La filosofia del
novecento
Il
positivismo ha dei forti riverberi anche in campo artistico e letterario
(naturalismo, verismo, ecc.) che adottano la visione del mondo che dal
positivismo sta emergendo. Husserl, come tanti intellettuali del suo tempo, fa
parte di quella generazione di giovani ricercatori e intellettuali che in
qualche modo sentono con crescente insofferenza l’imporsi di questa visione che
pone la scienza come paradigma supremo di verità e di valore. D'altronde l’800
è il secolo delle grandi scoperte scientifiche che diverranno realtà pratiche
nel ‘900, cioè il ‘900 raccoglie quello che è stato seminato nell’800. Per
esempio tutte le applicazioni meccaniche, tecnologiche e fisiche che si
svilupperanno (anche troppo) nel ‘900 sono già tutte sperimentate e presenti
nella seconda metà dell’800.
Vi
è quindi lo sforzo di recuperare la vita spirituale, la vita morale nella loro
originaria significatività e irriducibilità a delle leggi vincolanti e
castranti.
C’è un forte
reazione anche in Russia, ma in Germania assume un aspetto del tutto
particolare. Alfiere di questa reazione è il grande Nietzsche (scoperto e letto
solo dopo la sua morte) che radicalizza le intuizioni di Schopenhauer e sulla
sua scia si alimenta la filosofia della
vita della quale George Simmel (1858-1918) diventa il suo esponente più importante.
Ha
analizzato gli eventi storici e sociali sia per come vengono originati dalla
vita delle persone, sia per come le figure sociali vengano costruite
dall'interazione tra individui.
Oggi
è considerato uno dei padri "fondatori" della sociologia con Emile Durkheim e con Max Weber, nonostante
non abbia fondato una "scuola". Il suo pensiero è stato utilizzato da
molti e in modi diversi anche per la vastità della sua opera.
Egli
studia il passaggio dal piccolo gruppo al grande gruppo (il quale, raggiunta
una certa dimensione, deve sviluppare forme e organi), in cui l'individuo
diventa sempre più solo.
La
divisione del lavoro porta alla frammentazione della vita sociale, le cerchie
sociali da concentriche diventano tangenziali e incoraggiano l'individualismo e
l'egoismo. Il
denaro è la fonte e l'espressione della razionalità e dell'intellettualismo
metropolitano ed è qualcosa di assolutamente impersonale, è un livellatore, riduce
qualsiasi valore qualitativo ad una base quantitativa, portando quindi al
determinarsi dell'ipertrofia della cultura oggettiva e all'atrofia della
cultura soggettiva. La città moderna, la metropoli, porta ad una vita alienata.
Nell'individuo metropolitano le sfere della famiglia e del vicinato, tipiche
della comunità, perdono il loro peso, per essere sostituite dalla sfera dei
mille contatti superficiali. L'individuo metropolitano vive una vita nervosa,
perché un susseguirsi frenetico di immagini colpiscono il suo sistema nervoso, causando una diminuzione della capacità di
reazione agli stimoli. L'individuo è quindi costretto a cercare rifugio negli
spazi interstiziali dove si sostanzia la ricerca dell'"altrove" e
dove è totalmente assente il condizionamento rigido del contesto sociale. Sta
qui spesso l’origine di movimenti rivoluzionari e anarchici e spesso anche
osteggianti la democrazia quando questa di fatto è una oligarchia (sistema di governo imposto da un gruppo ristretto di
persone
che di fatto hanno in mano il potere).
Edmund Husserl (1859 -1938)
La prima fase è quella
psicologistica, influenzata prevalentemente da Franz Brentano. Opera principale
di questa fase è la "Filosofia dell'aritmetica" (1891). In
essa egli si preoccupava di dare una fondazione psicologica dei principi
matematici universali, scontrandosi però con il grosso problema di trovare un
rapporto tra la soggettività psicologica e l'universalità della matematica. Su
questo problema sarà costretto a rivedere la sua impostazione di fondo per
approdare a una nuova fase.
La seconda fase è detta fase logicista. L'intento di
Husserl è quello di fondare la matematica e i suoi principi sulla logica. Opera
chiave sono le "Ricerche logiche" (1900-1901). Il problema col quale
però anche qui Husserl si scontra, cioè il problema del rapporto tra
l'universalità della logica e la possibilità di una conoscenza che è pur sempre
soggettiva.
La terza fase. Attraverso continue riflessioni Husserl
arriva a formulare una sua prospettiva filosofica originale capace di dare una
fondazione scientifica della conoscenza, attraverso un metodo puramente filosofico,
non psicologico, né logico. È la
scoperta del metodo fenomenologico. Seguendo questo metodo è possibile dare
una fondazione radicale, assoluta e universale, in una parola
"scientifica", della conoscenza. Il problema fondamentale di Husserl
è sempre stato proprio questo: garantire un valore forte alla conoscenza.
Questo risultato si può ottenere solo ridando un ruolo alla filosofia come "scienza degli inizi primi".
La fase di maggiore
portata per la filosofia del Novecento è sicuramente quella fenomenologica.
Opere principali di questa fase sono: "La filosofia come scienza rigorosa" (1911), "Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia trascendentale" (1913, in tre volumi, ma solo il primo
pubblicato da Husserl), "Meditazioni Cartesiane" (1931), "La crisi delle scienze europee e la filosofia trascendentale" (1936).
Husserl morirà a
Friburgo, il 26 aprile 1938, lasciando molti allievi tra i quali Martin
Heidegger, Edith Stein, Max Scheler.
Alla sua morte lasciò
una grande quantità di manoscritti, 45.000 pagine stenografate, note come
l'Archivio Husserl di Lovanio. Da questi manoscritti saranno poi ricavati, a
cura della sua allieva e assistente Edith
Stein, importanti volumi pubblicati postumi nel 1950, il più importante tra
i quali è “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale”.
Intenzionalità e Coscienza
In
Brentano si trova il concetto di intenzionalità
che è il concetto chiave della fenomenologia, e che lui riprende dalla tarda
scolastica, e che dice che “il concetto
sta nella cosa che rappresenta”. Rimando
intenzionale dal concetto alla cosa.
