua intimità e specificità, come qualcosa di già dato, di costituito che si tratta solo di scoprire, misurare, classificare, codificare e usare (trasformare in dati e informazioni da mettere nel computer, come si direbbe oggi [Ndr]).
Ridurre l’intimità, la coscienza e la vita dell’uomo a fatti di natura è gravissimo per Husserl (ma dovrebbe esserlo anche per noi) perché se i fatti di coscienza, i fatti emotivi, le mie ferite psicologiche sono solo dei fatti naturali, meccanicamente legati l’uno all’altro, da leggi che lo psicologo può illustrarmi, vuol dire che io stesso sono un fatto, io stesso sono un fenomeno uomo che non è più una realtà spirituale che si distingue sul piano qualitativo da tutto il resto, dal resto del mondo naturale, ma è semplicemente un pezzettino della natura non tanto poi diverso da tutti gli altri pezzettini, forse solo un po’ più complicato.
Husserl intuisce questo dramma, ma è scandalizzato più sul piano metodologico per l’impoverimento filosofico che sul piano morale e spirituale. Se l’uomo nella sua vita psichica, nella sua vita interiore, nella sua vita di coscienza è ridotto a psichismo questo è inammissibile, bisogna distruggere e sradicare lo psichismo. Tutto il suo pensiero è uno sforzo per demolire lo psichismo. Vedremo che anche in questa reazione ci saranno dei risvolti altrettanto pericolosi specie da parte dei suoi allievi.
L’intenzionalità ci  dice che la coscienza è sempre coscienza di qualcosa, di un contenuto, è sempre abitata dalla trascendenza del fenomeno che si manifesta. Al posto di coscienza potrei dire logos, potrei dire ragione. Husserl parla di ragione apofantica, ragione manifestativa, ragione che è in se trasparenza d’essere, il logos è in sé apertura all’essere. La ragione dell’uomo è il luogo in cui nel mondo si apre qualcosa che permette all’essere di manifestarsi.
Husserl ragiona come un greco, perché sono i greci a scoprire la natura apofantica del logos. (apofantico: termine adoperato da Aristotele per caratterizzare, tra gli enunciati verbali che hanno un senso, quelli che possono essere detti veri o falsi, in contrapposizione a quelli puramente espressivi). Il logos non è pensare nel senso di proiettare sul mondo le nostre idee o afferrare qualcosa e portarla dentro di noi. Per Husserl la conoscenza è un rapportarsi all’oggetto, in cui questo si «presenta» nella sua datità originaria; come «riempimento di un’intenzione significativa» essa solo allora è evidente, quando l’oggetto sia dato intuitivamente. Allo schema dell’identificazione con l’oggetto si sostituisce quello del «venire in presenza» e al suo modo di darsi, diverso a seconda delle diverse zone ontologiche, si fa corrispondere un tipo diverso di conoscenza. 
Tutto il pensiero moderno è un lento, ma inesorabile, cammino di de-elenizzazione  del pensiero e della cultura sempre meno greca. Il tramonto della visione greca del pensiero si accompagna alla secolarizzazione e al tramonto della lettura spirituale dell’uomo come è stata portata in occidente dal cristianesimo.
Il logos, la ragione, la coscienza è apofantica, è luogo di trasparenza nel quale l’essere può manifestarsi, anzi è il luogo, non ce n’è un altro. Allora questo manifestarsi dell’essere nella coscienza deve avere delle leggi in qualche modo, deve essere analizzabile, occorre costruire la scienza che analizza rigorosamente il manifestarsi dell’essere attraverso la nostra coscienza intenzionale.
La nostra coscienza è intenzionale, è apofantica, è capacità di aprirsi all’essere e lasciarla apparire, renderla fenomeno. Ma questo aprirsi della coscienza all’essere e questa sua capacità di manifestarlo, non è casuale, ma risponde a dei principi che vanno studiati ed esige un esercizio, esige un mezzo, esige una applicazione consapevole da parte dell’uomo stesso.
In altre parole, la coscienza è in se intenzionale, è sempre coscienza di un contenuto, ma al tempo stesso questo aver coscienza di, questo rapportarsi intenzionalmente al mondo, questo avere una vita nostra interiore che in realtà è un continuo riempimento intenzionale di fenomeni che sorgono e che fanno manifestare l’essere, esige molta prudenza, molta attenzione, molta accortezza.
Questo perché la vita dell’uomo è essenzialmente oscuramento di questa naturale capacità di manifestare l’essere. In altre parole bisogna farsi filosofi. In realtà infatti, l’uomo tende ad oscurare l’essere, lo distorce e lo riveste di tutta una serie di pregiudizi, di assunzioni non giustificate che fanno si che quando il fenomeno intenzionale, cioè afferrato intenzionalmente, sorge nella mia coscienza, non sorge puro, ma sorge immischiato in un reticolo di precomprensioni culturali, etiche, scientifiche, psicologiche, religiose, tali per cui alla fine il rapporto col mondo è sempre ontico e non riesce ad essere ontologico, cioè riguarda le cose in sé (ontico) e non il perché delle cose (ontologico).

