mercoledì 24 maggio 2017

4t-3-Positivismo e Darwinismo

Le slides e la Dispensa





























Il Positivismo


Il Positivismo nasce in Francia all’inizio dell’800 e si propaga poi a metà secolo anche in Inghilterra, Germania e Italia. Il positivismo più che alla filosofia è legato alla scienza, ma ha segnato profondamente il pensiero occidentale e la filosofia ne ha comunque risentito.

I positivisti sono coloro che di fatto assolutizzano la scienza, cioè che ritengono che l’unica forma di conoscenza valida sia quella scientifica. Siamo in un’epoca in cui nasce l’era industriale, si fanno le prime grandi scoperte della Scienza, c’è un certo entusiasmo per la nascente speranza che i vari problemi troveranno una adeguata risposta nel progresso scientifico. La Scienza è comunque quella disciplina che Galileo Galilei di fatto ha messo in piedi. È il metodo, che ricordiamo, è basato sull’osservazione della realtà, metodo che dava certezze su ciò che si può misurare e si può quantificare, ma non dava spazio alla qualità, perché è un dimensione senza parametri di riferimento sicuri. Questo metodo di conoscenza stava dando frutti, creava progresso e benefici palpabili.
I positivisti quindi estendono il metodo scientifico anche ad altri ambiti, non soltanto alle scienze naturali, ma anche al mondo dell’uomo. Nasce quindi la Sociologia che cerca di tradurre in numeri (percentuali) i comportamenti dell’uomo nella società e la Psicologia che cerca di studiare la psiche umana con metodi scientifici.
È questo il momento in cui nascono le scienze umane che si staccano dalla filosofia e diventano scienze autonome, con un proprio metodo di indagine, con un proprio oggetto di conoscenza. Oltre alla Sociologia e alla Psicologia, nascono l’Antropologia, la Pedagogia. Il problema di questi pensatori sarà quello di vedere come il metodo scientifico si può applicare ai vari ambiti della conoscenza, cioè oltre le Scienze naturali.

Somiglianze fra Positivismo e Illuminismo

Il positivismo ha qualcosa in comune con l’illuminismo. Innanzitutto una fiducia smisurata nella ragione umana e nel sapere della ragione che è come un faro che illumina la realtà. In comune ha anche la polemica radicale nei confronti della metafisica, cioè contro tutto il sapere tradizionale, e contro tutto ciò che non è riconducibile alla scienza. In altri termini ciò che non è scientifico è falso e inganna l’uomo. La realtà vera è quella che appare e noi non ci dobbiamo che limitare a conoscere come la realtà è non chiederci il perché delle cose. Non bisogna andare illusoriamente alla ricerca del perché delle cose, ma limitarsi a prendere atto di come le cose sono e capirne il meccanismo. Non il perché delle cose, ma come.

Differenza fra Positivismo e Illuminismo

I positivisti hanno una diversa concezione della filosofia. Il sapere filosofico degli illuministi era fondamentale per abbattere le tenebre dei secoli precedenti. I positivisti vedono nella filosofia, sicuramente non una scienza, ma una materia che ci aiuta ad organizzare il sapere dell’uomo. Funzione solo organizzativa e non più conoscitiva. Ricordiamo che l’illuminismo era in forte polemica con il passato e soprattutto con la Chiesa Cattolica: “Schiacciare l’infame, - diceva Voltaire - bisogna abbattere il papato e la Chiesa Cattolica che è la fonte di ogni superstizione”. I positivisti invece non attaccano più la Chiesa e nemmeno il sapere tradizionale come fosse un nemico da combattere, ma come una stagione del passato, a cui noi ora, che siamo in possesso del vero sapere, guardiamo il passato con sufficienza, pensando che allora l’uomo non aveva a disposizione quello che sappiamo ora e si era arrangiato come gli era stato possibile.
Viene poi attribuita una data precisa per la fine del positivismo, la data dell’affondamento del Titanic (che nemmeno Dio poteva affondare) che avvenne il 15 aprile 1912 nel suo viaggio inaugurale.  Il Titanic rappresentava la massima espressione della tecnologia navale di quei tempi, una vera e propria sfida dell’uomo ormai padrone della scienza e del suo progresso.

Auguste Comte  (Montpellier,  1798  Parigi, 1857)

Auguste Comte è giustamente considerato il padre del Positivismo e della Sociologia. Discepolo di Henri de Saint-Simon, è generalmente considerato l'iniziatore di questa corrente filosofica. Comte coniò la parola sociologia e considerava questo campo disciplinare come un possibile terreno di produzione di conoscenza sociale basata su prove scientifiche.  Volendo sbarazzarsi della metafisica, esalta quasi religiosamente la conoscenza scientifica che mira ad osservare per conoscere senza apriorismi.
Si richiama comunque a Kant e Leibniz affermando che nell'uomo esistono disposizioni mentali spontanee. Il libro che secondo la maggior parte degli storici segna l'inizio del Periodo positivista è il Corso di Filosofia Positiva, monumentale opera che raccoglie i suoi cicli di lezioni. Negli ultimi anni Comte fondò una sorta di religione atea e scientifica, la Chiesa Positivista La sua citazione «Ordine e progresso» figura sulla bandiera del Brasile (Ordem e progresso).