Nella specifica corrente filosofica della fenomenologia, Intenzionalità
è l’attitudine costitutiva del pensiero ad avere sempre un contenuto, a
dirigersi necessariamente verso un oggetto, senza il quale, il pensiero stesso
non sussisterebbe.
Brentano
rivoluziona questo riferimento alla scolastica che a sua volta ha alle spalle
un riferimento ad Aristotele. Egli fa uno sforzo molto profondo, anche per i
tempi in cui lo fa, per interrogarsi sulla natura dell’atto di coscienza intenzionale.
La coscienza è sempre
coscienza di qualcosa, di un contenuto. Questo è un
concetto forte e ben presente nella cultura occidentale, ma Nietzsche lo
aggredisce e lo indebolisce svuotandolo e considerandolo una menzogna. Il
concetto di coscienza non esiste, è una maschera. Serve andare a vedere dietro
a questa maschera cosa veramente c’è.
Husserl,
nel momento in cui comincia ad operare filosoficamente, vede che la scena
culturale tedesca del tempo è dominata da quello che oggi chiamiamo “psicologismo”,
cioè predomina una visione psicologistica della vita di coscienza. La lettura
psicologistica della coscienza la riduce ad un
fatto naturale e fa con la coscienza dell’uomo e con i vissuti di coscienza
quello che la scienza biologica fa con il mondo naturale, che la scienza fisica
fa con i fenomeni fisici, riduce cioè la vita di coscienza ad una serie di
fatti che la psicologia ritiene di poter legare a delle leggi, e precisamente
alle leggi della psicologia. Husserl vede in ciò un pericolo estremo. Noi così
reifichiamo la realtà, ovvero cosifichiamo
tutto, cioè rendiamo tutto misurabile con le categorie della scienza e della
tecnologia, financo nell’intimo della coscienza umana. In altre parole
consideriamo tutto, anche l’uomo e la sua intimità e specificità, come qualcosa
di già dato, di costituito che si tratta solo di scoprire, misurare,
classificare, codificare e usare (trasformare in dati e informazioni da mettere
nel computer, come si direbbe oggi [Ndr]).
Ridurre
l’intimità, la coscienza e la vita dell’uomo a fatti di natura è gravissimo per
Husserl (ma dovrebbe esserlo anche per noi) perché se i fatti di coscienza, i
fatti emotivi, le mie ferite psicologiche sono solo dei fatti naturali,
meccanicamente legati l’uno all’altro, da leggi che lo psicologo può
illustrarmi, vuol dire che io stesso sono un fatto, io stesso sono un fenomeno
uomo che non è più una realtà spirituale che si distingue sul piano qualitativo
da tutto il resto, dal resto del mondo naturale, ma è semplicemente un
pezzettino della natura non tanto poi diverso da tutti gli altri pezzettini,
forse solo un po’ più complicato.
Husserl
intuisce questo dramma, ma è scandalizzato più sul piano metodologico per
l’impoverimento filosofico che sul piano morale e spirituale. Se l’uomo nella sua
vita psichica, nella sua vita interiore, nella sua vita di coscienza è ridotto
a psichismo questo è inammissibile, bisogna distruggere e sradicare lo
psichismo. Tutto il suo pensiero è uno sforzo per demolire lo psichismo.
Vedremo che anche in questa reazione ci saranno dei risvolti altrettanto
pericolosi specie da parte dei suoi allievi.
L’intenzionalità
ci dice che la coscienza è sempre coscienza
di qualcosa, di un contenuto, è
sempre abitata dalla trascendenza del fenomeno che si manifesta. Al
posto di coscienza potrei dire logos,
potrei dire ragione. Husserl parla di ragione apofantica, ragione
manifestativa, ragione che è in se trasparenza d’essere, il logos è in sé
apertura all’essere. La ragione dell’uomo è il luogo in cui nel mondo si apre
qualcosa che permette all’essere di manifestarsi.
Husserl
ragiona come un greco, perché sono i greci a scoprire la natura apofantica del
logos. (apofantico: termine adoperato da Aristotele per
caratterizzare, tra gli enunciati verbali che hanno un senso, quelli che
possono essere detti veri o falsi, in contrapposizione a quelli puramente
espressivi). Il logos non è pensare nel senso di
proiettare sul mondo le nostre idee o afferrare qualcosa e portarla dentro di
noi. Per Husserl la conoscenza è un rapportarsi all’oggetto, in
cui questo si «presenta» nella sua datità originaria; come «riempimento di
un’intenzione significativa» essa solo allora è evidente, quando l’oggetto sia
dato intuitivamente. Allo schema dell’identificazione con l’oggetto si
sostituisce quello del «venire in presenza» e al suo modo di darsi, diverso a
seconda delle diverse zone ontologiche, si fa corrispondere un tipo diverso di
conoscenza.
Tutto
il pensiero moderno è un lento, ma inesorabile, cammino di de-elenizzazione del pensiero e della cultura sempre meno
greca. Il tramonto della visione greca del pensiero si accompagna alla
secolarizzazione e al tramonto della lettura spirituale dell’uomo come è stata portata
in occidente dal cristianesimo.
Il
logos, la ragione, la coscienza è apofantica, è luogo di trasparenza nel quale
l’essere può manifestarsi, anzi è il luogo, non ce n’è un altro. Allora questo
manifestarsi dell’essere nella coscienza deve avere delle leggi in qualche
modo, deve essere analizzabile, occorre costruire la scienza che analizza
rigorosamente il manifestarsi dell’essere attraverso la nostra coscienza
intenzionale.
La
nostra coscienza è intenzionale, è apofantica, è capacità di aprirsi all’essere
e lasciarla apparire, renderla fenomeno. Ma questo aprirsi della coscienza
all’essere e questa sua capacità di manifestarlo, non è casuale, ma risponde a
dei principi che vanno studiati ed esige un esercizio, esige un mezzo, esige
una applicazione consapevole da parte dell’uomo stesso.
