martedì 23 maggio 2017

4t-8-Heidegger e l'esistenzialismo

Le slides e la Dispensa









































Martin Heidegger (1889-1976)



Questa formazione rigidamente religiosa sfocia fra l'altro in un breve periodo di noviziato gesuita, interrotto nel 1911 da una crisi psico-fisica che segna anche il suo primo allontanamento dalla chiesa e dal pensiero teologico; la crisi spirituale di Heidegger coincide con l'inizio degli studi logico-filosofici a Friburgo, e con la lettura, appunto, dell'opera di Husserl "Idee per una fenomenologia pura". Nel 1918 si trova ad essere assistente di Husserl, di cui in breve tempo diventerà una sorta di "figlio spirituale".  Nel 1927 pubblica il suo "capolavoro" "Essere e tempo". Nel 1932 Hitler trionfa alle elezioni politiche e viene nominato cancelliere: si profila un lungo periodo dominato dall'ideologia nazista. Heidegger inizialmente scambia il fervore nazionalista di Hitler per una ripresa morale della Germania e dell'Occidente nel suo insieme, tanto che non esita a prendere posizione a favore del nazismo. L’ideologia nazista è vista da Heidegger come portatrice di energie nuove. Dopo la seconda guerra mondiale Jean-Paul Sartre contribuirà grandemente alla riabilitazione internazionale del collega tedesco. Il progetto fallisce, ma comunque si avvia uno scambio epistolare tra i due filosofi che condurrà Heidegger a stendere la famosa "Lettera sull'umanismo" con la quale prende decisamente le distanze dalla corrente esistenzialista ormai diffusa in tutta Europa (la quale continuerà a vedere in lui un importante rappresentante, almeno per la parte iniziale del suo pensiero). Quella di Martin Heidegger,  filosofo dell'esistenza, erede dell'esistenzialismo religioso di Kierkegaard, fu anche l'interpretazione prevalente del suo pensiero fra le due guerre ("L'essere e il nulla" di Sartre è largamente debitore di "Essere e tempo" anche se Heidegger la respinse come una mossa falsa, un fraintendimento del progetto finale dell'opera, 1947). La sua influenza sul pensiero filosofico occidentale è oggi unanimamente riconosciuta di incalcolabile importanza, anche per ciò che riguarda la filosofia italiana (basti pensare a Vattimo). Insomma, tutta la cultura occidentale, anche quella che si oppone duramente all'"irrazionalismo" ermeneutico heideggeriano, deve fare i conti con la presenza di questa gigantesca personalità, scomparsa a Baden-Wurtemberg il 26 maggio 1976.


Heidegger e il clima culturale del 1900





Martin Heidegger nasce nel 1889 a Messkirch in Germania e abbiamo visto che compie i suoi studi a Costanza e a Friburgo. All’inizio del ‘900 quando inizia la formazione della propria personalità filosofica, in Europa il clima culturale è pervaso da una radicale crisi di valori. Dalle scienze esatte a quelle umane, dall’arte alla filosofia, emergono nuove teorie che superano la visione ingenua e ottimistica diffusa dal positivismo nel secolo precedente.

Il positivismo era caratterizzato dalla fiducia nel progresso e affermava l’applicazione del metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana. Anche l’uomo poteva essere inteso come meccanismo calcolabile e totalmente organizzato. 
Questo sistema di certezze entra in crisi nel passaggio al nuovo secolo, costringendo a ripensamenti, non soltanto sul ruolo della scienza, ma anche su quello di altre forme di espressioni umane, come l’Arte, capace di cogliere aspetti estranei alle facoltà razionali dell’uomo. Per gli artisti di inizio secolo, il mezzo artistico serve ad esprimere sentimenti profondi dell’individuo o nuove interpretazioni della realtà, piuttosto che raffigurare prevedibile oggettività del mondo.
Il primo grande movimento artistico che compie una rottura con la tradizione è l’espressionismo che nel 1911 dalla Germania si diffonde in tutta Europa.
Gli espressionisti rappresentano la realtà deformata dalle paure, dai desideri, dalle sensazioni, portano cioè sulla tela aspetti non razionali della esistenza umana. Il celebre urlo di Munch (dipinto nel 1893 dal pittore norvegese Edvard Munch) dà voce a immagini di straordinaria potenza al disagio angoscioso del clima spirituale del tempo. Altri movimenti d’avanguardia come il Fauvismo (fovismo), il Cubismo, il Dadaismo, il Surrealismo nascono e si sviluppano con variazioni più o meno marcate , ma sempre con il medesimo intento di fondo. L’elemento comune a tutta le avanguardie è l’idea che lo spirito umano non possa essere meccanizzato e ridotto entro leggi generali.

 La libertà dell’artista rispetto ai canoni e alle strutture formali diventa il punto di partenza del generale rifiuto di quella organizzazione totale che pervade ogni campo. Lo stesso spirito innovatore porta alla ripresa in filosofia delle opere di personaggi come Nietzsche e Kierkegaard, in letteratura quella di Dostoevskij che hanno in comune l’attenzione al dramma esistenziale dell’uomo.
È in questo clima intelletuale che percorre le arti figurative la letteratura, il cinema, la filosofia che Heidegger si forma e comincia a riflettere sull’essere e sull’esistenza per comprenderli da un nuovo punto di vista rispetto alla cultura della nascente civiltà industriale.