Edith Stein (Breslavia1891 – Auschwitz, 1942)

Tedesca e di famiglia ebrea, ma atea, è stata allieva e assistente di Husserl oltre ad essere lei stessa una teologa,  una filosofa, una fenomenologa. Fu l’unica che riuscì a decifrare la difficile stenografia di Husserl del quale tradusse una parte delle sue 45.000 pagine di appunti. Convertita al cattolicesimo nel 1922. Nel 1933 tenta una opposizione a Hitler denunciando le persecuzioni agli ebrei ma questo le costa l’allontanamento dai suoi incarichi universitari. Nel 1934 entra nel monastero carmelitano di Colonia col nome di Teresa Benedetta della Croce. 


Lì scrive il suo libro metafisico  "Essere finito ed Essere eterno" con l'obiettivo di conciliare le filosofie di Tommaso d'Aquino e di Husserl.
La domenica del 26 luglio 1942 in tutte le Chiese Cattoliche d’Olanda viene letta una vibrata lettera di protesta per la politica razziata di Hitler. Questi allora fa arrestare anche gli ebrei convertiti, fino ad allora lasciati in pace. Edith e sua sorella Rosa, pure lei convertita, vengono catturate e internate nel campo di concentramento di Auschwitz, dove sono uccise nelle camere a gas il  9 agosto1942.  Nel 1998 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata santa e l'anno successivo l'ha dichiarata compatrona d'Europa.




Emmanuel Lèvinas e la fenomenologia del volto.


Il significativo e stimolante filosofo di origine ebraica Emmanuel Lévinas (1905-1995) è nato a  Kaunas, nella Lituania, in un ambiente influenzato in particolare dalla grande letteratura russa di Dostoevskij, Gogol e Puskin. Nel 1923 si trasferisce in Francia, e poi in Germania, dove, tra l’altro ha modo di conoscere personalmente Martin Heidegger, dal cui pensiero viene profondamente colpito. Il suo capolavoro è La Totalità e l’infinito, che viene pubblicata nel 1961. Intanto, insegna dalla cattedra universitaria di Poitiers, poi di Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona di Parigi.

Per capire la fenomenologia di Husserl utilizziamo la particolare fenomenologia di Lèvinas, cioè la sua fenomenologia del volto che forse è un po’ più vicina a noi. Poniamo, come esempio, che io fermi una persona per strada e gli chieda di parlare del volto e questi mi potrebbe rispondere che il volto esprime le emozioni, è bello o brutto, ci si può innamorare, può non piacerci, potremmo anche non essere contenti del nostro stesso volto, ecc. Poniamo ora di fermare un vero filosofo che ha studiato con Husserl e che ha dedicato 50 anni della sua vita a riflettere sul volto, come Lèvinas. Questi ci direbbe che ha capito, che il volto è essenzialmente “nudità”, che il volto è esposizione all’offesa, al rossore, all’umiliazione e che è debolezza. Il volto è come se fosse costruito per essere colpito, profanato, schiaffeggiato. Nello stesso tempo il volto è parola, il volto parla. E che parola dirà mai il volto? È un comando, è un ordine: “non uccidermi”. Questo perché nel volto c’è una nudità troppo estrema, troppo povera, troppo grande. Ci dice poi che il corpo dell’uomo può in generale essere nudo, vivere l’esperienza della nudità di fronte al torturatore che mi spoglia prima di torturarmi o al boia che sta per uccidermi. Ogni nudità è possibile essenzialmente perché io ho un volto. Se non avessi un volto io non potrei mai essere nudo. L’animale non può essere nudo perché non ha un volto, non si veste, non è mai nudo. Il volto è il povero, ma il povero mi trascende, mi parla dall’alto, perché la sua povertà, la sua nudità originale, metafisica, mi obbliga a guardarlo dal basso verso l’alto. La sua parola muta mi scende dall’alto.
Questa è fenomenologia. Questo è uscire da quello sguardo scontato, banale, di squarciare il manto di opacità che è il linguaggio comune, la sguardo comune, la fretta con cui facciamo tutto. Anche in Platone l’esperienza metafisica originaria sono squarci che infrangono l’opacità dell’essere, del finito e permettono di pensare l’eterno perché lo vedo e lo vivo. Capire che la vita e il finito è una trama rovesciata il cui verso è l’eterno, è la verità.
La nostra vita ha molto poca verità. Abbiamo in mente le cose che dobbiamo fare, gli impegni, i soldi, la soddisfazione, la salute, il lavoro, le mille cose che ci riempiono la giornata, cioè uno scopo, una cura per qualcosa che ci preme. Voglio tante cose, so perché voglio quelle cose. Schopenhauer diceva “so perché voglio tutte le cose che voglio, ma non so in generale perché le voglio. Non so da dove viene la fame divorante che mi consuma e mi spinge misteriosamente a vivere, sempre oltre qualcosa, sempre a correre ma non so perché e per che cosa”.
La metafisica e la fenomenologia, come tentativo estremo di rifondare la metafisica occidentale e di aiutare gli uomini a vivere una vita autentica, abitata dal chiarore della luce dell’essere, sarà purtroppo destinata al fallimento grazie anche alla situazione di piena agonia e decadenza del pensiero occidentale originale.