In
altre parole, la coscienza è in se intenzionale, è sempre coscienza di un
contenuto, ma al tempo stesso questo aver
coscienza di, questo rapportarsi intenzionalmente al mondo, questo avere
una vita nostra interiore che in realtà è un continuo riempimento intenzionale
di fenomeni che sorgono e che fanno manifestare l’essere, esige molta prudenza,
molta attenzione, molta accortezza.
Questo
perché la vita dell’uomo è essenzialmente oscuramento di questa naturale
capacità di manifestare l’essere. In altre parole bisogna farsi filosofi. In
realtà infatti, l’uomo tende ad oscurare l’essere, lo distorce e lo riveste di
tutta una serie di pregiudizi, di assunzioni non giustificate che fanno si che
quando il fenomeno intenzionale, cioè afferrato intenzionalmente, sorge nella
mia coscienza, non sorge puro, ma sorge immischiato in un reticolo di
precomprensioni culturali, etiche, scientifiche, psicologiche, religiose, tali
per cui alla fine il rapporto col mondo è sempre ontico e non riesce ad essere
ontologico, cioè riguarda le cose in sé (ontico) e non il perché delle cose
(ontologico).
Edith
Stein (Breslavia, 1891 – Auschwitz, 1942)
Tedesca
e di famiglia ebrea, ma atea, è stata allieva e assistente di Husserl oltre ad
essere lei stessa una teologa, una filosofa, una fenomenologa. Fu l’unica che
riuscì a decifrare la difficile stenografia di Husserl del quale tradusse una
parte delle sue 45.000 pagine di appunti. Convertita al cattolicesimo nel 1922.
Nel 1933 tenta una opposizione a Hitler denunciando le persecuzioni agli ebrei
ma questo le costa l’allontanamento dai suoi incarichi universitari. Nel 1934
entra nel monastero carmelitano di Colonia col nome di Teresa Benedetta della
Croce.
Lì
scrive il suo libro metafisico "Essere finito ed Essere eterno" con l'obiettivo di conciliare
le filosofie di Tommaso d'Aquino e di Husserl.
La
domenica del 26 luglio 1942 in tutte le Chiese Cattoliche d’Olanda viene letta
una vibrata lettera di protesta per la politica razziata di Hitler. Questi allora fa
arrestare anche gli ebrei convertiti, fino ad allora lasciati in pace. Edith e
sua sorella Rosa, pure lei convertita, vengono catturate e internate nel campo
di concentramento di Auschwitz, dove sono uccise
nelle camere a gas il 9 agosto1942.
Nel 1998 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata santa e
l'anno successivo l'ha dichiarata compatrona d'Europa.
Emmanuel Lèvinas e
la fenomenologia del volto.
Per
capire la fenomenologia di Husserl utilizziamo la particolare fenomenologia di
Lèvinas, cioè la sua fenomenologia del volto che forse è un po’ più vicina a
noi. Poniamo, come esempio, che io fermi una persona per strada e gli chieda di
parlare del volto e questi mi potrebbe rispondere che il volto esprime le
emozioni, è bello o brutto, ci si può innamorare, può non piacerci, potremmo
anche non essere contenti del nostro stesso volto, ecc. Poniamo ora di fermare
un vero filosofo che ha studiato con Husserl e che ha dedicato 50 anni della
sua vita a riflettere sul volto, come Lèvinas. Questi ci direbbe che ha capito,
che il volto è essenzialmente “nudità”, che il volto è esposizione all’offesa,
al rossore, all’umiliazione e che è debolezza. Il volto è come se fosse
costruito per essere colpito, profanato, schiaffeggiato. Nello stesso tempo il
volto è parola, il volto parla. E che parola dirà mai il volto? È un comando, è
un ordine: “non uccidermi”. Questo perché nel volto c’è una nudità troppo
estrema, troppo povera, troppo grande. Ci dice poi che il corpo dell’uomo può
in generale essere nudo, vivere l’esperienza della nudità di fronte al
torturatore che mi spoglia prima di torturarmi o al boia che sta per uccidermi.
Ogni nudità è possibile essenzialmente perché io ho un volto. Se non avessi un
volto io non potrei mai essere nudo. L’animale non può essere nudo perché non
ha un volto, non si veste, non è mai nudo. Il volto è il povero, ma il povero
mi trascende, mi parla dall’alto, perché la sua povertà, la sua nudità originale,
metafisica, mi obbliga a guardarlo dal basso verso l’alto. La sua parola muta
mi scende dall’alto.
Questa
è fenomenologia. Questo è uscire da quello sguardo scontato, banale, di
squarciare il manto di opacità che è il linguaggio comune, la sguardo comune,
la fretta con cui facciamo tutto. Anche in Platone l’esperienza metafisica
originaria sono squarci che infrangono l’opacità dell’essere, del finito e
permettono di pensare l’eterno perché lo vedo e lo vivo. Capire che la vita e
il finito è una trama rovesciata il cui verso è l’eterno, è la verità.
La
nostra vita ha molto poca verità. Abbiamo in mente le cose che dobbiamo fare,
gli impegni, i soldi, la soddisfazione, la salute, il lavoro, le mille cose che
ci riempiono la giornata, cioè uno scopo, una cura per qualcosa che ci preme.
Voglio tante cose, so perché voglio quelle cose. Schopenhauer diceva “so perché
voglio tutte le cose che voglio, ma non so in generale perché le voglio. Non so
da dove viene la fame divorante che mi consuma e mi spinge misteriosamente a
vivere, sempre oltre qualcosa, sempre a correre ma non so perché e per che cosa”.
La metafisica e la fenomenologia,
come tentativo estremo di rifondare la metafisica occidentale e di aiutare gli
uomini a vivere una vita autentica, abitata dal chiarore della luce dell’essere,
sarà purtroppo destinata al fallimento grazie anche alla situazione di piena
agonia e decadenza del pensiero occidentale originale.
La Fenomenologia
di Husserl
Se io leggo un grande poeta come Tolstoj o Manzoni, o
comunque qualunque vera opera poetica, lirica, qualunque testo poetico autentico
come Shakespeare, Omero, ecc. questi sono fenomenologici. La Fenomenologia è l’arte di vedere veramente. È
l’arte che ci educa a “vedere” come la realtà è, tutta la realtà anche la mia
realtà interiore, anche le mie emozioni, anche il mio innamoramento, il mio
stupore di fronte alla bellezza, il mio desiderio, il mio corpo, tutto insomma.