La Vita


Auguste Comte nasce a Montpellier in Francia nel 1798 da famiglia di sentimenti cattolici   e monarchici legittimisti, contrari al governo rivoluzionario e a quello di Napoleone, e sostenitori della deposta dinastia dei Borbone di Francia. Nel 1814 entra all'Ecole polytecnique di Parigi e nel 1817 incontra il filosofo socialista Saint-Simon di cui divenne segretario e con il quale collaboro' per sette anni. Nel 1822 pubblica "Il piano dei lavori scientifici necessari per riorganizzare la società ", dopo due anni romperà la collaborazione con Saint-Simon e successivamente nel 1826 inizia nella propria abitazione un corso di filosofia. L'opera più celebre di Comte "Corso di Filosofia positiva" appare nel 1830, è il primo di sei volumi, i cinque volumi successivi verranno pubblicati tra il 1835 e il 1842. Nonostante il successo ottenuto dalla pubblicazione del primo volume, Comte, non ottiene nessun riconoscimento accademico
Nel 1844 propone in occasione di un corso di astronomia popolare, una delle migliori sintesi del suo pensiero "Il Discorso sullo spirito positivo", nello stesso anno perderà il posto di esaminatore riuscendo a vivere a stento grazie ai sussidi ottenuti da amici e discepoli.
Colpito da un disagio psicologico depressivo - causato dai tradimenti della moglie, l'ex prostituta Caroline Massin - che lo tormenterà tutta la vita. Tentò il suicidio gettandosi nella Senna ma fu ripescato da una guardia reale. Figlia illegittima di attori di provincia, Caroline Massin gestiva una sala di lettura nel Boulevard du Temple. Secondo le sue stesse dichiarazioni, incontrò Auguste Comte nel periodo in cui ella si prostituiva presso il Palazzo Reale, e lui era probabilmente uno dei suoi clienti, ma la relazione fissa fra i due si instaurò solamente due anni dopo. Sposò Comte nel febbraio del 1825, ma il matrimonio non fu felice e i due si separarono definitivamente nell'agosto del 1842. Ciononostante, Caroline continuò a seguire l'opera di Comte per tutta la sua vita, come bibliotecaria.  Comte stenterà parecchio a riprendersi dal crollo della sua unione con Caroline, innamorandosi di donne fisicamente molto simili all'ex moglie.
Dopo il fallimento del matrimonio, conosce Clothilde de Vaux, giovane sorella di un suo allievo, di cui si innamora, ma che morirà pochi mesi dopo, dopo aver rifiutato la sua proposta di matrimonio perché malata di tubercolosi; la vicenda accentuò il suo disagio psichico e ne influenzò il pensiero in senso mistico-religioso, senza che Comte tornasse alla religione tradizionale: nacque così la filosofia scientista del Catechismo positivista, che idealizzò la scienza e la figura di Clothilde. Il filosofo tornò a vivere con la madre Rosalie Boyer, e adottò la sua domestica Sophie.
Si entusiasmò inizialmente per la rivoluzione francese del 1848, prendendone le distanze quando vide che la società non fu organizzata razionalmente e ordinatamente (errore che egli riscontrava anche nella prima rivoluzione francese), esprimendo criticità nei confronti di Luigi Napoleone, che invece sostenne quando Bonaparte ascese al trono imperiale con il nome di Napoleone III.
Comte morì a 59 anni nel 1857, a causa di un'emorragia interna, forse conseguente ad un tumore allo stomaco, lasciando incompiuta l'opera: Sistema soggettivo o sistema universale delle concezioni proprie dello stato normale dell'Umanità. Venne sepolto al cimitero del Père Lachaise.

Corso di Filosofia positiva

Ogni forma di sapere, afferma Comte in questa sua opera principale, passa successivamente per tre stati differenti e teorici: è la Legge dei tre stati, che egli asserisce di aver ricavato da considerazioni storiche oltre che dall'osservazione dello sviluppo organico dell'uomo.

Comte eredita dall’illuminismo l’idea di Progresso. Ricordiamo che l’idea di progresso è un contributo del cristianesimo nella cultura occidentale. È il cristianesimo che afferma che la storia procede per tappe, dalla creazione, alla caduta, alla venuta del Messia, alla redenzione, che farà da sparti acque fra due ere, il prima e il dopo Gesù Cristo e la parusia, cioè il ritorno finale del Figlio di Dio.

L’illuminismo utilizzò l’idea che la storia è una linea retta, sempre in progresso, cioè il dopo è sempre meglio del prima (dalle tenebre del passato alla luce del futuro). Il marxismo pure, aveva creduto di individuare la legge scientifica della storia. La storia marcia progressivamente e dialetticamente verso una meta certa e scientificamente provata e che non poteva non concludersi che con il comunismo realizzato, un vero e proprio paradiso terrestre.

Comte si muove anche lui in questa visione progressista della storia che continuerà sostanzialmente fino a Nietzsche che invece recupererà l’eterno ritorno nella visione ciclica della storia. Comte individua quindi una regola con la quale la storia si muove sia in ciascun individuo che l’umanità in genere. Una regola che si compone di tre stadi.