La Fenomenologia di Husserl


Se io leggo un grande poeta come Tolstoj o Manzoni, o comunque qualunque vera opera poetica, lirica, qualunque testo poetico autentico come Shakespeare, Omero, ecc. questi sono fenomenologici. La  Fenomenologia è l’arte di vedere veramente. È l’arte che ci educa a “vedere” come la realtà è, tutta la realtà anche la mia realtà interiore, anche le mie emozioni, anche il mio innamoramento, il mio stupore di fronte alla bellezza, il mio desiderio, il mio corpo, tutto insomma. Io mi rapporto al mio mondo, mi rapporto alla mia vita interiore, mi rapporto con uno spirito triste oppure con uno spirito gioioso. Ma dove io ho parole vere sul flusso incessante della mia vita di coscienza, del mio rapporto col mondo? Essenzialmente nella poesia. La poesia è la capacità di usare un linguaggio che mi fa aderire in modo ultimo, radicale e autentico al senso delle cose. Prendiamo ad esempio Giacomo Leopardi e la sua: "A Silvia". “Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi?”.
Gli occhi di questa adolescente sono ridenti, ma pieni di timore, ridenti ma di un riso soffocato, nascosto da una gioia che albeggia e di una forza adulta che sta sorgendo, ma che è piena di incertezza, di paure, di pudore nel sentire che dall’interno insorge qualcosa che le invade l’anima fino a renderla donna adulta. È la fanciulla, è l’adolescente che comincia ad avere uno sguardo consapevole sul mondo e sorride alla vita che le sorride, ma che quasi con timore fugge di fronte alla forza di amore che sente sorgere in sé e che sa che è terribile. Leopardi è un poeta o è un filosofo? È entrambi e al contempo è anche un fenomenologo perfetto. Questa è la fenomenologia. Quanto detto è così poco casuale che fra i tanti esisti che la fenomenologia produce, il più importante è quello estetico. C’è una incredibile produzione di filosofia estetica, di teoria dell’arte, basata sulla fenomenologia.

La Filosofia estetica


Dino Formaggio ( 1914  2008) e la sua scuola milanese di critica dell’arte deve il suo successo non solo alla intelligenza e vivacità del suo fondatore, ma anche all’essere lui uno dei principali esponenti della filosofia dell’arte basata sulla fenomenologia.
Il fenomenologo è a casa sua nell’arte e nella poesia, perché trova la stessa, capacità, magari più sublime e più alta di vedere. La fenomenologia è l’arte di vedere il mondo, le cose, i sentimenti, se stessi, il proprio corpo, la propria vita interiore, in modo sorgivo, originario, purificato, autentico, più profondo, più intenso. È l’arte di tornare bambino. La fenomenologia cerca di guidarci a tornare ad avere uno sguardo sulle cose che ha l’intensità, la purezza, la pienezza, l’assenza di pregiudizi che c’è nel bambino. Chi mai può vedere il mondo come un bambino? Lo vede così poeticamente che non può capire la poesia, cioè è felice e quindi non sa di essere felice perché è immerso nella luce abbacinante dell’essere.

felice perché è immerso nella luce abbacinante dell’essere.

L’epoché nella fenomenologia husserliana


La fenomenologia è questo tentativo, questo sogno di ritorno all’infanzia, ad uno sguardo greco puro che va oltre tutto. Come si fa ad andare oltre tutto? Con l’epochè che è il cuore della fenomenologia, mentre l’Intenzionalità è un concetto importante, ma non così centrale come l’epochè.
Epochè è una parola greca che Husserl prende dagli scettici antichi. Lo scetticismo è una corrente che si sviluppa soprattutto nell’età ellenistica. Età di crisi dove emerge questo pensiero di stoicismo, scetticismo, cinismo che aggredisce ogni verità, cioè che aggredisce l’idea che si possa dare una verità vera.
Nella fenomenologia husserliana: l’epochè significa sospensione del giudizio, cioè un mettere fra parentesi ogni giudizio in proposito al fenomeno che si vuol studiare. È un atto libero, volontario del soggetto, volto non alla negazione del mondo, bensì alla “messa in parentesi” dell’atteggiamento naturale e di tutto quanto esso abbraccia sotto l’aspetto ontico, cioè dell’intero mondo naturale che è costantemente “qui per noi”.
“Sospensione del giudizi” è un atteggiamento della mente per cui né rifiutiamo né accettiamo alcun giudizio o pregiudizio. In filosofia, la sospensione del giudizio viene tipicamente associata allo scetticismo e al positivismo, pur non esaurendosi in questi ambiti. Il razionalista secentesco Cartesio, ad esempio, ne ha fatto il fondamento della sua epistemologia. Nel procedimento da lui denominato dubbio metodico Cartesio affermò che, in ordine alla costituzione di una conoscenza certa e salda, è necessario dubitare di qualunque cosa (ovvero, non bisogna dare niente per scontato). Solo eliminando i preconcetti e i pregiudizi è possibile conoscere la verità. Husserl si rapporta a Cartesio in modo esplicito, tanto che una delle sue opere principali è proprio: ”Le meditazioni cartesiane”.
Per Husserl, la scena filosofica, la scena culturale è ammorbata da un tale numero di ideologie, positivismo, psicologismo, naturalismo, evoluzionismo, ecc. che, come possiamo fare per tornare a vedere e a dire con intensità piena qual è la verità delle cose, della vita, del mondo, del rapporto con gli altri, della fede. Come facciamo a dire la verità dei vissuti che gli uomini hanno. Lo possiamo fare facendo epochè.