Io mi rapporto al mio mondo, mi rapporto alla mia vita interiore, mi rapporto
con uno spirito triste oppure con uno spirito gioioso. Ma dove io ho parole
vere sul flusso incessante della mia vita di coscienza, del mio rapporto col
mondo? Essenzialmente nella poesia. La poesia è la capacità di usare un
linguaggio che mi fa aderire in modo ultimo, radicale e autentico al senso
delle cose. Prendiamo
ad esempio Giacomo Leopardi e la sua: "A Silvia". “Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua
vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu,
lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi?”.
Gli occhi di questa adolescente
sono ridenti, ma pieni di timore, ridenti ma di un riso soffocato, nascosto da
una gioia che albeggia e di una forza adulta che sta sorgendo, ma che è piena
di incertezza, di paure, di pudore nel sentire che dall’interno insorge
qualcosa che le invade l’anima fino a renderla donna adulta. È la fanciulla, è
l’adolescente che comincia ad avere uno sguardo consapevole sul mondo e sorride
alla vita che le sorride, ma che quasi con timore fugge di fronte alla forza di
amore che sente sorgere in sé e che sa che è terribile. Leopardi è un poeta o è
un filosofo? È entrambi e al contempo è anche un fenomenologo perfetto. Questa
è la fenomenologia. Quanto detto è così poco casuale che fra i tanti esisti che
la fenomenologia produce, il più importante è quello estetico. C’è una
incredibile produzione di filosofia estetica, di teoria dell’arte, basata sulla
fenomenologia.
La
Filosofia estetica
Il
fenomenologo è a casa sua nell’arte e nella poesia, perché trova la stessa,
capacità, magari più sublime e più alta di vedere. La fenomenologia è l’arte di
vedere il mondo, le cose, i sentimenti, se stessi, il proprio corpo, la propria
vita interiore, in modo sorgivo, originario, purificato, autentico, più
profondo, più intenso. È l’arte di tornare bambino. La fenomenologia cerca di
guidarci a tornare ad avere uno sguardo sulle cose che ha l’intensità, la
purezza, la pienezza, l’assenza di pregiudizi che c’è nel bambino. Chi mai può
vedere il mondo come un bambino? Lo vede così poeticamente che non può capire
la poesia, cioè è felice e quindi non sa di essere felice perché è immerso
nella luce abbacinante dell’essere.
felice
perché è immerso nella luce abbacinante dell’essere.
L’epoché nella fenomenologia husserliana
La
fenomenologia è questo tentativo, questo sogno di ritorno all’infanzia, ad uno
sguardo greco puro che va oltre tutto. Come si fa ad andare oltre tutto? Con l’epochè che è il cuore della
fenomenologia, mentre l’Intenzionalità è un concetto importante, ma non così
centrale come l’epochè.
Epochè
è una parola greca che Husserl prende dagli scettici antichi. Lo scetticismo è
una corrente che si sviluppa soprattutto nell’età ellenistica. Età di crisi
dove emerge questo pensiero di stoicismo, scetticismo, cinismo che aggredisce
ogni verità, cioè che aggredisce l’idea che si possa dare una verità vera.
Nella
fenomenologia husserliana: l’epochè significa sospensione del giudizio, cioè un mettere fra parentesi ogni
giudizio in proposito al fenomeno che si vuol studiare. È un atto libero,
volontario del soggetto, volto non alla negazione del mondo, bensì alla “messa
in parentesi” dell’atteggiamento naturale e di tutto quanto esso abbraccia
sotto l’aspetto ontico, cioè dell’intero mondo naturale che è costantemente
“qui per noi”.
“Sospensione del giudizi” è un atteggiamento
della mente per cui né rifiutiamo né accettiamo alcun giudizio o pregiudizio.
In filosofia, la sospensione del giudizio viene tipicamente associata
allo scetticismo e al positivismo, pur non esaurendosi in questi ambiti. Il
razionalista secentesco Cartesio, ad esempio, ne ha fatto il fondamento della sua epistemologia. Nel procedimento da lui denominato dubbio metodico Cartesio affermò che, in ordine alla
costituzione di una conoscenza certa e salda, è necessario dubitare di
qualunque cosa (ovvero, non bisogna dare niente per scontato). Solo eliminando
i preconcetti e i pregiudizi è possibile conoscere la verità. Husserl si
rapporta a Cartesio in modo esplicito, tanto che una delle sue opere principali
è proprio: ”Le meditazioni cartesiane”.
Per
Husserl, la scena filosofica, la scena culturale è ammorbata da un tale numero
di ideologie, positivismo, psicologismo, naturalismo, evoluzionismo, ecc. che,
come possiamo fare per tornare a vedere e a dire con intensità piena qual è la
verità delle cose, della vita, del mondo, del rapporto con gli altri, della
fede. Come facciamo a dire la verità dei vissuti che gli uomini hanno. Lo
possiamo fare facendo epochè.
Fare epochè vuol dire
sospendere il giudizio su tutto quanto è stato detto sull’argomento che si vuol
considerare, congelarlo e pulirlo da ciò che la cultura in cui siamo immersi ha
sedimentato in noi ed essere così radicali da sospendere anche il giudizio
circa l’esistenza effettiva, ontologica e reale degli oggetti che sto cercando
di comprendere, perché è già pregiudiziale ammettere che l’oggetto esiste come
una cosa fissa, rigida, immobile e identica a se stessa anche al di fuori di
me. Per esempio se parliamo dell’”amore”, questo non avrà più il senso che
appare a noi nella telenovela, nelle canzonette di San Remo, nei romanzi
d’amore, ecc., ma sarà, tolti tutti questi pregiudizi già dati e da noi
incorporati, ciò che il fenomeno dell’amore è davvero, cioè insieme di
sentimenti che io vivo, ansia dell’attesa, ecc. e comincio ad esplorare il
vissuto dell’amore come fenomeno che afferro intenzionalmente e che ha una
enorme quantità di aspetti che cominciano ad emergere se so fare a meno di
tutta l’enorme mole di pregiudizi che già avevano pietrificato l’amore come una
cosa di fatto naturale, cioè di cose date una volta per tutte. Inizia allora
un’opera di esplorazione, di un girare intorno al fenomeno in tutte le
sfumature e le sottigliezze che esso, se veramente visto ed ascoltato, sa manifestare.