Il primo stato è quello teologico o fittizio, il secondo stato è metafisico o astratto, il terzo, infine, è scientifico o positivo.

Lo stato teologico è il punto di partenza necessario dell'intelligenza umana, in cui l'uomo mediante la fantasia attribuisce tutti i fenomeni naturali ad enti divini, soprannaturali e trascendenti e nello sviluppo del genere umano corrisponde all'infanzia. Vi corrisponde anche una organizzazione politica: la teocrazia.  

Lo stato metafisico è soltanto transitorio, in questa fase l'uomo mediante la ragione si chiede il perché delle cose e si spiega i fenomeni della natura in base a forze occulte misteriose e astratte, metafisiche e immanenti nella natura stessa. Modelli ideali con i quali cerchiamo di spiegare la realtà. Comte lo paragona alla giovinezza o adolescenza dell'uomo ed è caratteristico dell’epoca moderna, fino cioè alla rivoluzione francese. Anche questo comporta una organizzazione politica che sostanzialmente è la democrazia in mano alla borghesia.

Lo stato positivo è quello di arrivo e definitivo, (reale, non più immaginata), l'uomo rinuncia alle indagini dei primi principi, del perché delle cose e della loro intima essenza e mediante la sola esperienza osserva i fenomeni naturali così come essi accadono, collegandoli tra loro secondo le loro leggi. Questo stadio viene paragonato alla maturità dell'uomo e ad esso corrisponde politicamente il governo degli scienziati e dei tecnici. Chi conosce la realtà in modo scientifico e poi in grado anche di organizzare anche la vita sociale.

L'esempio più importante della spiegazione positivista è quello delle legge di Newton sull'attrazione; tutti i fenomeni generali dell'universo sono spiegati dalla legge di gravitazione newtoniana giacché questa legge considera la varietà dei fatti astronomici come un solo unico fatto guardato, però, da punti di vista diversi e consente di unificare con esso tutti i fenomeni fisici. (La storia ci confermerà poi che i governi dei tecnici saranno sempre un vero disastro, non si può gestire l’uomo come una macchina o un fenomeno fisico, l’uomo è una persona. Ndr).


I principi della Scienza.


Quali sono dunque i principi di questa nuova scienza che Comte eredita sia dalla tradizione empirista che da quella razionalista che caratterizzano il ‘600? Sicuramente il fondamento empirico della  conoscenza, che riprende da Loke che da san Tommaso d’Aquino: “nulla è nell’intelletto che prima non sia passato dai sensi”.
C’è una prospettiva antiessenzialista che non si occupa più del perché delle cose ma si limita a come le cose si svolgono, non c’è più il “Noumeno”, la cosa in sé, ma solo come il mondo ci appare, il grande Pan è morto anche per Comte. C’è solo il divenire dei fenomeni, non c’è nulla di stabile. La nostra conoscenza dei fenomeni ci permette caso mai di prevenire come il fenomeno si potrà comportare e quindi di poterlo gestire. Questo potrebbe essere un surrogato della stabilità, una sorta di fede nella padronanza dei fenomeni che l’uomo ha capito e che per questo si illude di poter gestire con sicurezza. (Altro mito che cadrà non solo con l’affondamento del Titanic, ma con molte altre disillusioni che il ‘900 porterà con sé. Ndr).
Altro mito del positivismo di Comte è l’avalutabilità della scienza. L’idea cioè che lo scienziato è uno che guarda il mondo senza pregiudizi, senza anticipare la natura, ma che semplicemente si mette in ascolto della natura. Lo scienziato è neutrale. Per esempio il Sociologo è colui che dice come i fenomeni sociali si svolgono, quantifica la società e i suoi fenomeni, ma non dà giudizi di valore, coglie caso mai la regolarità o la irregolarità dei fenomeni analizzati. Con la ragione l’uomo riesce a conoscere le leggi di svolgimento dei fenomeni e conoscendo questi in qualche modo riesce ad anticiparne la natura.
Ultima caratteristica di questa scienza assurta ad unico criterio di giudizio per i positivisti e per Comte in particolare é quello del principio di economia: non bisogna moltiplicare gli enti, non bisogna spiegare la realtà complicandosi la vita, ma bisogna assumere quell’unico principio, il più semplice, che rende ragione degli altri (concetto già espresso da Guglielmo d’Ockman e dal suo rasoio).
Comte fa una classificazione delle scienze e dice che questi tre stadi (infanzia, adolescenza e maturità) riguardano tutte le scienze, alcune hanno già raggiunto la maturità alte non ancora. Le più generali come l’astronomia, la fisica e la chimica hanno già raggiunto la maturità, altre come la biologi a e la sociologia vi si stanno avviando.
Comte dice che bisogna applicare l’approccio scientifico anche alla società, perché la scienza non è soltanto conoscenza della natura ma è la conoscenza unica che l’uomo ha. Dobbiamo applicare il metodo scientifico a tutti gli ambiti dell’umano e del sociale, fra cui appunto la Società con la Sociologia.
Il problema della sociologia è che la quantificazione è difficile, la misurabilità pure. Quantificare i fenomeni umani, sociali, sentimentali religiosi, ecc. è molto più difficile e complesso che per le scienze ormai mature. C’è il dubbio che la sociologia non possa nemmeno raggiungere la maturità. Queste nuove scienze ritengono di avere comunque la possibilità di arrivare, col tempo a questa maturità.