Fare epochè vuol dire sospendere il giudizio su tutto quanto è stato detto sull’argomento che si vuol considerare, congelarlo e pulirlo da ciò che la cultura in cui siamo immersi ha sedimentato in noi ed essere così radicali da sospendere anche il giudizio circa l’esistenza effettiva, ontologica e reale degli oggetti che sto cercando di comprendere, perché è già pregiudiziale ammettere che l’oggetto esiste come una cosa fissa, rigida, immobile e identica a se stessa anche al di fuori di me. Per esempio se parliamo dell’”amore”, questo non avrà più il senso che appare a noi nella telenovela, nelle canzonette di San Remo, nei romanzi d’amore, ecc., ma sarà, tolti tutti questi pregiudizi già dati e da noi incorporati, ciò che il fenomeno dell’amore è davvero, cioè insieme di sentimenti che io vivo, ansia dell’attesa, ecc. e comincio ad esplorare il vissuto dell’amore come fenomeno che afferro intenzionalmente e che ha una enorme quantità di aspetti che cominciano ad emergere se so fare a meno di tutta l’enorme mole di pregiudizi che già avevano pietrificato l’amore come una cosa di fatto naturale, cioè di cose date una volta per tutte. Inizia allora un’opera di esplorazione, di un girare intorno al fenomeno in tutte le sfumature e le sottigliezze che esso, se veramente visto ed ascoltato, sa manifestare.

Il residuo fenomenologico


L’epochè scettica, l’epochè che sospende ogni giudizio, che spoglia il fenomeno di tutto ciò che è aggiunto dalla cultura, dal passato, dalla letteratura, arriva al nucleo di forze che è il fenomeno. Qui debbo afferrare questo residuo fenomenologico. Cosa resta dopo questo processo di spogliazione di tutte le mistificazioni ideologiche, culturali, scientifiche, psicologiche? Cioè cosa resta una volta compiuta l’epochè nel modo più radicale possibile? Quale nucleo di verità resta?
Rimane il residuo fenomenologico: sedimento originario e non eliminabile delle manifestazioni delle cose entro la coscienza.
Husserl comunque è un cartesiano, è un immanentista. In lui non c’è un ritorno alla metafisica forte, autenticamente realista. È però in lui venuto meno l’incanto, lo stupore dei greci. Lo stupirsi di essere in un mondo che è bello, dove tutto splende e che non può che avere un senso e che la verità dell’essere precede e fonda il mio sguardo su questa realtà. Certamente siamo di fronte ad uno studio molto particolare e profondo del fenomeno, ma con una ragione sempre più ferita e aggiungerei insoddisfatta.

Le critiche a Husserl


Dispiace considerare che tutti o quasi gli allievi del maestro Husserl lo abbiano poi  tradito, Heidegger prima di tutti. Heidegger, ex allievo e assistente collaboratore di Husserl, nel 1927 pubblica “Essere tempo” e con questo si allontana da Husserl contaminando la sua fenomenologia con l’ermeneutica (l'arte della interpretazione) di Wilhelm Dilthey.
Heidegger ha un concetto di fenomenologia che si distacca da quello di  Husserl  perché questi pensa che egli stia ormai andando sulla strada delle idee pure, delle essenze (platoniche).  Per esempio per Husserl la morale, oppure l’amore,  ha delle essenze originarie che debbo poter ridurre e afferrare attraverso questo sforzo di epochè (sospensione del giudizio) profondo e che rimangono come residui fenomenologici.
Heidegger, all’inizio senza volerlo, ma poi in modo consapevole riduce il problema al linguaggio. Cioè egli si rende conto che una volta arrivati alle essenze di Husserl il tutto si riduce al linguaggio che le esprime. Qualunque sforzo per ridurre all’essenza il linguaggio è un puro problema linguistico, semiotico (modi in cui si comunica e si significa qualcosa), ermeneutico (arte o scienza dell’interpretazione di un testo), che non si può ridurre più di tanto perché è un dato originario. Scrive l’opera “In cammino verso il linguaggio” (1959) dal quale ne deriva che l’assoluto è il linguaggio. Da qui nasce una deriva spaventosa che è la rinuncia a filosofare autenticamente e a sprofondare così nel problema del segno e del simbolo dei quali è rimasta invischiata tutta la storia della fenomenologia.