Il residuo
fenomenologico
L’epochè
scettica, l’epochè che sospende ogni giudizio, che spoglia il fenomeno di tutto
ciò che è aggiunto dalla cultura, dal passato, dalla letteratura, arriva al
nucleo di forze che è il fenomeno. Qui debbo afferrare questo residuo
fenomenologico. Cosa resta dopo questo processo di spogliazione di tutte le
mistificazioni ideologiche, culturali, scientifiche, psicologiche? Cioè cosa
resta una volta compiuta l’epochè nel modo più radicale possibile? Quale nucleo di verità resta?
Rimane
il residuo fenomenologico: sedimento originario e non eliminabile
delle manifestazioni delle cose entro la coscienza.
Husserl
comunque è un cartesiano, è un immanentista. In lui non c’è un ritorno alla
metafisica forte, autenticamente realista. È però in lui venuto meno l’incanto,
lo stupore dei greci. Lo stupirsi di essere in un mondo che è bello, dove tutto
splende e che non può che avere un senso e che la verità dell’essere precede e
fonda il mio sguardo su questa realtà. Certamente siamo di fronte ad uno studio
molto particolare e profondo del fenomeno, ma con una ragione sempre più ferita
e aggiungerei insoddisfatta.
Le critiche a Husserl
Dispiace considerare che tutti o quasi gli
allievi del maestro Husserl lo abbiano poi
tradito, Heidegger prima di
tutti. Heidegger, ex allievo e
assistente collaboratore di Husserl, nel 1927 pubblica “Essere tempo” e con questo si allontana da Husserl
contaminando la sua fenomenologia con l’ermeneutica (l'arte della interpretazione) di
Wilhelm Dilthey.
Heidegger
ha un concetto di fenomenologia che si distacca da quello di Husserl
perché questi pensa che egli stia ormai andando sulla strada delle idee
pure, delle essenze (platoniche). Per
esempio per Husserl la morale, oppure l’amore,
ha delle essenze originarie che debbo poter ridurre e afferrare
attraverso questo sforzo di epochè (sospensione del giudizio) profondo e che
rimangono come residui fenomenologici.
Heidegger,
all’inizio senza volerlo, ma poi in modo consapevole riduce il problema al
linguaggio. Cioè egli si rende conto che una volta arrivati alle essenze di
Husserl il tutto si riduce al linguaggio che le esprime. Qualunque sforzo per
ridurre all’essenza il linguaggio è un puro problema linguistico, semiotico
(modi in cui si comunica e si significa qualcosa), ermeneutico (arte o scienza
dell’interpretazione di un testo), che non si può ridurre più di tanto perché è
un dato originario. Scrive l’opera “In cammino verso il linguaggio”
(1959) dal quale ne deriva che l’assoluto
è il linguaggio. Da qui nasce una deriva spaventosa che è la rinuncia a
filosofare autenticamente e a sprofondare così nel problema del segno e del
simbolo dei quali è rimasta invischiata tutta la storia della fenomenologia.
La Scuola filosofica di Milano
La Scuola filosofica di Milano nel corso degli anni si
è sviluppata attraverso vari campi, nutrendo particolare interesse e attenzione
per quanto accadeva in ambito filosofico nel resto d’Europa, e
soprattutto per la fenomenologia husserliana (Antonio Banfi fu tra i primi a studiare Husserl in Italia); al
suo interno troviamo storici della
filosofia (come: Mario Dal
Pra, Franco Alessio e Mario Untersteiner), filosofi della scienza (come: Ludovico Geymonat e i suoi allievi, come Evandro Agazzi, Giulio Giorello, Corrado Mangione, Salvatore Veca e Fabio
Minazzi), studiosi di filosofia teoretica (come: Enzo Paci, Remo Cantoni, Giulio Preti, Fulvio
Papi), di estetica (come:
Dino Formaggio e la scuola di estetica che a lui si rifà).
La fenomenologia e l’esistenzialismo
L’esistenzialismo è tutto intessuto
di analisi fenomenologica. L'esistenzialismo è una variegata e non omogenea
corrente di pensiero che si è espressa nella filosofia,
nella letteratura,
nelle arti e
nel costume, affermando, nell'accezione più comune del termine, il valore dell'esistenza umana
individuale, in opposizione ad altri principi filosofici del secolo. L’esistenzialismo
fa parte quindi della reazione alla
razionalizzazione tecnocratica.
Nato tra il XVIII e
il XIX secolo,
trovando ampio sviluppo nel XX secolo diffondendosi
e affermandosi principalmente tra la fine degli anni venti e i cinquanta,
esso insiste sul valore specifico dell'individuo e
sul suo carattere precario e finito, sull'insensatezza, l’assurdo, il
vuoto che caratterizzano la condizione dell’uomo moderno, oltre che sulla “solitudine
di fronte alla morte” in un mondo che è diventato completamente estraneo e
addirittura ostile.
L’esistenzialismo nasce in opposizione all'idealismo, come al
positivismo, allo scientismo, allo psicologismo, al positivismo, al razionalismo, al
cattolicesimo, ecc., assumendo in alcuni
rappresentanti una accentuazione religiosa,
in altri un carattere umanistico e mondano, sia pessimista che ottimista,
influenzando numerose altre filosofie parallele e successive.
A seconda della definizione data al
"movimento", un filosofo o un indirizzo filosofico può essere o meno
considerato come espressione dell'esistenzialismo. Questo spiega perché alcuni
dei filosofi che sono considerati tra i rappresentanti maggiori
dell'esistenzialismo (come Heidegger e Jaspers) ne
abbiano rifiutato la qualifica, assunta invece come bandiera da altri, come Jean-Paul Sartre e Simone
de Beauvoir. In particolare è Sartre a rendere celebre il termine nel lessico
filosofico e nell'accezione popolare, con la sua conferenza L'esistenzialismo
è un umanismo. Per molti comunque Il
vero vertice dell’esistenzialismo è l’opera “l’essere e il nulla” di
Sartre.