L’essere

Il problema dell’essere. Perché è un problema? Perché Heidegger in pieno XX secolo sente l’esigenza di riproporre il tema del senso dell’essere? Perché Heidegger ritiene che il mondo occidentale abbia dimenticato il problema fondamentale della filosofia, cioè il problema dell’essere.
Per Heidegger l’essere non si manifesta mai direttamente, ma sempre come l’essere di un  ente, cioè l’essere di un singolo uomo, di un singolo animale, di un singolo oggetto. In tal modo l’uomo non è più conoscibile attraverso Dio (come afferma la filosofia cristiana), bensì attraverso sé stesso, attraverso la sua singolarità e ciò che gli accade. Conseguenza: non si deve più, nel giudizio dei comportamenti, tenere conto del giudizio morale generale, bensì delle singole circostanze che definiscono l’esistenza del singolo individuo. Alla fine tutto si giustifica, non esiste più il peccato, ma ciò che l’uomo avverte soggettivamente essere buono o no per lui. Dire che l’essere non è sostanza ma evanescenza. Dire che l’essere non può essere colto attraverso il metodo filosofico, vuol dire concepire l’essere non come realtà che riconduce l’uomo al vero, bensì come possibilità di emancipare l’uomo da qualsiasi vincolo (cioè da qualsiasi tipo di responsabilità nei confronti degli altri e nei confronti di Dio).
Per Heidegger Platone con la sua filosofia Platone ha identificato l’essere, il vero essere, con la stabilità, con la staticità. Cioè l’essere è stato identificato con le cose che vediamo, ma che non sono l’essere. Ma siccome le cose sono qui presenti di fronte a noi la dimensione attraverso la quale l’occidente ha pensato l’essere, ha pensato il senso dell’essere è stata quella della staticità.
Dalla introduzione a “Essere e tempo” di Gianni Vattimo prendiamo questi spunti:
“La difficoltà che incontra la metafisica tradizionale con le sue propaggini anche nel pensiero moderno, nel pensare la storicità e la vita dipendono dal fatto che il senso del concetto di essere è sempre identificato con la nozione della presenza, che potremmo anche dire, con termine forse più familiare, l’obiettività. Cioè l’essere è un oggetto, noi vediamo tanti oggetti allora l’essere ci sembra un “superoggetto”, un oggetto per eccellenza. È in senso pieno ciò che sussiste, è incontrabile, si dà, è presente. Non a caso del resto, l’essere supremo della metafisica, Dio, è anche eterno, cioè appunto presenza totale e indefettibile (che non può sbagliare, che non può mancare al proprio fine)”.
La contemporaneità cosa ha fatto? Ha voluto abbattere gli immutabili, Dio è morto, l’immutabile non c’è. Hegel stesso dicendo che l’assoluto, Dio, è un soggetto diveniente, sostanzialmente ha detto che non c’è più l’immutabile. Se l’assoluto stesso, Dio, è un soggetto che diviene (cioè non è più un oggetto ma è un soggetto), allora c’è solo il divenire. Nietzsche, quando afferma che Dio è morto, lo dice perché l’uomo possa vivere, perché l’occidente creando l’immutabile, edificando l’essere con qualcosa di stabile e che quindi diventa la vera realtà, mentre la nostra realtà è diveniente, ha ucciso la vita. L’uomo infatti tutto proteso nella contemplazione dell’immutabile dimentica la sua dimensione diveniente. Perchè l’uomo possa vivere, Dio deve morire.
Heidegger conferma che con la nostra concezione dell’essere come immutabile, noi occidentali non sviluppiamo la filosofia della vita. Abbiamo cioè identificato l’essere con gli enti. Heidegger  quindi denuncia questo oblio dell’essere. L’essere va considerato nel tempo, nella temporalità (Essere e tempo), nel divenire, non nella staticità e nell’immutabilità.
Heidegger è l’ispiratore, il punto di riferimento filosofico di tutta la teologia del ‘900. I teologi del novecento hanno preso come punto di riferimento, per la riflessione su Dio, un pensatore che sostanzialmente dice che l’essere vero non può essere identificato con la presenza, con l’eternità, con l’immutabilità.
Heidegger dice che c’è una differenza ontologica fra gli enti che vediamo e l’essere. Noi non possiamo connotare l’essere con i caratteri degli enti che incontriamo e che sono qui presenti di fronte a noi, perché se noi identifichiamo l’essere con la semplice presenza ne perdiamo il senso. Ecco perché Heidegger ripropone la riflessione sul senso dell’essere, perché è convinto che l’occidente ha dimenticato la domanda fondamentale su cosa è l’essere. Anche dire che cosa è l’essere è sbagliato perché l’essere non è una cosa.
Bisogna anche superare quella concezione che ha avuto spesso l’occidente dagli albori della filosofia che “dal nulla, nulla viene”. In realtà l’essere è il non essere di tutte le cose. L’essere non è una cosa e non essendo una cosa, cioè essendoci una differenza ontologica fra essere e ente, l’essere è ciò che permette la manifestazione delle cose che albergano nell’essere, ma non si identifica con le cose. È stato questo il vero dramma dell’occidente, la metafisica occidentale ha dimenticato l’essere.
Come lo ha dimenticato? Lo ha dimenticato perché ha immesso nella storia del pensiero un concetto di verità, di verità che si manifesta che è evidente, di un pensiero che è trasparente all’essere.

La differenza ontologica fra Essere e Ente



ALETHEIA: parola greca tradotta normalmente in “dischiudimento”, “svelamento”, “rivelazione”, “verità”. Nella logica di Aletheia l’uomo non cattura l’essere, ma lo lascia sussistere. Aletheia ha però come suo significato strettamente letterale “lo stato del non essere nascosto”, “lo stato dell’essere evidente”. La verità come disvelamento (non è mai una chiara manifestazione, ma è un gioco di luce e ombra). L’essere non si svela completamente, ma in parte rimane oscuro, e questa caratteristica deve essere mantenuta per evitare che l’essere si riduca ad ente.