La religione della Scienza

Compte ad un certo punto della sua travagliata vita, che lo porta a gravi crisi depressive, crea una vera e propria religione della scienza e scrive un Catechismo positivista. Pensa che la società debba procedere sempre più scientificamente per giungere finalmente alla grande religione dell’umanità, di derivazione massonica, in cui l’uomo organizzerà la società secondo la religione della Scienza. Una vera e propria scimmiottatura del cattolicesimo, con giornate dedicate agli scienziati e ai benemeriti del progresso scientifico, invece cha ai santi, con veri e propri templi (chiese possibiliste). Per esempio il Tempio possibilista di Port Alegre in Brasile porta la scritta “l’amore per principio, l’ordine per fondamento, il progresso per fine”. Ha i suoi sacerdoti il cui abito talare è il camice bianco, gli Scienziati, come membri ufficiali e poi il papa, lo stesso Comte.
Anziché sopprimere la religione come vorrebbe Marx, l’ateo Comte ne propone una che veneri l’uomo, l’umanità, il grande essere. C’è una nuova trinità scientifica o trinità positiva, composta dal Grande Essere che è l’umanità, il Grande Feticcio che è la terra, il Grande Mezzo che è lo spazio. Comte è il grande pontefice di questa religione e ne fissa anche il calendario liturgico.
Non si sa bene se questa religione è stato il naturale sbocco dei suoi studi sul positivismo e sulla sociologia, della quale è padre indiscusso, o piuttosto una conseguenza di forti nevrosi che attanagliavano il suo animo vulnerabile e alquanto provato dalle sfortunate vicissitudini della sua vita.

Charles Robert Darwin (1809 – 1882)


Nasce in Inghilterra poco dopo Comte. Ancora giovanissimo, cioè a 16 anni, viene iscritto dal padre agli studi di medicina, per assecondare la sua predisposizione alle scienze. Abbandonerà presto questi studi perché non regge la visione delle prime autopsie a cui deve partecipare come studente. Cosa che avviene ancor oggi quando qualche studente di medicina sviene davanti ai primi interventi sul corpo umano. Il padre deluso degli insuccessi negli studi di medicina e preoccupato per il suo futuro, lo mandò nel 1828 nel Christ's College (anglicano) a Cambridge, sperando in una sua carriera ecclesiastica. Il giovane Darwin, per non dispiacere al padre si licenzia in Teologia, ma i suoi interessi sono decisamente per la scienza. Farà a questo proposito due viaggi, il primo più breve il secondo decisamente più lungo e importante, un vero e proprio giro del mondo. Si sposa e avrà ben 10 figli di cui tre moriranno molto piccoli. Questo trauma lo allontanerà sempre di più dalla famiglia perché vedrà in essa un luogo di dolore e di angosce più che un impegno ed una responsabilità. La dimensione di ricercatore appassionato avrà quindi oltre che una sua naturale predisposizione anche una certa spinta all’evasione dalle responsabilità più dirette della famiglia.
Il suo primo viaggio sarà nei mari all’intorno dell’Inghilterra è sarà, se pur breve, l’inizio della sua specificità, quella che farà di Darwin il vero padre della ricerca scientifica nel senso positivista dell’ottocentesco. È un ricercatore sul campo, diverso dai suoi predecessori teorici e sulla carta, cioè senza sporcarsi le mani nel reale effettivo delle cose. Mette in pratica per primo il ruolo del naturalista, di colui che studia e indaga e cerca di scoprire le leggi profonde della natura.
La tipologia del naturalista, secondo Darwin e da Darwin in poi, è l’indagine sul campo. Questa indagine sul campo e la possibilità di sperimentarla in proprio arriva a Darwin quasi per caso.
Dopo la vittoria su Napoleone dell'inizio dell'Ottocento, la flotta inglese rimase padrona del mare. Il governo inglese fece costruire sette navi attrezzate con le strumentazioni scientifiche più moderne; fra queste c'era il brigantino Beagle al comando del capitano Robert Fitzroy. In occasione del suo secondo viaggio intorno al mondo, il capitano della nave chiese di avere a bordo un naturalista per descrivere le specie animali e vegetali trovate. I professori di Cambridge, interpellati, proposero il giovane e promettente Charles Darwin.
Questo avvenne proprio quando il 22enne Darwin era appena rientrato dalla spedizione in Galles.  Ma come naturalista di bordo era già stato proposto il reverendo anglicano  Leonard Jenyns, stimato entomologo, ma questi si era ritirato all'ultimo momento, ragion per cui il 24 agosto 1831 Darwin ricevette una lettera nella quale gli si proponeva di prendere il suo posto.
Il padre tuttavia, insospettito dal fatto che per una spedizione di sì ampia portata non avessero trovato altri che lui (e per giunta senza ritorno economico) fu contrario fin dall'inizio. Il giovane Darwin rispose  pertanto con una lettera di diniego.
Dopo alcune traversie e rimandi  però decide di presentarsi  al capitano, che nonostante fosse molto autoritario  e di idee politiche opposte alle sue, fu ben impressionato dal suo entusiasmo e dalla sua raffinatezza, sicché l'accordo  fu raggiunto. Darwin non sapeva, in realtà, che una delle finalità del viaggio, nella mente del capitano Fitzroy, era esattamente opposta alla sua: oltre alla finalità ufficiale di completare il rilevamento geografico di terre fino ad allora in parte inesplorate, il capitano si proponeva in realtà anche lo scopo di rinvenire prove "scientifiche" degli avvenimenti descritti nella Bibbia, con particolare riferimento alla Genesi.
A 22 anni quindi  Darwin si imbarcò per la sua meravigliosa avventura e tornò a casa a 27 anni con molti taccuini pieni di appunti, casse colme di pietre, piante e scheletri animali, e molte idee originali in testa. In questo viaggio il giovane Darwin costruisce  sul campo, e non a tavolino, una sua teoria scientifica, che verrà esplicitata nella sua grande opera “L’origine della specie”, pubblicata al compimento dei suoi cinquant’anni (1859).
L’opera ha un enorme impatto nella cultura ottocentesca, anche perché gli studiosi e gli scienziati che si definivano naturalisti avevano fino ad ora solo utilizzato cose già dette e “rimasticate” da altri, rimbalzate da una cattedra all’altra con scarsa e inaffidabile documentazione e mai verificate sul campo con la scrupolosità e la professionalità di Darwin.