Sartre.
Riepilogo della fenomenologia di Husserl
1. Un fondamento
sicuro: l'Erlebnis (il vissuto)
Il progetto filosofico di Husserl intende fare della filosofia una
scienza rigorosa come non lo è mai stata prima. Secondo Husserl in
nessuna epoca del suo sviluppo la filosofia ha potuto soddisfare la pretesa di
essere scienza rigorosa. Questo significa che l'intero percorso della
filosofia dalle origini al '900 è stato, in sostanza, solo un enorme lavoro di
preparazione che conduce alla possibilità odierna di fondare una filosofia
veramente precisa, che si pone come vero sapere certo sopra ogni dubbio.
Nel '900 la filosofia può quindi cogliere l'occasione di
diventare conoscenza rigorosa. L'intenzione di Husserl è quella di
fondare una filosofia che dopo i potenti lavori preparatori di
generazioni comincia realmente dal basso sopra un fondamento assicurato contro
il dubbio e come ogni edificio ben solido cresce verso l'alto.
Il fondamento sicuro che Husserl intende porre come base per
produrre la rigorosità del metodo filosofico è l'esperienza della coscienza. Il flusso originario e
immediatamente intuito delle idee coscienti viene definito Erlebnis (vissuto).
Il progetto di Husserl è dunque quello di comprendere il senso degli eventi che
si mostrano nell'ambito esclusivo dell'Erlebnis intesa come luogo
originario in cui si manifestano i fenomeni che giungono alla coscienza senza
alcuna mediazione.
2. Il metodo fenomenologico
“Nessuna immaginabile teoria può coglierci in errore nel principio
di tutti i principi: cioè che ogni visione originalmente offerente è una
sorgente di conoscenza, che tutto ciò che si dà originalmente nell'intuizione (per
così dire, in carne ed ossa) è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto
nei limiti in cui si dà” (Idee per una pura fenomenologia e una filosofia
fenomenologica).
Husserl afferma dunque che ogni visione
originalmente offerente è una sorgente di conoscenza. Questa visione originalmente offerente è il
contenuto dell'Erlebnis, ovvero il fenomeno (ciò che appare, da phainomai, io
appaio).
Perché per Husserl il fenomeno è visione originalmente
offerente degna di essere presa a fondamento della scienza rigorosa?
Perché il fenomeno che si offre alla coscienza appare nella coscienza
non mediato da alcuna teoria, il fenomeno appare alla coscienza
come dato immediato. Questa immediatezza è garante dell'autenticità
del fenomeno come sorgente più degna di conoscenza.
Tuttavia se si vuole essere realmente rigorosi, il fenomeno non va
considerato all'infuori del modo in cui si offre e si da alla coscienza. Il
fenomeno è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto nei limiti in
cui si dà. Ciò significa che, per mantenere quella condizione di
immediatezza che è garanzia di autenticità, non occorre indagare
del fenomeno se non ciò che del fenomeno giunge alla nostra coscienza.
Ad esempio, il dato immediato e fenomenico riguardo all'esistenza
degli altri ci dice che esistono corpi in carne e ossa, ma nulla possiamo
affermare, partendo dal solo dato dell'immagine degli altri che giunge a noi,
che gli altri posseggono un io e una coscienza propria. Questa affermazione
sarebbe un estendere la nostra esperienza personale ad altri individui secondo
una legge di analogia, la quale non ci viene suggerita dal solo dato immediato
della presenza degli altri nella nostra coscienza. Il fenomeno altri
individui presente alla nostra coscienza ci dice solamente che
esistono immagini di altri individui che giunge alla nostra mente.
La fenomenologia è dunque la scienza che guarda al fenomeno nel
modo più autentico, ovvero guarda l'apparire delle cose entro la coscienza
senza la mediazione di tutte quelle teorie che si sono formate lungo
l'avventura secolare della filosofia e che allontanano gli uomini dalla
percezione immediata del fenomeno.
3. L'epoché fenomenologica
Se i fenomeni, secondo la fenomenologia, devono giungere alla
coscienza solo ed esclusivamente nei limiti e nei modi in qui si danno, allora
è necessario non considerare dei fenomeni un'infinità di pre-concetti che
si sono formati nel tempo attorno alle definizioni del senso delle cose. Questo
insieme di pre-concetti che vengono a sovrapporsi
all'immediatezza originaria del fenomeno così come si manifesta nella coscienza
sono, in ultima analisi, l'insieme delle teorie metafisiche e razionaliste che
vanno ad aggiungere un senso in eccesso a quello che si viene a formare se si
considera il fenomeno nella sua semplice immediatezza. Se di un albero
consideriamo il fenomeno puro, noi considereremo solamente le impressioni
immediate che l'albero produce nella nostra coscienza, cosicché, secondo il
metodo fenomenologico, l'esistenza di un processo di sintesi clorofilliana e la
struttura linfatica della pianta sarebbero un senso eccedente alle intenzioni
della fenomenologia.
Se si vuole davvero proporre una scienza
rigorosa dei fenomeni occorre sospendere il giudizio attorno a quei
fatti che eccedono l'immediatezza del fenomeno, ovvero sospendere
l'assenso attorno ad ogni teoria che eccede le impressioni immediate.
Questa sospensione del giudizio teorico sulle cose è chiamato da Husserl epoché,
rispolverando un'antica parola utilizzata già dal pensiero scettico. E' chiaro
infatti che se la fenomenologia vuole fondare la sua rigorosità sul dato del
fenomeno nei modi e nei limiti in cui si dà all'intuizione, la
stessa intuizione immediata dell'albero non può dirci nulla attorno ai suoi
processi organici interni, i quali sono il prodotto di un paradigma
scientifico.
Tale epurazione concettuale serve alla
fenomenologia per mondare i fenomeni dalle nozioni
acquisite per via teorica e che non vanno a formare l'originarietà dell'oggetto
percepito. Questo processo di ritorno alla visione autentica e
originaria delle cose è l'essenza stessa della fenomenologia: la scienza più
rispettosa dell'autentico significato della realtà è quella che permette alle
cose di giungere alla coscienza nel modo più autentico e originario possibile,
escludendo quindi tutti i dati attorno alle cose che sono stati acquisiti per
via teoretica e scientifica.