ORTHOTES: verità come corrispondenza ad uno schema razionale. Giusto punto di vista, opinione corretta (originale = ortodossa). È questo il significato che la filosofia occidentale ha poi adottato per cercare di “catturare” l’essere, proprio perché essendo esso indominabile e sfuggevole, ha cercato di ridurlo a schemi razionali (à dionisiaco di Nietzsche).
L’essere si svela e si nasconde allo stesso tempo, dice Heidegger che però ci rivela che Platone ha sostituito il concetto di verità. Non parla di “aletheia”, disvelamento, ma di “orthodes” cioè: giusto punto di vista, opinione corretta (originale = ortodossa). Quindi Platone ha di fatto detto che l’essere vero è l’immutabile,  infatti le idee platoniche erano immutabili ed eterne. La verità non la riconosco più lasciandola parlare, facendola disvelare, ma la realtà la colgo solo se prima colgo le idee, che sono le forme immutabili delle cose e che sono principio di conoscenza. Sovrappongo qualcosa di immutabile al divenire. L’immutabile mi permette di conoscere il divenire. La dimensione intellettuale, la dimensione logica, la scienza, l’epistème è conoscenza dell’immutabile. Per Platone infatti c’era scienza solo delle idee. Il sapere del mondo sensibile era un sapere falso, quello delle ombre nella caverna. Il vero sapere è solo quello dell’immutabile che mi dice qual è il punto di vista corretto della realtà. Però Heidegger fa notare che così non è più la realtà che mi si evidenzia e che io ascolto, ma la realtà è comprensibile solo se io sovrappongo ad essa una dimensione immutabile.
Riprendiamo Vattimo: “Per la ricostruzione dell’oblio dell’essere che ha attuato la metafisica occidentale, si può cominciare col seguire la storia del concetto di Aletheia = Verità. Nella parola greca l’alfa privativo indica ancora una certa consapevolezza del fatto che la Verità implica una originaria non verità, perché se si parla di  “disvelamento” vuol dire che era anche nascosta. Ciò che appare nel progetto si colloca sullo sfondo che resta oscuro e che tuttavia entra radicalmente a costruirlo. Ma già nel pensiero greco tale originario legame di “disvelatezza” e nascondimento viene dimenticato. In Platone il vero è l’idea, cioè l’ente in quanto visibile all’intelletto, il mondo delle idee era il mondo dell’intellegibile, la cosa stabile e immutabile vista con gli occhi della mente e non con quelli della carne. Qui quello che conta ormai nella verità, è lo svelarsi, l’apparire nella presenza e viene dimenticato l’oscuro e il nascosto da cui l’apparire viene. Se il vero è il visibile in questo senso, ciò che importa è il percepire bene. Se il vero è l’idea, la verità del pensiero è il vedere giusto, ma è il soggetto che si mette a fare da padrone”.
Qui sostanzialmente Heidegger legge Platone come anticipatore di tutto quello che poi sarà Cartesio e Kant. Cosa diceva Kant, che la conoscenza è una applicazione di forme al materiale sensibile, cioè qualcosa di stabile, ma alla fine il padrone è il soggetto, alla fine si perde il senso dell’essere.
“Altra tappa in questo oblio dell’essere dopo Platone è Cartesio, secondo Heidegger. Un primo decisivo punto di arrivo di tutto questo processo di dimenticanza dell’essere come disvelamento è appunto Cartesio, che trae le conseguenze implicite dalla concezione greca dell’essere come idea (Platone). Se solo ciò che è stabilmente definito in una forma, idea, cioè visibilità e che è effettivamente presente e vero, l’essere vero ha come suo carattere fondamentale di darsi come certo. Il carattere costitutivo dell’essere è la certezza, la verità diventa certezza, certezza del soggetto che ha il giusto punto di vista sul mondo (da “aletheia” a “orthodes”). Il carattere costitutivo dell’essere è la certezza, la perentorietà di ciò che è indubitabile. (Cartesio, metteva fra parentesi tutto per cercare qualcosa di indubitabile). In Cartesio è reale, è ente solo ciò che è certo, di cui abbiamo una idea chiara e distinta. Ma in tal modo ciò che costituisce la realtà della cosa, il suo essere di cui cerchiamo il senso è appunto la certezza che io ne ho e quindi chi la fa da padrone? Il soggetto. Non c’è più il disvelamento dell’essere, ma c’è o il sovrapporre all’essere i caratteri dell’ente (ne faccio una supercosa) oppure c’è la sovrapposizione del soggetto che dà lui il senso all’essere, perché è lui che è certo di ciò che conosce”.

Sentieri interrotti (Holzwege)