La Scuola filosofica di Milano

La Scuola filosofica di Milano nel corso degli anni si è sviluppata attraverso vari campi, nutrendo particolare interesse e attenzione per quanto accadeva in ambito filosofico nel resto d’Europa, e soprattutto per la fenomenologia husserliana (Antonio Banfi fu tra i primi a studiare Husserl in Italia); al suo interno troviamo storici della filosofia (come: Mario Dal Pra,  Franco Alessio e  Mario Untersteiner), filosofi della  scienza (come: Ludovico Geymonat e i suoi allievi, come Evandro Agazzi, Giulio Giorello, Corrado Mangione, Salvatore Veca e Fabio Minazzi), studiosi di filosofia teoretica (come: Enzo Paci, Remo Cantoni, Giulio Preti, Fulvio Papi), di estetica (come: Dino Formaggio e la scuola di estetica che a lui si rifà).

La fenomenologia e l’esistenzialismo


L’esistenzialismo è tutto intessuto di analisi fenomenologica. L'esistenzialismo è una variegata e non omogenea corrente di pensiero che si è espressa nella filosofia, nella letteratura, nelle arti e nel costume, affermando, nell'accezione più comune del termine, il valore dell'esistenza umana individuale, in opposizione ad altri principi filosofici del secolo. L’esistenzialismo fa parte quindi della reazione alla razionalizzazione tecnocratica.
Nato tra il XVIII e il XIX secolo, trovando ampio sviluppo nel XX secolo diffondendosi e affermandosi principalmente tra la fine degli anni venti e i cinquanta, esso insiste sul valore specifico dell'individuo e sul suo carattere precario e finito, sull'insensatezza, l’assurdo, il vuoto che caratterizzano la condizione dell’uomo moderno, oltre che sulla “solitudine di fronte alla morte” in un mondo che è diventato completamente estraneo e addirittura ostile.
L’esistenzialismo nasce in opposizione all'idealismo, come al positivismo, allo scientismo, allo psicologismo, al positivismo, al razionalismo, al cattolicesimo, ecc., assumendo in alcuni rappresentanti una accentuazione religiosa, in altri un carattere umanistico e mondano, sia pessimista che ottimista, influenzando numerose altre filosofie parallele e successive.
A seconda della definizione data al "movimento", un filosofo o un indirizzo filosofico può essere o meno considerato come espressione dell'esistenzialismo. Questo spiega perché alcuni dei filosofi che sono considerati tra i rappresentanti maggiori dell'esistenzialismo (come Heidegger e Jaspers) ne abbiano rifiutato la qualifica, assunta invece come bandiera da altri, come Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. In particolare è Sartre a rendere celebre il termine nel lessico filosofico e nell'accezione popolare, con la sua conferenza L'esistenzialismo è un umanismo. Per molti comunque Il vero vertice dell’esistenzialismo è l’opera “l’essere e il nulla” di Sartre.
Sartre.

Riepilogo della fenomenologia di Husserl


1. Un fondamento sicuro: l'Erlebnis (il vissuto)
Il progetto filosofico di Husserl intende fare della filosofia una scienza rigorosa come non lo è mai stata prima. Secondo Husserl in nessuna epoca del suo sviluppo la filosofia ha potuto soddisfare la pretesa di essere scienza rigorosa. Questo significa che l'intero percorso della filosofia dalle origini al '900 è stato, in sostanza, solo un enorme lavoro di preparazione che conduce alla possibilità odierna di fondare una filosofia veramente precisa, che si pone come vero sapere certo sopra ogni dubbio.
Nel '900 la filosofia può quindi cogliere l'occasione di diventare conoscenza rigorosa. L'intenzione di Husserl è quella di fondare una filosofia che dopo i potenti lavori preparatori di generazioni comincia realmente dal basso sopra un fondamento assicurato contro il dubbio e come ogni edificio ben solido cresce verso l'alto.
Il fondamento sicuro che Husserl intende porre come base per produrre la rigorosità del metodo filosofico è l'esperienza della coscienza. Il flusso originario e immediatamente intuito delle idee coscienti viene definito Erlebnis (vissuto). Il progetto di Husserl è dunque quello di comprendere il senso degli eventi che si mostrano nell'ambito esclusivo dell'Erlebnis intesa come luogo originario in cui si manifestano i fenomeni che giungono alla coscienza senza alcuna mediazione.