Per fare un altro esempio, anche la spiegazione atomista della
realtà materiale è per la fenomenologia un giudizio sulla realtà che occorre
sospendere per mantenersi nella regione più sicura dei dati certi. La realtà
che si da a noi, il fenomeno realtà che giunge alla nostra
coscienza, non ci dice nulla attorno all'esistenza degli atomi. Occorre quindi
sospendere il giudizio scientifico sulla realtà materiale e avvicinarsi al
mondo con gli occhi di un bambino che lo guarda come se fosse per la prima
volta. Solo in questo modo si giunge a mondare la coscienza da
tutti quei sensi eccedenti il dato immediato che non possono dare la certezza
di una realtà davvero autentica.
4. Residuo fenomenologico, intenzionalità della
coscienza, coscienza trascendentale
A questo punto si possono notare analogie tra la fenomenologia di
Husserl e il pensiero di Cartesio, relativamente all'idea di cogito.
Una volta mondata la coscienza dalle precomprensioni teoriche e
scientifiche, ciò che rimane di veramente certo e incontrovertibile
della realtà è il fenomeno, ovvero l'innegabile manifestazione del mondo entro
la coscienza dell'uomo.
Tale sedimento originario e non eliminabile delle manifestazioni
delle cose entro la coscienza è chiamato da Husserl residuo fenomenologico, ovvero ciò che non si
può negare e che resta a fondamento certo della scienza fenomenologica
(analogamente all'innegabilità del cogito cartesiano). Ciò che
rimane del mondo nella coscienza dopo che si è tolta ogni riflessione teorica e
scientifica che ecceda la visione immediata delle cose è per Husserl l'Erlebnis pura,
il puro fluire dei fenomeni per come si mostrano nella loro nudità.
Husserl afferma che la coscienza è intenzionale.
Brentano (le cui lezioni erano seguite da Husserl) affermava l'intenzionalità
degli atti psichici, ma il concetto di intenzionalità è già presente nella
filosofia medievale e scolastica. Husserl scrive: Io non vedo delle
sensazioni di colore, ma degli oggetti colorati, la coscienza si
riferisce intenzionalmente agli oggetti che rappresenta, la coscienza è
sempre coscienza di qualche cosa, è sempre un tendere a qualcosa
come oggetto. Nell'atto del percepire si tende a un percepito, nell'atto del
ricordare si tende sempre a un ricordato.
Ogni senso, ogni essere immaginabile, che si dica immanente o
trascendente, cade entro la cerchia della soggettività [la
coscienza] trascendentale. Il contenuto della coscienza
come pura Erlebnis, come flusso immediato dei fenomeni, trascende le singole
individualità, e un orizzonte al di sopra del tempo e al di sopra dello spazio
(anzi, li contiene entro di sé). Le coscienze entrano in questo flusso
trascendentale, il quale si mantiene identico a sé al di sopra dell'entrare e
dell'uscire delle singole coscienze individuali da questo cerchia,
da questo orizzonte che mai si esaurisce.
5. La riduzione eidetica
Oltre all' epoché fenomenologica, l'altro metodo indicato da
Husserl per arrivare all'igiene psichica necessaria per
percepire il fenomeno nella sua immediatezza e autenticità è la riduzione
eidetica. Eidetico significa
relativo all'idea. In Husserl la riduzione eidetica significa ridurre
l'idea di un fenomeno alla sua essenza fenomenica prima e originale, priva di
accessori. Riduzione eidetica significa quindi togliere dal fenomeno preso
in considerazione tutti gli elementi accessori per ridurlo alla sua ultima
essenza percettiva. Non è ovviamente lo stesso procedimento analizzato da
Aristotele e relativo all'essenza delle cose (essenza come sostanza
ontologica), la riduzione eidetica all'essenziale di Husserl fa riferimento
invece all'essenza della percezione del fenomeno. Per arrivare all'oggetto
eidetico Husserl propone il metodo della variazione: presi tutti gli aspetti
relativi alla percezione di un certo fenomeno, questi aspetti si sottopongono a
variazione. Ciò che variando cambierà il significato del fenomeno verrà
scartato, ciò che non muta il significato del fenomeno costituirà invece l'essenza
percettiva del fenomeno stesso. Ciò che rimane di una riduzione eidetica è
quindi il suo residuo fenomenologico: la
fenomenologia si configura così come una scienza delle essenze, ma essenze nel
significato di contenuti universali della percezione.
6. Il mondo-della-vita
Il flusso innegabile delle percezioni che giungono alla coscienza
è chiamato da Husserl mondo-della-vita (Lebenswelt). Il mondo-della-vita
è quell' esperienza innegabile che contiene ogni altra considerazione
e ogni altra esperienza resistendo a qualsiasi tentativo di epoché.
Con il termine epoché Husserl intende
indicare il luogo che costituisce il terreno a-priori entro il
quale cade ogni altro modo di conoscere le cose. E' indagando le modalità
proprie del mondo-della-vita che si può accedere alla
conoscenza certa e innegabile della realtà. Ogni altro metodo di indagine, che
sia scientifico, teologico o razional-metafisico, rientra pur sempre entro
le specifiche di questo mondo innegabile. E' indagando quindi
il modo in cui questo orizzonte si manifesta che l'uomo può dire di avere certa
conoscenza attorno alle cose.
7. La crisi delle scienze europee
Le scienze positive restano a un livello di conoscenza inferiore
rispetto al mondo-della-vita. In esse è già presente
quell'eccedenza di senso rispetto al fenomeno che è racchiuso nel loro
paradigma metodologico. Le scienze positive intendono far riferimento a
un'oggettività, questa oggettività è un dato che si forma entro l'orizzonte
del mondo-della-vita. Ma il presupporre un'oggettività rispetto
all'evidenza originaria del flusso immediato dei fenomeni è in qualche modo una
forzatura concettuale e teorica. La scienza non può che porre
concettualmente una categoria, la categoria del dato oggettivo, ma
il mondo immediato dei fenomeni è un dato pre-categoriale, che trascende
ogni altro senso che si vuole imporre alla realtà.