Sentieri interrotti (Holzwege), pubblicato nel 1950, è uno dei testi che rappresenta la cosiddetta "svolta" (Kehre) nel pensiero di Martin Heidegger, ovvero il passaggio dalla ricerca sul senso dell'essere in riferimento all'esistenza umana, ricerca basata sul metodo della fenomenologia, all'indagine diretta alla verità dell'essere come evento del linguaggio, caratteristica della seconda fase del suo pensiero.
Sentieri interrotti è un’opera costituita da una serie di saggi sui più svariati argomenti, tradotti in italiano da Pietro Chiodi, corrispondente epistolare con Heidegger. È interessante la storia di questa traduzione perché il titolo originale tedesco (Holzwege) (olzdegher)  è un termine intraducibile in italiano. Pietro Chiodi ci racconta come andò la ricerca di un titolo italiano adeguato.
Holzwege sono quei sentieri che cominciano al limitare di un bosco ma che poi inoltrandosi in esso finiscono per sparire del tutto nel bosco più fitto. Ogni sentiero rappresenta una ricerca, ogni umana ricerca, che si inoltra nel bosco dell’essere per catturarlo, farlo proprio (signoreggiarlo). Per Heidegger queste ricerche finiscono per perdersi nell’essere fino ad arrivare ad scoprire che è l’essere stesso che si manifesta a noi nella sua storicità, nel suo divenire. Heidegger vuol dire che l’essere è unità articolata di rivelazioni e nascondimenti che è epochè fenomenologica. Ogni sentiero in quanto cammino della ricerca umana è ad un tempo un po’ via e sviamento, avanzamento e smarrimento. Solo i legnaioli e i guardia boschi, sapendo cos’è il bosco, sanno cosa vuol dire trovarsi in sentieri che all’improvviso si perdono nella boscaglia e ti fanno diventare una cosa solo con il bosco, con l’essere. Non è quindi il sapere la conoscenza di un oggetto, ma la salvaguardia di una epifania, di una manifestazione. Guardia boschi sono coloro che percorrono i sentieri del bosco preoccupati della sua custodia, cioè di lasciarlo essere ciò che è, di salvaguardarlo. Le ricerche umane debbono salvaguardare l’essere, non sovrapporre l’essere o i caratteri delle cose o i nostri corretti punti di vista, le nostre idee formali e immutabili. Così stando le cose una traduzione del titolo potrebbe essere “errare” nel senso di procedere e di smarrirsi o meglio “sentieri erranti nel bosco”. Heidegger lo trovò troppo vicino all’errare come sbagliare, cioè ad un significato negativo che esso invece non ha e non vuole avere. Il senso del sentiero nel bosco che dà “Holzwege”  è quello che il sentiero non va oltre, cessa improvvisamente, lascia in tronco, quindi meglio “sentieri senza meta” o “sentieri interrotti”. Heidegger scartò “sentieri senza meta” perché precisò che  “Holzwege”  ha una meta e precisamente il cuore del bosco, dove si trova la legna”. Quindi l’umana ricerca ad un certo punto si smarrisce e lascia parlare l’essere.
In uno di questi sentieri Heidegger prende in esame la sentenza di Nietzsche “Dio è morto” e si propone di scrivere un saggio sulla “metafisica di Nietzsche” pur sapendo quanto Nietzcshe fosse un tremendo detrattore della metafisica. Sta qui la filosofia del sentiero nel bosco, cioè se ci si lascia guidare dal vero senso di quello che dice un autore si possono cogliere anche queste cose paradossali.
L’ultima parabola di questa metafisica occidentale che ha dimenticato l’essere, come disvelamento, come divenire, come temporalità è proprio Nietzsche, perché egli con la sua volontà di potenza, è vero che dice che Dio è morto, che non bisogna trovare dei surrogati o feticci di Dio (come fanno i positivisti e i marxisti), ma lui con la sua volontà di potenza con il suo oltre uomo che cerca di dare un senso alla sua vita, in realtà dove prima c’era l’essere, c’era Dio, di fatto ora ci son prodotti umani, ma sostanzialmente ancora una volta è l’uomo che dà un senso alle cose. Bisogna invece lasciare che l’essere parli. È così che la fenomenologia di Husserl approda con Heidegger al linguaggio.
Linguaggio che non è uno strumento nelle mani dell’uomo, ma è lo strumento dell’essere. Il linguaggio possiede l’uomo. L’uomo deve poetare. Il vero linguaggio della filosofia è la poesia, cioè il lasciare parlare l’essere. Quando il poeta è ispirato, le parole non le crea, nascono da qualcosa d’altro, da una epifania che vede. Il filosofo deve essere il custode del bosco, che è la casa dell’essere e che va salvaguardata. Va lasciato parlare l’essere. Si fa filosofia ascoltando e alle volte anche tacendo.

Heidegger, cattivo maestro


Concludiamo spiegando perché dobbiamo annoverare Heidegger, così affascinante e convincente nella sua filosofia e nel suo pensiero, fra i cattivi maestri usciti al seguito della sinistra e della destra hegeliana, trascurando la sua vita personale decisamente amorale che non ci interessa in questa esposizione. Come Hegel è convinto che non c’è più nulla di stabile, è tutto un divenire inesorabile, che l’assoluto stesso è diveniente. Heidegger ha una visione storicistica della verità. La Verità è diveniente, non è qualcosa che si da, non è qualcosa di immutabile.
Tutti i filosofi e i teologi che hanno assunto Heidegger come chiave di lettura per fare teologia sono approdati all’abbattimento della Verità. Si parla del divenire del dogma, che il dogma deve essere sempre reinterpretato e adattato alla vita, perché è la vita che fa la verità, è la vita che coglie di volta in volta la Verità lasciando parlare il divenire. Nasce quindi un odio viscerale nei confronti del dogma e della dottrina, cioè di tutto ciò che è visto come un monolite inattaccabile solo per l’ottusità della Chiesa. Bisogna invece reinterpretare i dogmi, renderli più appetibili alla mentalità moderna (verità diveniente). Cristo Via, Verità e Vita non è più attuale, va tutto reinterpretato e “facilitato” per adattarlo alle nuove esigenze della gente di oggi.
L’unico teologo che è sempre rimasto ed è tuttora ben saldo sulle posizioni della Chiesa Cattolica (Universale), del suo Magistero e della sua Tradizione, che ha sempre avuto come  suo centro di riferimento Gesù Cristo (vero Dio e vero Uomo) Via, Verità e Vita e la ragione al servizio della fede, come la fede a servizio della ragione, mantenendo sempre vivi gli insegnamenti di Sant’Agostino e di San Tommaso, è stato ed è Papa Ratzinger, ora Papa emerito Benedetto XVI (unico teologo nella storia della Chiesa diventato papa) a cui questo corso fa riferimento e che continua a guidarci in questa iniziativa [Ndr].

