Martin Heidegger (1889-1976)
Heidegger
e il clima culturale del 1900
Il positivismo era
caratterizzato dalla fiducia nel progresso e affermava l’applicazione del
metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana. Anche
l’uomo poteva essere inteso come meccanismo calcolabile e totalmente
organizzato.
Questo sistema
di certezze entra in crisi nel passaggio al nuovo secolo, costringendo a
ripensamenti, non soltanto sul ruolo della scienza, ma anche su quello di altre
forme di espressioni umane, come l’Arte, capace di cogliere aspetti estranei
alle facoltà razionali dell’uomo. Per gli artisti di inizio secolo, il mezzo
artistico serve ad esprimere sentimenti profondi dell’individuo o nuove
interpretazioni della realtà, piuttosto che raffigurare prevedibile oggettività
del mondo.
Il primo grande movimento
artistico che compie una rottura con la tradizione è l’espressionismo che nel
1911 dalla Germania si diffonde in tutta Europa.
Gli espressionisti
rappresentano la realtà deformata dalle paure, dai desideri, dalle sensazioni,
portano cioè sulla tela aspetti non razionali della esistenza umana. Il celebre
urlo di Munch (dipinto
nel 1893 dal pittore norvegese Edvard Munch) dà voce a immagini di straordinaria potenza al disagio angoscioso del
clima spirituale del tempo. Altri movimenti d’avanguardia come il Fauvismo (fovismo), il Cubismo, il Dadaismo, il
Surrealismo nascono e si sviluppano con variazioni più o meno marcate , ma
sempre con il medesimo intento di fondo.
L’elemento comune a tutta le avanguardie è l’idea che lo spirito umano non
possa essere meccanizzato e ridotto entro leggi generali.
È in questo clima intelletuale che percorre le arti
figurative la letteratura, il cinema, la filosofia che Heidegger si forma e
comincia a riflettere sull’essere e
sull’esistenza per comprenderli da un nuovo punto di vista rispetto alla
cultura della nascente civiltà industriale.
L’essere
Il problema
dell’essere. Perché è un problema? Perché Heidegger in pieno XX secolo sente
l’esigenza di riproporre il tema del senso dell’essere? Perché Heidegger ritiene
che il mondo occidentale abbia dimenticato il problema fondamentale della
filosofia, cioè il problema dell’essere.
Per Heidegger
l’essere non si manifesta mai direttamente, ma sempre come l’essere di un ente, cioè l’essere di un singolo uomo, di un
singolo animale, di un singolo oggetto. In tal modo l’uomo non è più
conoscibile attraverso Dio (come afferma la filosofia cristiana), bensì
attraverso sé stesso, attraverso la sua singolarità e ciò che gli accade.
Conseguenza: non si deve più, nel giudizio dei comportamenti, tenere conto del
giudizio morale generale, bensì delle singole circostanze che definiscono
l’esistenza del singolo individuo. Alla fine tutto si giustifica, non esiste
più il peccato, ma ciò che l’uomo avverte soggettivamente essere buono o no per
lui. Dire che l’essere non è sostanza ma evanescenza. Dire che l’essere non può
essere colto attraverso il metodo filosofico, vuol dire concepire l’essere non
come realtà che riconduce l’uomo al vero, bensì come possibilità di emancipare
l’uomo da qualsiasi vincolo (cioè da qualsiasi tipo di responsabilità nei
confronti degli altri e nei confronti di Dio).
Per Heidegger
Platone con la sua filosofia Platone ha identificato l’essere, il vero essere,
con la stabilità, con la staticità. Cioè l’essere è stato identificato con le
cose che vediamo, ma che non sono l’essere. Ma siccome le cose sono qui
presenti di fronte a noi la dimensione attraverso la quale l’occidente ha
pensato l’essere, ha pensato il senso dell’essere è stata quella della
staticità.
Dalla introduzione
a “Essere e tempo” di Gianni Vattimo
prendiamo questi spunti:
“La difficoltà
che incontra la metafisica tradizionale con le sue propaggini anche nel
pensiero moderno, nel pensare la storicità e la vita dipendono dal fatto che il
senso del concetto di essere è sempre identificato con la nozione della
presenza, che potremmo anche dire, con termine forse più familiare,
l’obiettività. Cioè l’essere è un oggetto, noi vediamo tanti oggetti allora
l’essere ci sembra un “superoggetto”, un oggetto per eccellenza. È in senso
pieno ciò che sussiste, è incontrabile, si dà, è presente. Non a caso del
resto, l’essere supremo della metafisica, Dio, è anche eterno, cioè appunto
presenza totale e indefettibile (che non può sbagliare, che non può mancare al proprio fine)”.