La caratteristica delle scienze positive è quella dell'astrazione
rispetto al soggetto: esse trattano la realtà in modo obiettivo e astratto,
eliminando qualsiasi aspetto soggettivo. Anche le scienze umanistiche
(psicologia, storia, sociologia), relative quindi alla soggettività umana,
tentano di strutturarsi sui metodi delle scienze oggettive semplificando i
comportamenti umani, in senso scientifico. Ma il limite delle scienze
oggettive, secondo Husserl, è quello di mostrare la realtà senza attribuirgli
un significato, di concentrarsi sul come e non sul perché.
L'esempio è quello della storia strutturatasi a disciplina: seguendo il metodo
positivista la storia viene svuotata di significato e assume l'aspetto di un
eterno susseguirsi di popoli che scalzano altri popoli, di guerre e di lotte
cicliche: [...] le norme che volta per volta hanno fornito una
direzione agli uomini, si formano e poi si dissolvono come onde fuggenti, che
così è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata a trasformarsi
sempre e di nuovo in non-senso, gli atti provvidi in flagelli...
Il dato fenomenologico originario è cosa che resta al di sopra dei
tentativi di oggettivazione, i quali sono un contenuto dell'orizzonte fenomenologico. La
crisi delle scienze occidentali, la perdita di significato che impedisce la
conoscenza vera dei fenomeni, nasce da questa mancanza di senso
dell'atteggiamento positivista: lo scienziato che crede di oggettivizzare la
realtà è pur sempre parte di una realtà soggettiva (il mondo-della-vita), il
distacco tra la scienza e la realtà immediata della vita fenomenica provoca la
mancanza di senso.
La crisi della scienza, in quanto incapace di dare significato
alla vita, viene vissuta come un fallimento dell'atteggiamento scientifico,
giustificando così la caduta nell'irrazionale. In realtà l'atteggiamento
scientifico è perfettamente legittimo e valido entro i limiti della
categoria oggetto, l'errore è estendere lo stesso paradigma
a tutti i campi del sapere in modo sistematico credendo che questo possa
trascendere ciò che non si può trascendere, ovvero l'Erlebnis (il
vissuto) che si manifesta nel mondo-della-vita. Secondo Husserl, il
maggior pericolo dell'Europa è la stanchezza: l'occidente vede ormai
che l'atteggiamento scientifico, ovvero il suo prodotto di punta, non è
più in grado di dare un senso alla vita (poiché non è più in grado di
rapportarsi alla fonte autentica della conoscenza che è il fenomeno puro).
Solo un grande sforzo di volontà che superi il naturalismo, ovvero
la tendenza ad oggettivare tutte le cose, può far superare la crisi. ...dalla
cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di
vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto
futuro dell'umanità: perché soltanto lo spirito è immortale.
Il “principio
speranza” di Ernst Bloch
(J. Ratzinger)
Il mio lavoro
di teologo mi ha condotto ad occuparmi, ad un certo punto, del pensiero di Ernst
Bloch (Ludwigshafen, 1885 – Tubinga, 1977) che
è stato uno scrittore e filosofo tedesco marxista, nonché teorico dell'ateismo, in cui il “principio speranza” è figura
speculativa che gioca un ruolo centrale.
Secondo Bloch, la speranza è l’ontologia del
non ancora esistente. Una filosofia che voglia essere “giusta” non deve mirare
a studiare ciò che semplicemente è
(ciò sarebbe conservatorismo o reazione); dovrebbe piuttosto – questo sarebbe
il suo vero compito – preparare quanto ancora non è: giacché ciò che esiste
attualmente è degno di scomparire, mentre il “mondo” veramente degno di essere
vissuto dev’essere ancora costruito. Il compito dell’uomo creativo è dunque
quello di edificare il mondo giusto che non esiste ancora. In questa elevata
missione, però, la filosofia deve svolere una funzione decisiva. Essa è il
laboratorio della speranza, l’anticipazione nel pensiero del mondo di domani,
anticipazione di un mondo ragionevole e umano: non più formatosi complice il
caso, ma pensato e realizzato dalla nostra ragione.
Ora ciò che mi ha colpito e sorpreso studiando
Bloch è stato l’uso dell’espressione “ottimismo” in tutto questo contesto. Per
lui (e per alcuni teologi che ne seguono la lezione) l’ottimismo è la forma e
l’espressione della fede nella storia, ed è perciò atteggiamento doveroso per
una persona che vuol servire alla liberazione della società, all’evocazione
rivoluzionaria del mondo nuovo. La speranza sarebbe dunque la virtù di fondo di
una “ontologia della lotta”: la forza propulsiva della marcia verso l’utopia. Leggendo
Bloch, mi sono reso conto che l’”ottimismo”
è la “virtù teologale” del “dio moderno”, della religione dei “tempi
nuovi”, di una storia “divinizzata”, del “dio della storia”. È dunque la
“virtù” peculiare al “grande dio” delle ideologie moderne, e alle loro false
promesse. (Tratto da J.
Ratzinger “Guardare Cristo” Esercizi
di Fede, Speranza e Carità – Jaca Book 1989)
PROGRAMMA incontri della quarta tappa:
PROGRAMMA incontri della quarta tappa:
l'eclissi della ragione
- 4t-1-La reazione a Hegel: Schopenhauer e Kierkegaa...
- 4t-2-La sinistra hegeliana: Feuerbach e Marx
- 4t-3-Positivismo e Darwinismo
- 4t-4-Spiritualismo e Psicanalisi
- 4t-5-Nietzsche: la morte di Dio
- 4t-6-Nietzsche: l'oltreuomo
- 4t-7-La Fenomenologia di Husserl
- 4t-8-Heidegger e l'esistenzialismo
- 4t-9-Idealismo italiano
- 4t-10-Neopositivismo e Pragmatismo americano
- 4t-11-La Scuola di Francoforte e Popper
- 4t-12-L'Ermeneutica di Gadamer e Benedetto XVI
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