Conseguenze dell’abbattimento della Verità (1)

L’uomo che salva sé stesso – J. Ratzinger

(tratto da: Joseph Ratzinger – Glaube und Zukunft – Munchen 1971)
L’uomo attende la salvezza da se stesso, e sembra anche capace di darsela. Così, al primato del futuro si connette un primato della prassi, un primato della condotta umana attiva, che viene posta al di sopra di qualsiasi altro atteggiamento.
Tutto ciò comincia a produrre effetti anche nella teologia, che si apre sempre più insistentemente a una simile disposizione di fondo. Contro l’”ortodossia” (rigorosa fedeltà ai principi di una dottrina), ora scende in campo l’”ortoprassi” (azioni e comportamenti conformi ad una regola o ad una ideologia). Contro l’”escatologia” (insieme di concezioni sul fine ultimo dell'umanità e dell'universo) l’”escatoprassi” (agire pratico e responsabile di fronte alla morte). (In altre parole: posporre la fede e l’amore ai cavilli farisaici per valutare ciò che è lecito e ciò che non è lecito nelle varie situazioni storiche di un mondo che continua a cambiare [Ndr]).
Se in passato l’illuminismo poté dire al contadino che il concime è più efficace della preghiera, oggi, mutate le circostanze, si può dire che anche la preghiera debba subire una “riconversione”: essa non può più essere considerata come una invocazione dell’aiuto di Dio (e quindi un riconoscimento del suo esserci Padre [Ndr]), ma deve essere piuttosto considerata come una prassi per la propria autorealizzazione. La fede nel progresso, già data per morta, risorge di nuovo; e l’ottimismo e il positivismo, convinti nuovamente di poter creare la città dell’uomo, fa nuovi adepti.
Quando l’uomo ha per la prima volta posato il piede sulla luna (1969), nessuno in verità ha potuto sottrarsi all’entusiasmo, all’orgoglio e alla gioia per l’impresa gigantesca che in quel momento era riuscita al genere umano. Quell’evento non è stato recepito come la vittoria di una determinata nazione, ma come una vittoria dell’uomo.
Ma quello stesso uomo però, pur capace di cose tanto inaudite non è in grado di evitare che ogni anno milioni di individui muoiano di fame, che milioni di famiglie non possano avere una esistenza degna, che non si riesca a porre fine alle guerre, ad arginare la marea crescente di criminalità (e del terrorismo e delle fughe di massa diremmo oggi [Ndr]). Tutto ciò getta allora un velo di profonda tristezza su questa meravigliosa impresa.
La strada per la luna è più facile da trovare che la via  che conduce l’uomo a se stesso. Il “potere” dell’uomo su di sé riposa manifestamente  su di un piano totalmente diverso da quello del potere di applicazione della scienza e della tecnica. (Gesù Cristo: Via, Verità e Vita è la strada giusta che permette all’uomo di ritrovare se stesso [Ndr]).

Conseguenze dell’abbattimento della Verità (2)

La Teologia dei dissidenti

Se uno pseudo teologo afferma che gli angeli non esistono, oppure che il demonio e l’inferno non esistono, oppure che Gesù non è risorto fisicamente, oppure che il peccato originale è solo un errore dei progenitori, oppure che la S. Messa non è il sacrificio della Croce, ma soltanto un banchetto; oppure che bisogna riconsiderare la presenza reale e la conversione eucaristica perché sarebbero posizioni sbagliate; oppure che la Chiesa e i preti non erano nel pensiero di Gesù storico, ma sono entrambi un’invenzione della comunità cristiana dopo la risurrezione o più tardi; oppure che la Chiesa è scomparsa nel 3° secolo ed è riapparsa solo col Concilio Vaticano II; oppure che il magistero della Chiesa e l’insegnamento del Papa sono un optional; oppure che l’infallibilità del Papa o del Magistero non sono da considerare come punti fissi; oppure che la Tradizione della Chiesa è un elemento ingombrante, perché ciò che conta è solo la moderna esegesi biblica; oppure che il Concilio Vaticano II è stata una rottura rispetto a tutta la Tradizione della Chiesa; oppure che gli insegnamenti morali del Magistero della Chiesa sono solo orientativi, e vanno rivisti, soprattutto in merito ad omosessualità, anticoncezionali, rapporti prematrimoniali, fecondazione artificiale, ecc., oppure che l’ascetica era adatta per gli uomini del MedioEvo e che chi si attiene all’insegnamento ufficiale della Chiesa avrebbe una fede infantile. Ebbene in questi ed atri casi, siamo di fronte a falsi teologi, o comunque a teologi non cattolici, ma anche a falsi cristiani. (Falsi profeti dai quali Gesù Cristo ci ha messo in guardia).

Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, emanata il 24 maggio 1990 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con l’approvazione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II:
1.      La verità che rende liberi è un dono di Gesù Cristo (cf. Gv 8, 32). La ricerca della verità è insita nella natura dell’uomo, mentre l’ignoranza lo mantiene in una condizione di schiavitù. L’uomo infatti non può essere veramente libero se non riceve luce sulle questioni centrali della sua esistenza, ed in particolare su quella di sapere da dove venga e dove vada. Egli diventa libero quando Dio si dona a lui come un Amico, secondo la parola del Signore: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). La liberazione dall’alienazione del peccato e della morte si realizza per l’uomo quando il Cristo, che è la Verità, diventa per lui la «via» (cf. Gv 14, 6).
Seguono altri 42 punti reperibili dal sito http://www.vatican.va/

Conseguenze dell’abbattimento della Verità (3)