2. Il metodo fenomenologico

“Nessuna immaginabile teoria può coglierci in errore nel principio di tutti i principi: cioè che ogni visione originalmente offerente è una sorgente di conoscenza, che tutto ciò che si dà originalmente nell'intuizione (per così dire, in carne ed ossa) è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà” (Idee per una pura fenomenologia e una filosofia fenomenologica).
Husserl afferma dunque che ogni visione originalmente offerente è una sorgente di conoscenza. Questa visione originalmente offerente è il contenuto dell'Erlebnis, ovvero il fenomeno (ciò che appare, da phainomai, io appaio).
Perché per Husserl il fenomeno è visione originalmente offerente degna di essere presa a fondamento della scienza rigorosa? Perché il fenomeno che si offre alla coscienza appare nella coscienza non mediato da alcuna teoriail fenomeno appare alla coscienza come dato immediatoQuesta immediatezza è garante dell'autenticità del fenomeno come sorgente più degna di conoscenza.
Tuttavia se si vuole essere realmente rigorosi, il fenomeno non va considerato all'infuori del modo in cui si offre e si da alla coscienza. Il fenomeno è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà. Ciò significa che, per mantenere quella condizione di immediatezza che è garanzia di autenticitànon occorre indagare del fenomeno se non ciò che del fenomeno giunge alla nostra coscienza.
Ad esempio, il dato immediato e fenomenico riguardo all'esistenza degli altri ci dice che esistono corpi in carne e ossa, ma nulla possiamo affermare, partendo dal solo dato dell'immagine degli altri che giunge a noi, che gli altri posseggono un io e una coscienza propria. Questa affermazione sarebbe un estendere la nostra esperienza personale ad altri individui secondo una legge di analogia, la quale non ci viene suggerita dal solo dato immediato della presenza degli altri nella nostra coscienza. Il fenomeno altri individui presente alla nostra coscienza ci dice solamente che esistono immagini di altri individui che giunge alla nostra mente.
La fenomenologia è dunque la scienza che guarda al fenomeno nel modo più autentico, ovvero guarda l'apparire delle cose entro la coscienza senza la mediazione di tutte quelle teorie che si sono formate lungo l'avventura secolare della filosofia e che allontanano gli uomini dalla percezione immediata del fenomeno.

3. L'epoché fenomenologica

Se i fenomeni, secondo la fenomenologia, devono giungere alla coscienza solo ed esclusivamente nei limiti e nei modi in qui si danno, allora è necessario non considerare dei fenomeni un'infinità di pre-concetti che si sono formati nel tempo attorno alle definizioni del senso delle cose. Questo insieme di pre-concetti che vengono a sovrapporsi all'immediatezza originaria del fenomeno così come si manifesta nella coscienza sono, in ultima analisi, l'insieme delle teorie metafisiche e razionaliste che vanno ad aggiungere un senso in eccesso a quello che si viene a formare se si considera il fenomeno nella sua semplice immediatezza. Se di un albero consideriamo il fenomeno puro, noi considereremo solamente le impressioni immediate che l'albero produce nella nostra coscienza, cosicché, secondo il metodo fenomenologico, l'esistenza di un processo di sintesi clorofilliana e la struttura linfatica della pianta sarebbero un senso eccedente alle intenzioni della fenomenologia.
Se si vuole davvero proporre una scienza rigorosa dei fenomeni occorre sospendere il giudizio attorno a quei fatti che eccedono l'immediatezza del fenomeno, ovvero sospendere l'assenso attorno ad ogni teoria che eccede le impressioni immediate. Questa sospensione del giudizio teorico sulle cose è chiamato da Husserl epoché, rispolverando un'antica parola utilizzata già dal pensiero scettico. E' chiaro infatti che se la fenomenologia vuole fondare la sua rigorosità sul dato del fenomeno nei modi e nei limiti in cui si dà all'intuizione, la stessa intuizione immediata dell'albero non può dirci nulla attorno ai suoi processi organici interni, i quali sono il prodotto di un paradigma scientifico.
Tale epurazione concettuale serve alla fenomenologia per mondare i fenomeni dalle nozioni acquisite per via teorica e che non vanno a formare l'originarietà dell'oggetto percepito. Questo processo di ritorno alla visione autentica e originaria delle cose è l'essenza stessa della fenomenologia: la scienza più rispettosa dell'autentico significato della realtà è quella che permette alle cose di giungere alla coscienza nel modo più autentico e originario possibile, escludendo quindi tutti i dati attorno alle cose che sono stati acquisiti per via teoretica e scientifica.
Per fare un altro esempio, anche la spiegazione atomista della realtà materiale è per la fenomenologia un giudizio sulla realtà che occorre sospendere per mantenersi nella regione più sicura dei dati certi. La realtà che si da a noi, il fenomeno realtà che giunge alla nostra coscienza, non ci dice nulla attorno all'esistenza degli atomi. Occorre quindi sospendere il giudizio scientifico sulla realtà materiale e avvicinarsi al mondo con gli occhi di un bambino che lo guarda come se fosse per la prima volta. Solo in questo modo si giunge a mondare la coscienza da tutti quei sensi eccedenti il dato immediato che non possono dare la certezza di una realtà davvero autentica.