La contemporaneità cosa ha fatto? Ha voluto abbattere gli
immutabili, Dio è morto, l’immutabile non c’è. Hegel stesso dicendo che
l’assoluto, Dio, è un soggetto diveniente, sostanzialmente ha detto che non c’è
più l’immutabile. Se l’assoluto stesso, Dio, è un soggetto che diviene (cioè
non è più un oggetto ma è un soggetto), allora c’è solo il divenire. Nietzsche,
quando afferma che Dio è morto, lo dice perché l’uomo possa vivere, perché
l’occidente creando l’immutabile, edificando l’essere con qualcosa di stabile e
che quindi diventa la vera realtà, mentre la nostra realtà è diveniente, ha
ucciso la vita. L’uomo infatti tutto proteso nella contemplazione
dell’immutabile dimentica la sua dimensione diveniente. Perchè l’uomo possa
vivere, Dio deve morire.
Heidegger conferma che con la nostra concezione dell’essere
come immutabile, noi occidentali non sviluppiamo la filosofia della vita.
Abbiamo cioè identificato l’essere con gli enti. Heidegger quindi denuncia questo oblio dell’essere.
L’essere va considerato nel tempo, nella temporalità (Essere e tempo), nel divenire, non nella staticità e
nell’immutabilità.
Heidegger è l’ispiratore, il punto di riferimento filosofico
di tutta la teologia del ‘900. I teologi del novecento hanno preso come punto
di riferimento, per la riflessione su Dio, un pensatore che sostanzialmente
dice che l’essere vero non può essere identificato con la presenza, con
l’eternità, con l’immutabilità.
Heidegger dice che c’è una differenza ontologica fra gli enti
che vediamo e l’essere. Noi non possiamo connotare l’essere con i caratteri
degli enti che incontriamo e che sono qui presenti di fronte a noi, perché se
noi identifichiamo l’essere con la semplice presenza ne perdiamo il senso. Ecco
perché Heidegger ripropone la riflessione sul senso dell’essere, perché è
convinto che l’occidente ha dimenticato la domanda fondamentale su cosa è
l’essere. Anche dire che cosa è l’essere è sbagliato perché l’essere non è una
cosa.
Bisogna
anche superare quella concezione che ha avuto spesso l’occidente dagli albori
della filosofia che “dal nulla, nulla
viene”. In realtà l’essere è il non essere di tutte le cose. L’essere non è
una cosa e non essendo una cosa, cioè essendoci una differenza ontologica fra
essere e ente, l’essere è ciò che permette la manifestazione delle cose che
albergano nell’essere, ma non si identifica con le cose. È stato questo il vero
dramma dell’occidente, la metafisica occidentale ha dimenticato l’essere.
Come
lo ha dimenticato? Lo ha dimenticato perché ha immesso nella storia del
pensiero un concetto di verità, di verità che si manifesta che è evidente, di
un pensiero che è trasparente all’essere.
La differenza ontologica fra Essere e Ente
Per esempio, Dio
è stato ridotto dalla cultura occidentale al primo anello della catena degli
enti, infatti cercando di ridurlo alle nostre categorie (orthotes) è stato
trasformato nel primo ente (ontoteologia).
ALETHEIA: parola greca tradotta normalmente in
“dischiudimento”, “svelamento”, “rivelazione”, “verità”. Nella
logica di Aletheia l’uomo non cattura l’essere, ma lo lascia sussistere.
Aletheia ha però come
suo significato strettamente letterale “lo stato del non essere nascosto”, “lo
stato dell’essere evidente”. La verità come disvelamento
(non è mai una chiara manifestazione, ma è un gioco di luce e ombra). L’essere
non si svela completamente, ma in parte rimane oscuro, e questa caratteristica
deve essere mantenuta per evitare che l’essere si riduca ad ente.
ORTHOTES: verità come corrispondenza ad uno schema razionale. Giusto punto di vista, opinione corretta (originale = ortodossa). È questo il significato che la filosofia occidentale ha poi adottato per cercare di “catturare” l’essere, proprio perché essendo esso indominabile e sfuggevole, ha cercato di ridurlo a schemi razionali (à dionisiaco di Nietzsche).