 “L’origine della specie”

Passiamo ora ad evidenziare qual è la tesi fondamentale della sua opera. Le specie (animali e vegetali), contrariamente a quanto pensa la maggioranza, compresi i suoi contemporanei, non sono state create da Dio, come afferma il libro della Genesi, così come le vediamo ora. Le specie hanno avuto una origine diversa da come ora noi le vediamo. Le specie sono il frutto di una evoluzione, che ha procurato una selezione e da questa selezione le specie sono diventate quelle che sono oggi.
Darwin arriva ad elaborare questa teoria attraverso la comparazione fra la natura viva che osserva ai suoi giorni e alle varie latitudini e i fossili che trova negli stessi posti da lui visitati. Comparazione quindi fra l’animale e il vegetale che trova su di una determinata isola e i fossili che li stesso trova scavando e cercando, ma anche comparazione fra animali simili della stessa specie o di specie similari che lui trova nei vari siti che analizza o fra una isola e l’altra. È un metodo che lui organizza in volumi e volumi di osservazioni scritte e disegnate. Qual è allora la novità scientifica e dirompente dell’opera di Darwin? È che improvvisamente il mondo appare allo scienziato, ma anche al semplice lettore di questi documenti, in maniera completamente diversa dal passato, cioè completamente rovesciato. Bisogna allora capire la nuova storia del vegetale e dell’animale che abbiamo davanti, anzi debbiamo trovare la preistoria che sta dietro ad ogni specie di vegetale e di animale. È questo il problema che si pone ora al ricercatore scientifico.
A noi ora interessano gli aspetti filosofici conseguenti a questa tesi di Darwin, cioè quello della storia del pensiero occidentale. Per fare questo occorre collegare il Darwin dell’ottocento con il suo compimento nel ‘900 che è l’opera “Il caso e la necessità”, pubblicato nel 1970 dal suo discepolo Jacques Lucien Monod (1910  1976). In questo suo lavoro viene esplicitata la teoria del “casualismo”. Tracce consistenti del casualismo le troviamo comunque già in Darwin stesso. C’è un evidente conflitto fra le osservazioni del naturalista Darwin e le tesi a lui precedenti fondate, e lo si credeva solidamente, sulle affermazioni bibliche. C’è quindi un evidente conflitto fra Religione e Scienza. La Bibbia è “creazionista”, cioè Dio ha fatto il mondo così come lo vediamo e ha fatto ogni specie vegetale e animale così come noi le vediamo oggi. Se per caso dovessimo trovare un animale o un vegetale diverso dalla attuale sua specie di appartenenza questo può solo essere un difetto, non certo un miglioramento rispetto a come lo ha creato Dio, difetto che porta alla sua estinzione e  non certo alla sua riproducibilità. Altrimenti si dovrebbe credere che Dio ha creato vegetali o animali non perfetti. Dio non può fare male le cose. Quindi quanto vediamo è come è uscito dalle mani del Creatore.
I risultati della ricerca di Darwin portano all’opposto. Non sono subito una posizione filosofica, ma sono e saranno il perno del “casualismo”. Il mondo non esce da una intelligenza divina, non è il prodotto di una intelligenza, ma è il prodotto del caso. Nasce qui il conflitto fra scienza e religione, fra creazionismo e casualismo. Si viene formando allora una teologia fondamentalista che prende un testo come la Bibbia che ha una sua specifica finalità religiosa, una determinata indole religiosa e lo tratta  e lo considera come se avesse un’altra finalità ed un’altra indole, per esempio quella scientifica. In altre parole, prendere la Bibbia che ha una finalità puramente religiosa e la trasforma o la forza a diventare un testo scientifico, cioè che ci dice le cose come sono andate davvero dal punto di vista scientifico, quindi un vero e proprio testo scientifico. Quest’ultimo non è davvero lo scopo della Bibbia. La teologia fondamentalista non sta in piedi e varrà quindi rifiutata, certamente sarà oggetto di conflitti intellettuali che cadranno poi da soli.
Il primo problema che si pone fra i risultati delle ricerche di Darwin e la posizione teologica e religiosa è quindi un conflitto fondato sull’equivoco, molto simile al caso Galilei in cui si cerca di denigrare la Chiesa per irrazionalità e oscurantismo quando nella realtà è vero proprio il suo contrario.
Il secondo problema è il rapporto di Darwin rispetto alla scienza del momento. Darwin è molto sfumato nelle sue considerazioni. Leggendo i suoi trattati si nota che lui stesso è pieno di perplessità a proposito delle sue tesi, egli non intendeva proporre uno schema interpretativo della natura che fosse esaustivo e per giunta inamovibile e definitivo. Riteneva di dare semplicemente un contributo, seppur fondamentale, aperto a futuri apporti. Sono stati i suoi discepoli, più darwinisti di Darwin, che della sua proposta di interpretazione scientifica dei dati da lui raccolti ne hanno ricavato un vero e proprio sistema completo e definitivo. Sistema che poi non riuscirà a reggersi con il progredire delle ricerche e delle scoperte successive. Oggi nessun scienziato è darvinista, nessun scienziato pensa che effettivamente le cose possano funzionare come Darwin le descriveva nella sua opera. La scienza ha dimostrato che l’ipotesi di Darwin è più che interessante e affascinante, ma che non ha mai potuto essere dimostrata scientificamente, nemmeno con i mezzi d’indagine più che sofisticati oggi a disposizione, come per esempio il DNA, ma a scuola spesso è ancora insegnata come scienza confermata e applicabile addirittura anche all’uomo.