Attacco a Ratzinger

È una cronaca attenta ai particolari e ai retroscena degli attacchi contro Benedetto XVI, che dal 2006 a oggi ne hanno fatto il Pontefice più sistematicamente aggredito da un'incessante campagna mediatica degli ultimi anni. Benedetto XVI è consapevole dei molti attacchi che riceve come “ottuso conservatore”. È invece molto interessato alle nuove tecnologie e alla necessità di migliorare le strategie di comunicazione della Santa Sede. Ma è anche molto sereno. È disponibile a seguire i problemi che la rivoluzione delle comunicazioni – una rivoluzione forse non meno importante di quella degli anni 1960 in tema di morale e di crisi dell’autorità – pone alla Chiesa, ma non a inseguirli. Insiste sul fatto che la salvezza della Chiesa perseguitata non verrà dalle strategie, dalle diplomazie, dalle tecnologie – per quanto queste siano importanti e non vadano trascurate – ma dalla fedeltà alla preghiera, alla meditazione, al Cristo crocefisso. È probabile che abbia ragione non solo, com’è ovvio, sul piano spirituale ma anche su quello culturale e sociologico, dove alla Chiesa non si chiede d’imitare i modelli dominanti ma di essere se stessa. Non tutti, anche tra i cattolici, sembrano averlo compreso. (Estratto da:  Paolo Rodari e Andrea Tornielli: Attacco a Ratzinger. Accuse, scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI – ed. Piemme 2010)

L’Esistenzialismo


L’esistenzialismo è una vera e propria filosofia, ma è anche un movimento culturale che si sviluppa già nel primo dopo guerra ma che avrà il suo apice nel secondo dopo guerra. È un clima culturale così grande che investe la letteratura, il romanzo, il cinema, la moda, ecc. entra cioè in tutto il tessuto sociale. Qual è l’elemento caratteristico di questo evento storico? Ricordiamo che si esce dalla guerra, da un momento di grande crisi, di grande pessimismo, di grandi delusioni. Si è ormai definitivamente fuori da quell’ottimismo che aveva caratterizzato l’800 che avevano preteso di rassicurare l’uomo spiegando il senso della realtà e della storia con l’idealismo, il positivismo, il marxismo, l’evoluzionismo, perfino la possibilità di controllare la psiche, ecc. In nome della ragione, dell’assoluto, dell’idea sembrava di essere entrati in un progresso inarrestabile, da qui un gran ottimismo sul futuro. Le due guerre hanno abbattuto ogni speranza, i problemi che esse avrebbero dovuto risolvere si sono invece esasperati.

Pietro Chiodi (1915  1970) 


L'attività filosofica di Pietro Chiodi, filosofo e partigiano  italiano,  si concentrò specialmente sull'esistenzialismo, riletto in chiave positiva. La maggior parte delle sue opere è dedicata a Martin Heidegger.

Dice Chiodi: “Bisognava dunque che il romanticismo esaurisse tutte  le sue risorse, così nella forma idealistica, come in quella positivistica. Bisognava che la prima guerra mondiale facesse crollare tutto il mondo di illusioni. Bisognava che l’arte attraverso il contatto con tipiche manifestazioni extraeuropee vedesse dileguare l’assolutezza delle sue determinazioni strutturali, forma, spazio, figura, colore. Bisognava che la scienza vedesse dissolversi nell’insensatezza le sue pretese di un sapere teologizzante (La scienza che nell’800 giustifica se stessa - scientismo). Bisognava che la religione stessa si trovasse una volta ancora dinnanzi al prevalere delle forze del male e della distruzione, perché rinascesse in tutta la sua tensione una situazione esistenzialistica e con essa l’istanza kierkegordiana di una filosofia esistenziale”.
Ciò a cui l’esistenzialismo mira e guarda è questo soggetto umano, finito, lacerato, in crisi in tutte quelle sue dimensioni vitali, dal nascere al morire, al patire, allo scorrere del tempo, alla malattia, alla lotta per la sopravvivenza. Tutte quelle dimensioni che prendono l’uomo, lo gettano nel mondo, in una esistenza e li vive e li si realizza.
L’esistenza per gli esistenzialisti è qualcosa di indeducibile, è qualcosa che non esiste a priori, non è qualcosa di ontologicamente dato che dopo dobbiamo riconoscere. L’uomo si fa nel momento in cui vive questa esistenza, nel tempo storico in cui la vive, in un momento preciso. L’esistenza è il modo proprio d’essere dell’uomo. Un uomo che continua a fare delle scelte secondo un suo programma derivato da un progetto che dipende da cosa vuole essere. Le cose del mondo invece sono quel che sono e rimangono tali. L’uomo è sempre percepito in rapporto all’essere, alle cose. Da questo rapporto con il mondo e con le cose è continuamente chiamato ad operare delle scelte. Nelle scelte noi ci assumiamo i rischi dell’esistenza. Esistenza che si realizza nella possibilità di fare. L’uomo è inteso come singolo, nella sua irriducibile specificità. Viviamo in un preciso contesto, in un preciso momento storico, in un luogo particolare e questa determinazione è assolutamente insuperabile. Non c’è un concetto di umanità o di uomo a cui rifarsi, l’uomo è quello che decide di diventare.

 Nicola Abbagnano (1901 – 1990) 


Il filosofo italiano Abbagnano spiega così l’esistenzialismo: “l’esistenzialismo filosofico è un concetto storiografico, per indicare tutte quelle forme di pensiero che in un certo contesto cronologico e culturale (prima e seconda guerra mondiale), si sono trovate a condividere una visione dell’esistenza come modo proprio dell’essere dell’uomo. Che cos’è l’essere dell’uomo? È il suo esistere. L’individuo, nella sua singolarità irripetibile e situata in una determinata condizione storico temporale, compresa fra la nascita e la morte, è chiamato a decidere, in vista della propria autenticità e realizzazione”.