L’essere
si svela e si nasconde allo stesso tempo, dice Heidegger che però ci rivela che
Platone ha sostituito il concetto di verità. Non parla di “aletheia”,
disvelamento, ma di “orthodes” cioè: giusto punto di vista, opinione corretta
(originale = ortodossa). Quindi Platone ha di fatto detto che l’essere vero è
l’immutabile, infatti le idee platoniche
erano immutabili ed eterne. La verità non la riconosco più lasciandola parlare,
facendola disvelare, ma la realtà la colgo solo se prima colgo le idee, che
sono le forme immutabili delle cose e che sono principio di conoscenza.
Sovrappongo qualcosa di immutabile al divenire. L’immutabile mi permette di
conoscere il divenire. La dimensione intellettuale, la dimensione logica, la
scienza, l’epistème è conoscenza dell’immutabile. Per Platone infatti c’era
scienza solo delle idee. Il sapere del mondo sensibile era un sapere falso,
quello delle ombre nella caverna. Il vero sapere è solo quello dell’immutabile
che mi dice qual è il punto di vista corretto della realtà. Però Heidegger fa
notare che così non è più la realtà che mi si evidenzia e che io ascolto, ma la
realtà è comprensibile solo se io sovrappongo ad essa una dimensione
immutabile.
Riprendiamo
Vattimo: “Per la ricostruzione dell’oblio dell’essere che ha attuato la
metafisica occidentale, si può cominciare col seguire la storia del concetto di
Aletheia = Verità. Nella parola greca l’alfa privativo indica ancora una certa
consapevolezza del fatto che la Verità implica una originaria non verità,
perché se si parla di “disvelamento”
vuol dire che era anche nascosta. Ciò che appare nel progetto si colloca sullo
sfondo che resta oscuro e che tuttavia entra radicalmente a costruirlo. Ma già
nel pensiero greco tale originario legame di “disvelatezza” e nascondimento
viene dimenticato. In Platone il vero è l’idea, cioè l’ente in quanto visibile
all’intelletto, il mondo delle idee era il mondo dell’intellegibile, la cosa
stabile e immutabile vista con gli occhi della mente e non con quelli della
carne. Qui quello che conta ormai nella verità, è lo svelarsi, l’apparire nella
presenza e viene dimenticato l’oscuro e il nascosto da cui l’apparire viene. Se
il vero è il visibile in questo senso, ciò che importa è il percepire bene. Se
il vero è l’idea, la verità del pensiero è il vedere giusto, ma è il soggetto
che si mette a fare da padrone”.
Qui
sostanzialmente Heidegger legge Platone come anticipatore di tutto quello che
poi sarà Cartesio e Kant. Cosa diceva Kant, che la conoscenza è una
applicazione di forme al materiale sensibile, cioè qualcosa di stabile, ma alla
fine il padrone è il soggetto, alla fine si perde il senso dell’essere.
“Altra
tappa in questo oblio dell’essere dopo Platone è Cartesio, secondo Heidegger.
Un primo decisivo punto di arrivo di tutto questo processo di dimenticanza
dell’essere come disvelamento è appunto Cartesio, che trae le conseguenze
implicite dalla concezione greca dell’essere come idea (Platone). Se solo ciò
che è stabilmente definito in una forma, idea, cioè visibilità e che è
effettivamente presente e vero, l’essere vero ha come suo carattere
fondamentale di darsi come certo. Il carattere costitutivo dell’essere è la
certezza, la verità diventa certezza, certezza del soggetto che ha il giusto
punto di vista sul mondo (da “aletheia” a “orthodes”). Il carattere costitutivo
dell’essere è la certezza, la perentorietà di ciò che è indubitabile. (Cartesio,
metteva fra parentesi tutto per cercare qualcosa di indubitabile). In Cartesio
è reale, è ente solo ciò che è certo, di cui abbiamo una idea chiara e
distinta. Ma in tal modo ciò che costituisce la realtà della cosa, il suo
essere di cui cerchiamo il senso è appunto la certezza che io ne ho e quindi
chi la fa da padrone? Il soggetto. Non c’è più il disvelamento dell’essere, ma
c’è o il sovrapporre all’essere i caratteri dell’ente (ne faccio una supercosa)
oppure c’è la sovrapposizione del soggetto che dà lui il senso all’essere,
perché è lui che è certo di ciò che conosce”.