“Il caso e la necessità” di Jacques Monod.

È interessante prendere in considerazione l’opera “Il caso e la necessità” del discepolo più coerente con il suo maestro e che abbiamo già citato, Jacques Monod.  In questa sua opera principale nella quale lui intendeva continuare e perfezionare i contributi di Darwin. Inizia dapprima con il riepilogare la tesi darviniana: ogni specie, apparsa sulla terra per caso, ha eliminato con l’andare del tempo, gli elementi, i caratteri, le funzioni, le qualità svantaggiose per la specie ed ha acquisito quelle vantaggiose. È questa forse la conseguenza di un finalismo, cioè di una intelligenza ordinatrice? Monod lo esclude. Infatti metà del suo libro è dedicato a smontare la posizione finalistica. Nella seconda metà del suo lavoro Monod sostituisce la posizione finalistica con una nuova teoria, la “Telenomia”.
Telenomia è un parola che proviene dal greco “telos” e da “nomos” cioè “finalità” e “norma”. Cioè la “regola del finalismo”. Quindi Monod esclude il finalismo e mette al suo posto la regola del finalismo (la telenomia). Paradossalmente l’unico modo per dare ancora voce e credibilità all’opera di Darvin è quello di ricondurlo ad una visione finalistica, negata dalla porta d’ingresso, ma rientrata dalla finestra con un nome diverso, ma che vuol dire la stessa cosa.
Il Darwin scienziato, nato contro il creazionismo, viene oggi salvato solo abbinandolo ad una visione finalistica, altrimenti crolla proprio nelle sue pretese scientifiche. Sebbene l’intento di Darwin e dei suoi discepoli è tutt’altro che filosofico, non c’è dubbio che l’impatto, l’influsso sulla storia del pensiero, cioè sulla filosofia, è stato molto forte. Per le premesse da cui partiva, il positivismo, e per le conseguenze a cui arriva, cioè una sua visione del mondo, una sua visione dell’uomo, una sua visione di Dio. Il mondo, l’uomo e Dio, sono i tre classici soggetti della filosofia: chi è Dio, cosa è l’uomo, che cosa è il mondo. Visto così il positivismo è filosofia, il darwinismo è filosofia.

Il darwinismo

L’impatto della dottrina di Darwin sulla cultura fu così grande  da durare tuttora, ben oltre i confini della biologia. Questo perché la singolare attitudine del darwinismo ad accendere la possibilità che la vita, i minerali, i vegetali, gli animali ed anche l’uomo possano essere apparsi sulla terra per puro caso, cioè per combinazioni casuali, ha entusiasmato i fautori del principio ateo della “casualità” contro la “creatività”  sostenuta dall’oscurantismo cattolico.
Scientificamente la teoria darwiniana è risultata non vera. È risultato invece, grazie al DNA, che ogni individuo ha avuto origine da una coppia di animali o umana identica a quella che vediamo oggi. Non tutti però hanno accettato questa evidenza e cercano di riabilitare, con qualche salto mortale di troppo, almeno una parte di questa teoria.