4. Residuo fenomenologico, intenzionalità della coscienza, coscienza trascendentale

A questo punto si possono notare analogie tra la fenomenologia di Husserl e il pensiero di Cartesio, relativamente all'idea di cogito. Una volta mondata la coscienza dalle precomprensioni teoriche e scientifiche, ciò che rimane di veramente certo e incontrovertibile della realtà è il fenomeno, ovvero l'innegabile manifestazione del mondo entro la coscienza dell'uomo.
Tale sedimento originario e non eliminabile delle manifestazioni delle cose entro la coscienza è chiamato da Husserl residuo fenomenologico, ovvero ciò che non si può negare e che resta a fondamento certo della scienza fenomenologica (analogamente all'innegabilità del cogito cartesiano). Ciò che rimane del mondo nella coscienza dopo che si è tolta ogni riflessione teorica e scientifica che ecceda la visione immediata delle cose è per Husserl l'Erlebnis pura, il puro fluire dei fenomeni per come si mostrano nella loro nudità.
Husserl afferma che la coscienza è intenzionale. Brentano (le cui lezioni erano seguite da Husserl) affermava l'intenzionalità degli atti psichici, ma il concetto di intenzionalità è già presente nella filosofia medievale e scolastica. Husserl scrive: Io non vedo delle sensazioni di colore, ma degli oggetti coloratila coscienza si riferisce intenzionalmente agli oggetti che rappresenta, la coscienza è sempre coscienza di qualche cosa, è sempre un tendere a qualcosa come oggetto. Nell'atto del percepire si tende a un percepito, nell'atto del ricordare si tende sempre a un ricordato.
Ogni senso, ogni essere immaginabile, che si dica immanente o trascendente, cade entro la cerchia della soggettività [la coscienza] trascendentale. Il contenuto della coscienza come pura Erlebnis, come flusso immediato dei fenomeni, trascende le singole individualità, e un orizzonte al di sopra del tempo e al di sopra dello spazio (anzi, li contiene entro di sé). Le coscienze entrano in questo flusso trascendentale, il quale si mantiene identico a sé al di sopra dell'entrare e dell'uscire delle singole coscienze individuali da questo cerchia, da questo orizzonte che mai si esaurisce.

5. La riduzione eidetica

Oltre all' epoché fenomenologica, l'altro metodo indicato da Husserl per arrivare all'igiene psichica necessaria per percepire il fenomeno nella sua immediatezza e autenticità è la riduzione eidetica.  Eidetico significa relativo all'idea. In Husserl la riduzione eidetica significa ridurre l'idea di un fenomeno alla sua essenza fenomenica prima e originale, priva di accessori. Riduzione eidetica significa quindi togliere dal fenomeno preso in considerazione tutti gli elementi accessori per ridurlo alla sua ultima essenza percettiva. Non è ovviamente lo stesso procedimento analizzato da Aristotele e relativo all'essenza delle cose (essenza come sostanza ontologica), la riduzione eidetica all'essenziale di Husserl fa riferimento invece all'essenza della percezione del fenomeno. Per arrivare all'oggetto eidetico Husserl propone il metodo della variazione: presi tutti gli aspetti relativi alla percezione di un certo fenomeno, questi aspetti si sottopongono a variazione. Ciò che variando cambierà il significato del fenomeno verrà scartato, ciò che non muta il significato del fenomeno costituirà invece l'essenza percettiva del fenomeno stesso. Ciò che rimane di una riduzione eidetica è quindi il suo residuo fenomenologicola fenomenologia si configura così come una scienza delle essenze, ma essenze nel significato di contenuti universali della percezione.

6. Il mondo-della-vita

Il flusso innegabile delle percezioni che giungono alla coscienza è chiamato da Husserl mondo-della-vita (Lebenswelt). Il mondo-della-vita  è quell' esperienza innegabile che contiene ogni altra considerazione e ogni altra esperienza resistendo a qualsiasi tentativo di epoché. Con il termine epoché Husserl intende indicare il luogo che costituisce il terreno a-priori entro il quale cade ogni altro modo di conoscere le cose. E' indagando le modalità proprie del mondo-della-vita che si può accedere alla conoscenza certa e innegabile della realtà. Ogni altro metodo di indagine, che sia scientifico, teologico o razional-metafisico, rientra pur sempre entro le specifiche di questo mondo innegabile. E' indagando quindi il modo in cui questo orizzonte si manifesta che l'uomo può dire di avere certa conoscenza attorno alle cose.