Jean-Paul-Sartre ( 1905 – 1980)


Sartre è un filosofo, scrittore, drammaturgo, critico letterato e attivista francese, considerato uno dei più importanti rappresentanti dell'esistenzialismo, che in lui prende la forma di un umanismo ateo in cui ogni individuo è radicalmente libero e responsabile delle sue scelte, ma in una prospettiva soggettivista e relativista. In seguito Sartre diverrà un sostenitore dell'ideologia marxista e del conseguente materialismo storico.
In Francia l’esistenzialismo ha avuto uno sviluppo particolarmente significativo dove Jean Paul Sartre (1905 – 1980) ha avuto il ruolo più importante. Egli ha scritto di tutto, letteratura, romanzi, opere filosofiche, opere politiche, programmi televisivi, insomma è personaggio dominante in tutta la cultura del XX secolo. Il suo pensiero ha quindi una sua particolare importante e determinante influenza.
Sartre recupera il concetto fenomenologico di Husserl dell’intenzionalità della coscienza. Anche Sartre dice che la nostra coscienza pensa sempre a qualcosa, intenziona sempre qualcosa, perché la nostra coscienza è ”vuota”. La nostra coscienza non ha nulla se non le cose con le quali si mette in relazione. Nell’opera “L’essere e il nulla”, che poi è il capolavoro di Sartre, egli ci dice che l’essere si dà in due modi: l’essere in sé e l’essere per sé.
L’essere in sé è tutto ciò che non è la mia coscienza, tutto ciò che la coscienza intenziona, tutto ciò con il quale la coscienza entra in relazione, cioè il mondo, le cose del mondo. Le cose che sono quello che sono e non possono diventare altro che quello che sono (animali compresi).
Chi è invece l’uomo? L’uomo è l’essere per sé è la coscienza, è ciò con cui si presenta e si rapporta alle cose ed è vuota, non è un oggetto, è vuota di essere. Il suo essere è essere vuota di essere. Si riempie nella possibilità di essere, di agire, di fare, di entrare in rapporto con le cose e con il mondo.
Visto così, l’uomo è libertà di essere ciò che vuol essere. Cioè la coscienza è libera in quanto può pensare e determinare quello che vuole, essa ha un potere gigante, perché ha il potere di nullificare la coscienza (L’essere e il nulla).
Da una parte c’è il mondo che esiste, dall’altra parte ci sono io che sono un nulla ed ho il potere di nullificare la realtà qui presente. Questa mia libertà è però una sorta di condanna, perché non posso non scegliere, sono condannato ad essere libero, non posso non operare nessuna scelta, non possiamo scegliere di non scegliere. La libertà non è un essere, essa è l’essere dell’uomo. Io sono condannato ad esistere per sempre al di là dei moventi e dei motivi del mio atto.
Questa condanna ad essere liberi apre un altro problema che è quello della responsabilità. Sono obbligato a fare delle scelte e tutto quello che faccio è mia responsabilità. Non c’è nessuna azione che compia l’uomo che sia inumana, perché tutto viene dall’uomo.
Dice Sartre ne “L’essere e il nulla” le peggiori situazioni della guerra, le peggiori torture, non creano affatto qualcosa di inumano (che non è umano), non c’è una situazione inumana. Non vi sono casi accidentali, tutto viene dall’uomo. Se io sono mobilitato in una guerra, questa guerra è la mia guerra, è mia propria immagine ed io la merito. La merito, in primo luogo, perché potevo sottrarmi ad essa con il suicidio o la diserzione. Se non mi sono sottratto, io l’ho scelta. L’ho scelta per debolezza davanti all’opinione pubblica, perché preferisco certi valori a quelli del diritto stesso a far la guerra, ma in ogni caso si tratta di una scelta che si porta dietro una responsabilità. È l’uomo che si sceglie, è l’uomo che è responsabile delle sue scelte.
Prima conseguenza si ha nel rapporto con gli altri, perché se io ho questa relazione con la realtà e con gli altri, anche gli altri l’hanno con me e con le cose. Esiste  quindi una sorta di “conflitto” con gli altri che rappresenta la caratteristica degli esseri umani (accoglienza o difesa dall’altro). Sartre dirà “l’inferno sono gli altri”.
La nostra esistenza allora è un assurdo. Io non ho chiesto di vivere. L’uomo non è libero di essere libero. La vita non ha senso. La vita è un vuoto, un vuoto senza Dio. L’unica esperienza emotiva possibile che provo di fronte alla consapevolezza che io sono obbligato ad esistere in una realtà che in fondo non ha senso, dove cerco di trovare un posto, ma questo posto non c’è, l’unica esperienza emotiva possibile che provo dice Sartre è la nausea.
Questo schema di fatto è uno schema generale, perché tutto l’esistenzialismo si adatta perfettamente a qualsiasi tipo di esistenzialismo, ateo, religioso, umanista e ontologico, perché ha questa radice profonda che è il soggetto che vive.
L’uomo, da sempre, risponde a tutto questo rifugiandosi nella metafisica, nella religione, ma questo non gli risolve il problema, anzi lo peggiora. L’uomo cerca di colmare questa distanza fra l’essere delle cose e il suo vuoto, ma la cosa non può esistere. Cerca di rispondere con la ragione, ma la ragione non fonda l’esistenza. La coscienza non fonda se stessa, non è qualcosa di dato. Le mie idee non esistono prima di me. Non c’è la legge morale, naturale e divina che mi guida. No, io prima di nascere sono carne pura. Inizio a essere quando io mi do da fare, quando io inizio a vivere. In fondo tutte le cose che facciamo sono indifferenti. Come faccio a dire che una cosa è più grave delle altre o è più importante delle altre o vale più delle altre.
Diceva Dostoevskij “se Dio non c’è tutto è permesso”. Chi può dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, chi può dire chi ha ragione o chi ha sbagliato. Tutte le attività umane sono equivalenti e che sono destinate per principio a scomparire. Le cose del mondo sono gratuite ed un valore non è superiore ad un altro. La vita quindi è una avventura assurda dove l’uomo si proietta al di là di sé stesso come per voler diventare Dio. L’uomo è l’essere che progetta di essere Dio, ma nella realtà si mostra per quello che è “una passione inutile”. Ma in fondo che differenza c’è fra un eroico condottiero che sacrifica la sua vita per difendere la patria e i suoi fratelli ed un vizioso che vive fra i bagordi? Chi può dire che uno è migliore dell’altro in una realtà che non ha più senso?
Sartre con la seconda guerra mondiale fa l’esperienza della resistenza. Questo cambia un po’ la sua visione. Abbandona questo suo negativismo esistenzialista e cerca di portarlo su di un piano più legato alla responsabilità individuale e sociale, sul piano della libertà individuale non slegata dalla libertà degli altri. Siamo nel 1946 quando scrive “essenzialismo e nominalismo” e le vicende della resistenza e della ricostruzione gli fanno riconsiderare la differenza fra chi si impegna per gli altri e chi invece si chiude nel proprio egoismo.