L’evoluzione della specie e la Bibbia


Si è volutamente sorvolato sulla sostanza scientifica sia del positivismo che del darwinismo, così come sul fallimento dei loro obiettivi e i loro conflitti con la religione, perché il tanto odiato cattolicesimo, non è mai stato contro la scienza, come i suoi detrattori cercano sempre e in ogni occasione di dimostrare  (il caso Galilei, il caso Giordano Bruno, il darwinismo, ecc.) anzi spesso si è mostrato più razionale, competente e di buon senso dei suoi nemici. Diciamo di più, la Chiesa ha sempre favorito lo studio di ipotesi e intuizioni che potessero far meglio comprendere il creato. Quello che la Chiesa cattolica non ha mai accettato è che si affermassero come leggi scientifiche quelle che tali non lo sono, cioè quelle che non sono galileianamente dimostrabili, cioè scientificamente dimostrabili. Va da sé che i progressi della scienza, dell’antropologia, della archeologia, ecc. hanno più spesso confermato che contrastato la Bibbia e che chi più seriamente affronta la scienza, più scopre le meraviglie del Dio creatore. Quello però che rimane nella mente dell’uomo della strada, giovane e meno giovane è che il darwinismo è una interessante scoperta scientifica moderna che appaga il non credente (veniamo dal caso e non da Dio) e mette in crisi il credente che comunque apprezza le scoperte scientifiche, ma che sente imperioso il bisogno di essere voluto e amato da un Dio padre e creatore e non essere figlio del nulla. (Casualismo contro Creazionismo).

Un interessante approfondimento su questi temi lo troviamo nel libro di Marano ArtigasLe frontiere dell’Evoluzionismo” edizioni ARES, nel quale l’autore, scienziato e teologo, dimostra come lo scienziato e il teologo, pur utilizzando strumenti diversi sono in grado di dimostrare la fondamentale armonia dell’universo e l’impossibilità che la vita e l’ordine del cosmo possa aver origine dal caso [Ndr].

Nuovi errori di Darwin

Altro testo interessante, è quello di Hans-Joachim ZillmerL’errore di Darwin” ed. PIEMME. L’evoluzione è certamente una ipotesi interessante (anche se non è mai stata galileianamente dimostrabile). Quello che è assurdo e che va fortemente criticato sono gli -ismi: il creazionismo (protestante americano), lo scientismo, il riduzionismo, il razionalismo e sopra tutto il neodarwinismo, quella deriva filosofica che strumentalizza il pensiero di Darwin per giustificare la propria posizione ateistica. La selezione naturale è una teoria scientifica non un dogma, è falsificabile e criticabile come tutte le altre teorie non dimostrate scientificamente. E’ inoltre piena di lacune e di non spiegazioni e questo la rende molto traballante, sono quindi ridicoli i tentativi delle cricche laiciste, con a capo Richard Dawkins, di promuovere l’ateismo basandosi sul dogma darwiniano. Dogma, ripetiamo scorretto ed incompleto, come dimostrano le sempre più critiche che riceve, non solo da ambienti creazionisti ma anche da quelli laicisti. Si veda il testo pubblicato recentemente anche in Italia da due evoluzionisti atei: “Gli errori di Darwin. Uno degli autori, l’evoluzionista Massimo Piattelli-Palmarini, ha addirittura dichiarato: «Il darwinismo è morto e non resuscitabile».
Due anni fa era la rivista scientifica New Scientist a screditare il pensiero di Darwin. E in questi giorni alcune riviste di biologia stanno pubblicando altri risultati che contraddicono il pensiero del grande naturalista sulla sopravvivenza del più forte. Ad esempio, Biology Letters ha scritto: «Charles Darwin ha avuto torto quando ha sostenuto che la concorrenza fra le specie è stata la forza trainante fondamentale dell’evoluzione. Lui ha immaginato un mondo in cui gli organismi hanno combattuto per la supremazia del più forte. Ma la nuova ricerca individua la disponibilità di “spazio vitale” non abitato da altri animali, piuttosto che la concorrenza, come il fattore fondamentale per l’evoluzione». Questi nuovi studi sono stati condotti dagli evoluzionisti Sarda Sahney, Michael Benton e i colleghi dell’Università di Bristol, i quali hanno dichiarato alla BBC News: «La concorrenza non ha giocato un grande ruolo nello schema generale dell’evoluzione».

Questo è solo un esempio fra i tanti che dimostra la fallacità del darwinismo. Ma la  questione è diventata per alcuni una questione assolutamente ideologica e folle. Il talebano di Darwin, Richard Dawkins, proprio quest’anno ha pubblicato il suo ultimo ed ennesimo noioso libro intitolato “Perché Darwin aveva ragione” e il suo chierichetto Piergiorgio Odifreddi lo ha preceduto con “In principio era Darwin“. Fra qualche anno sarà necessario avviare un tentativo di riconciliazione tra ateismo e scienza. (Resta comunque un racconto affascinante quello della Genesi, specialmente se lo leggiamo con amore e riconoscenza nel buon Dio [Ndr]).