7. La crisi delle scienze europee

Le scienze positive restano a un livello di conoscenza inferiore rispetto al mondo-della-vita. In esse è già presente quell'eccedenza di senso rispetto al fenomeno che è racchiuso nel loro paradigma metodologico. Le scienze positive intendono far riferimento a un'oggettività, questa oggettività è un dato che si forma entro l'orizzonte del mondo-della-vita. Ma il presupporre un'oggettività rispetto all'evidenza originaria del flusso immediato dei fenomeni è in qualche modo una forzatura concettuale e teorica. La scienza non può che porre concettualmente una categoria, la categoria del dato oggettivoma il mondo immediato dei fenomeni è un dato pre-categoriale, che trascende ogni altro senso che si vuole imporre alla realtà.
La caratteristica delle scienze positive è quella dell'astrazione rispetto al soggetto: esse trattano la realtà in modo obiettivo e astratto, eliminando qualsiasi aspetto soggettivo. Anche le scienze umanistiche (psicologia, storia, sociologia), relative quindi alla soggettività umana, tentano di strutturarsi sui metodi delle scienze oggettive semplificando i comportamenti umani, in senso scientifico. Ma il limite delle scienze oggettive, secondo Husserl, è quello di mostrare la realtà senza attribuirgli un significato, di concentrarsi sul come e non sul perché. L'esempio è quello della storia strutturatasi a disciplina: seguendo il metodo positivista la storia viene svuotata di significato e assume l'aspetto di un eterno susseguirsi di popoli che scalzano altri popoli, di guerre e di lotte cicliche: [...] le norme che volta per volta hanno fornito una direzione agli uomini, si formano e poi si dissolvono come onde fuggenti, che così è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata a trasformarsi sempre e di nuovo in non-senso, gli atti provvidi in flagelli...
Il dato fenomenologico originario è cosa che resta al di sopra dei tentativi di oggettivazione, i quali sono un contenuto dell'orizzonte fenomenologico. La crisi delle scienze occidentali, la perdita di significato che impedisce la conoscenza vera dei fenomeni, nasce da questa mancanza di senso dell'atteggiamento positivista: lo scienziato che crede di oggettivizzare la realtà è pur sempre parte di una realtà soggettiva (il mondo-della-vita), il distacco tra la scienza e la realtà immediata della vita fenomenica provoca la mancanza di senso.
La crisi della scienza, in quanto incapace di dare significato alla vita, viene vissuta come un fallimento dell'atteggiamento scientifico, giustificando così la caduta nell'irrazionale. In realtà l'atteggiamento scientifico è perfettamente legittimo e valido entro i limiti della categoria oggettol'errore è estendere lo stesso paradigma a tutti i campi del sapere in modo sistematico credendo che questo possa trascendere ciò che non si può trascendere, ovvero l'Erlebnis (il vissuto) che si manifesta nel mondo-della-vita. Secondo Husserl, il maggior pericolo dell'Europa è la stanchezza: l'occidente vede ormai che l'atteggiamento scientifico, ovvero il suo prodotto di punta, non è più in grado di dare un senso alla vita (poiché non è più in grado di rapportarsi alla fonte autentica della conoscenza che è il fenomeno puro).
Solo un grande sforzo di volontà che superi il naturalismo, ovvero la tendenza ad oggettivare tutte le cose, può far superare la crisi. ...dalla cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell'umanità: perché soltanto lo spirito è immortale.

Il “principio speranza” di Ernst Bloch

(J. Ratzinger)
Il mio lavoro di teologo mi ha condotto ad occuparmi, ad un certo punto, del pensiero di Ernst Bloch (Ludwigshafen, 1885  Tubinga,  1977) che è stato uno scrittore e filosofo tedesco marxista, nonché teorico dell'ateismo, in cui il “principio speranza” è figura speculativa che gioca un ruolo centrale.
« L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L'affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all'esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono» (Ernst Bloch: il principio Speranza – Premessa)
Secondo Bloch, la speranza è l’ontologia del non ancora esistente. Una filosofia che voglia essere “giusta” non deve mirare a studiare ciò che semplicemente è (ciò sarebbe conservatorismo o reazione); dovrebbe piuttosto – questo sarebbe il suo vero compito – preparare quanto ancora non è: giacché ciò che esiste attualmente è degno di scomparire, mentre il “mondo” veramente degno di essere vissuto dev’essere ancora costruito. Il compito dell’uomo creativo è dunque quello di edificare il mondo giusto che non esiste ancora. In questa elevata missione, però, la filosofia deve svolere una funzione decisiva. Essa è il laboratorio della speranza, l’anticipazione nel pensiero del mondo di domani, anticipazione di un mondo ragionevole e umano: non più formatosi complice il caso, ma pensato e realizzato dalla nostra ragione.
Ora ciò che mi ha colpito e sorpreso studiando Bloch è stato l’uso dell’espressione “ottimismo” in tutto questo contesto. Per lui (e per alcuni teologi che ne seguono la lezione) l’ottimismo è la forma e l’espressione della fede nella storia, ed è perciò atteggiamento doveroso per una persona che vuol servire alla liberazione della società, all’evocazione rivoluzionaria del mondo nuovo. La speranza sarebbe dunque la virtù di fondo di una “ontologia della lotta”: la forza propulsiva della marcia verso l’utopia. Leggendo Bloch, mi sono reso conto che l’”ottimismo”  è la “virtù teologale” del “dio moderno”, della religione dei “tempi nuovi”, di una storia “divinizzata”, del “dio della storia”. È dunque la “virtù” peculiare al “grande dio” delle ideologie moderne, e alle loro false promesse. (Tratto da J. Ratzinger “Guardare Cristo” Esercizi di Fede, Speranza e Carità – Jaca Book 1989)

PROGRAMMA incontri della quarta tappa:

l'eclissi della ragione




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