 

C’è una volontà di Dio che ci accompagna

J. Ratzinger

Per Sartre, abbiamo visto, la nostra esistenza è un assurdo. L’uomo non è libero di essere libero. La vita non ha senso. La vita è un vuoto, un vuoto senza Dio.
(Questa omelia inedita del 5 luglio 1984 di Joseph Ratzinger è di fatto una risposta all’esistenzialismo di ieri e di oggi e ci aiuta ad uscire da questo vuoto abissale che ci fa sentire figli di nessuno, senza una meta e dipendenti solo da noi stessi come se fossimo apparsi per caso in questo mondo.)
“C’è una volontà di Dio che ci accompagna, e questa sua intenzione è il nostro originario inizio. È questo non vale, si badi, in generale o alla lontana, ma per ciascuno di noi. Anche se all’apparenza può sembrare così, nessuno esiste per caso. Ciascuno è voluto e amato e quindi ciascuno è necessario. Per ognuno c’è nel mondo un compito, un senso per la vita, e la nostra vita sarà tanto più pienamente è felicemente realizzata quanto più riconosceremo questo senso, vivremo questa volontà e saremo una cosa sola con essa.
Di qui subito un ulteriore domanda: che cosa Egli vuole? Quale idea, quale disegno Egli persegue con l’uomo? Per un verso, qui c è da rispondere: per ogni uomo egli ha concepito una fisionomia originale, ciascuno è in modo speciale qualcuno, e non semplice esemplare di una produzione in serie di milioni di manufatti standardizzati. Ognuno è un “unicum” che mai si ripete e che Dio vuole proprio come tale. Questo significa che Egli chiama ciascuno con un nome, non con un concetto, ma con un nome, che egli solo conosce e che è di sua esclusiva competenza.
Ciascuno riceve una sua personale chiamata (che sia un analfabeta o un gran dottore). E vivendo con cuore desto e aperti al dialogo e alla comunicazione con Dio, noi possiamo riconoscere come Egli abbia bisogno di noi in quella situazione apparentemente irrilevante e come, proprio in questo modo, noi diventiamo smisuratamente importanti. C’è solo bisogno di ricordare che uomini che erano apparentemente i più dimenticati, i meno importanti del mondo, – una ragazza di Nazaret, dei rozzi e semianalfabeti pescatori sul lago di Genesaret – sono diventati di incommensurabile importanza per l umanità e la storia. Perfino un odioso agente delle tasse (san Matteo) ed un persecutore accanito dei cristiani (san Paolo) sono diventati indispensabili per la diffusione della “Buona Novella”, il Vangelo. Non è sempre così evidente e, tuttavia, Dio vuole tutti e ha bisogno di ciascuno, perché il suo mondo divenga ciò che Egli vuole che esso sia”. J. Ratzinger1984

La Società tecnologica e la Fede

J. Ratzinger
 “Lo studio delle verità di fede (la catechesi) è in crisi e in crisi è pure la società. Nella società tecnologica, cioè nel mondo che l’uomo ha costruito con le sue proprie mani, non si incontra immediatamente il Creatore, ma, piuttosto, l’uomo incontra innanzitutto e sempre se stesso. La struttura di fondo dell’universo tecnologico e la fattibilità così come la sua certezza è la certezza che  deriva dal calcolo. Per questa ragione, l’interrogativo circa la salvezza dell’uomo non si indirizza più a Dio, che non si manifesta più in alcun luogo, ma torna di nuovo a vertere sul potere dell’uomo, che mira a diventare “ingegnere” di se stesso e della storia.
Conseguentemente egli non indaga più sui criteri morali necessari alla sua condotta nella direzione del “linguaggio della creazione” o del Creatore che gli è diventato ignoto. Sotto l’aspetto morale, per lui la creazione tace; essa parla solo il linguaggio della matematica, dello sfruttamento tecnologico ; oppure protesta contro la violenza perpetratale dall’uomo. Ma anche in questo caso il suo rimprovero morale rimane indeterminato (...). Per un verso, questa immagine complessiva  del mondo si riflette nei mezzi di comunicazione odierni; per l’altro, essa diviene dagli stessi alimentata. Oggi la rappresentazione del mondo  e degli eventi, proposta dai mezzi di comunicazione, forgia la coscienza molto più incisivamente che non la personale esperienza della realtà. Tutto ciò si ripercuote anche sulla catechesi. Questa vede i suoi classici morali – la Famiglia e la Parrocchia – ormai indeboliti; non più riannodarsi ad una esperienza di fede vissuta nella comunione viva della Chiesa; e cosi sembra  condannata a non dover proferire più parole in un epoca in cui la lingua e la mentalità si alimentano soltanto di quanto, delle esperienze del mondo, l’uomo si è auto edificato”.(tratto da “Die Krise der Katechese” Abbazia di Einsiedeln.1983)


Giovani impegnati in attività di volontariato che sempre più spesso nascono come reazione alla società tecnologica perché riescono a dare un senso più pieno alla propria vita e occasione di vera comunicazione interpersonale  (senza barriere tecnologiche) e di concreto servizio agli altri. Alle volte nascono in parrocchia, altre volte nascono altrove con il passa parola.  Lo Spirito Santo è pieno di iniziative, l’importante è avere l’occasione di aderirvi [Ndr].

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