Darwin a scuola


(1 febbraio 2012,  lettera di Vittorio Melandri in risposta al suddetto articolo di Corrado Augias su  la Repubblica)

Caro Augias, sono passati otto anni, da quando è scomparso dalla scuola italiana l’insegnamento della “Teoria dell’evoluzione della specie” (come scientificamente vera). Allora, anche grazie ad una sollevazione di alcuni media e dello stesso mondo scientifico, la responsabile del ministero dell’istruzione già non più “pubblica”, Letizia Moratti, insediò una commissione presieduta dal premio Nobel Rita Levi di Montalcino. Alla conclusione dei lavori, questa suggerì il reinserimento di Darwin nel curricula, non più alla voce “teoria dell’evoluzione”, ma alla voce: “Interazioni reciproche tra geosfera e biosfera e loro coevoluzione di Darwin” (cosa vorrà dire?). Da allora molte cose sono cambiate, ma alla cacciata di Darwin dalle scuole italiane non si è ancora posto rimedio. Vittorio Melandri (Vedi: L’insegnamento dell'evoluzione nella scuola dell'obbligo in http://camcris.altervista.org/evoluzionesc.html)

Oltre il positivismo - Benedetto XVI al Bundestag

Senza riferimento a Dio il diritto rimane privo di fondamento.
Articolo di Benedetto Ippolito, mercoledì 28 settembre 2011

Non è stato necessario attendere neanche un giorno per rilevare l’importanza del discorso tenuto da Benedetto XVI giovedì scorso al Bundestag, nell’ambito di un viaggio in Germania denso di appuntamenti e di confronti. D’altra parte, la Camera Alta era il luogo perfetto per proporre una riflessione profonda sul senso della politica e collocare nella giusta prospettiva l’attività primaria dello Stato, quella di fare le leggi. Nel cuore dell’Europa il Papa ha voluto sollecitare la coscienza tedesca sulle radici giuridiche dell’Occidente, che sono state assicurate stabilmente nel tempo dall’incontro felice tra la religione cristiana, la filosofica greca e la giurisprudenza romana.
Di là del ragionamento stretto sui fondamenti validi del diritto naturale, per altro già affrontato nelle prime tre Encicliche del suo intenso pontificato, a Berlino Benedetto XVI si è soffermato prevalentemente sull’enorme problema del significato delle leggi, la cui forza e influenza è riscontrabile nelle moltissime applicazioni concrete della vita di tutti i giorni. Più nello specifico, Ratzinger ha osservato come «la visione positivista – cioè puramente formale – del mondo sia una parte grandiosa della conoscenza umana, alla quale non dobbiamo rinunciare. Ma essa non è una lettura che corrisponda e sia sufficiente per essere uomini in tutta l’ampiezza».
Ciò emerge lampante nelle decisioni sbagliate che orientano le opzioni di chi governa davanti a questioni morali difficilissime. L’esempio più immediato è lo scarso rispetto ecologico del creato, con l’inadeguato e irresponsabile uso spregiudicato e iniquo delle risorse presenti. Un’attenta considerazione ambientale può nascere, in realtà, solo dalla consapevolezza essenziale che «l’uomo non crea se stesso», perché la sua «natura personale non è esaurita dalla libertà». Tale è, in effetti, il confine preciso che distingue una comprensione etica del mondo da un uso strumentale e spregiudicato del territorio.
In tal senso Benedetto XVI ha aperto un confronto esplicito con il padre del pensiero giuridico tedesco, Hans Kelsen, ricordando come questi, dopo aver cercato invano di costruire un sistema esclusivamente basato sulla legge scritta, sia dovuto incorrere alla fine in insormontabili e sfibranti contraddizioni.

Il pensiero di Kelsen si è arenato per la rinuncia totale alla sola idea risolutiva che dà fondamento logico al diritto, ossia il riferimento trascendente a Dio. Come sanno i teologi, infatti, l’unico pilastro con cui è possibile salvaguardare l’intelligenza, la libertà dell’uomo e il rispetto della natura circostante è solo Dio creatore, perché Egli è il principio che permette di concepire il valore supremo della natura creata rispetto ai tanti interessi esistenti. La responsabilità dell’uomo davanti a Dio genera, infatti, una base sicura alla politica e al diritto, che accosta pienamente la democrazia delle istituzioni ad alcuni valori universali insindacabili, cioè indipendenti dal dispotismo del potere. Una grande e imperiosa lezione morale, quella del Papa, che esorta i parlamentari ad approfondire e accrescere la tecnica giuridica, favorendo appunto il buon diritto, arginando e risolvendo i limiti di un legalismo privo della razionalità sufficiente a garantire istituzioni giuste e valide per tutti. In tal modo, non soltanto lo scontro tra libertà e legalità diviene compatibile con una ragionevole ed equilibrata convivenza democratica, ma i presupposti del potere giudiziario e legislativo riescono a concorrere armonicamente nel produrre un sistema giusto, che sappia riconoscere costantemente il valore integrale della persona umana, fine superiore rispetto alla codificazione astratta della legge positiva. In definitiva, secondo Benedetto XVI la giusta legalità è salva solo quando esiste una base di verità che guidi con intelligenza le libertà individuali. © Copyright Avvenire, 28 settembre 2011

PROGRAMMA incontri della quarta tappa:

l'eclissi della ragione



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