Sentieri interrotti (Holzwege)
Sentieri interrotti (Holzwege), pubblicato nel 1950, è uno dei testi che rappresenta la cosiddetta
"svolta" (Kehre) nel pensiero di Martin Heidegger, ovvero il passaggio dalla ricerca sul senso dell'essere in
riferimento all'esistenza umana, ricerca basata sul metodo della fenomenologia, all'indagine diretta alla verità dell'essere
come evento del linguaggio, caratteristica della seconda fase del suo pensiero.
Sentieri interrotti
è un’opera costituita da una serie di saggi sui più svariati argomenti,
tradotti in italiano da Pietro Chiodi, corrispondente epistolare con Heidegger.
È interessante la storia di questa traduzione perché il titolo originale
tedesco (Holzwege)
(olzdegher) è un termine intraducibile
in italiano. Pietro Chiodi ci racconta come andò la ricerca di un titolo
italiano adeguato.
“Holzwege sono quei sentieri che cominciano al limitare di un bosco ma che poi
inoltrandosi in esso finiscono per sparire del tutto nel bosco più fitto. Ogni
sentiero rappresenta una ricerca, ogni umana ricerca, che si inoltra nel bosco
dell’essere per catturarlo, farlo proprio (signoreggiarlo). Per Heidegger
queste ricerche finiscono per perdersi nell’essere fino ad arrivare ad scoprire
che è l’essere stesso che si manifesta a noi nella sua storicità, nel suo
divenire. Heidegger vuol dire che l’essere è unità articolata di rivelazioni e
nascondimenti che è epochè fenomenologica. Ogni sentiero in quanto cammino
della ricerca umana è ad un tempo un po’ via e sviamento, avanzamento e
smarrimento. Solo i legnaioli e i guardia boschi, sapendo cos’è il bosco, sanno
cosa vuol dire trovarsi in sentieri che all’improvviso si perdono nella
boscaglia e ti fanno diventare una cosa solo con il bosco, con l’essere. Non è
quindi il sapere la conoscenza di un oggetto, ma la salvaguardia di una
epifania, di una manifestazione. Guardia boschi sono coloro che percorrono i
sentieri del bosco preoccupati della sua custodia, cioè di lasciarlo essere ciò
che è, di salvaguardarlo. Le ricerche umane debbono salvaguardare l’essere, non
sovrapporre l’essere o i caratteri delle cose o i nostri corretti punti di
vista, le nostre idee formali e immutabili. Così stando le cose una traduzione
del titolo potrebbe essere “errare” nel senso di procedere e di smarrirsi o
meglio “sentieri erranti nel bosco”. Heidegger lo trovò troppo vicino
all’errare come sbagliare, cioè ad un significato negativo che esso invece non
ha e non vuole avere. Il senso del sentiero nel bosco che dà “Holzwege”
è quello che il sentiero non va oltre, cessa
improvvisamente, lascia in tronco, quindi meglio “sentieri senza meta” o “sentieri
interrotti”. Heidegger scartò “sentieri senza meta” perché precisò che “Holzwege” ha
una meta e precisamente il cuore del bosco, dove si trova la legna”. Quindi
l’umana ricerca ad un certo punto si smarrisce e lascia parlare l’essere.
In uno di questi
sentieri Heidegger prende in esame la sentenza di Nietzsche “Dio è morto” e si
propone di scrivere un saggio sulla “metafisica di Nietzsche” pur sapendo
quanto Nietzcshe fosse un tremendo detrattore della metafisica. Sta qui la
filosofia del sentiero nel bosco, cioè se ci si lascia guidare dal vero senso
di quello che dice un autore si possono cogliere anche queste cose paradossali.
L’ultima parabola di
questa metafisica occidentale che ha dimenticato l’essere, come disvelamento,
come divenire, come temporalità è proprio Nietzsche, perché egli con la sua
volontà di potenza, è vero che dice che Dio è morto, che non bisogna trovare
dei surrogati o feticci di Dio (come fanno i positivisti e i marxisti), ma lui
con la sua volontà di potenza con il suo oltre uomo che cerca di dare un senso
alla sua vita, in realtà dove prima c’era l’essere, c’era Dio, di fatto ora ci
son prodotti umani, ma sostanzialmente ancora una volta è l’uomo che dà un
senso alle cose. Bisogna invece lasciare che l’essere parli. È così che la
fenomenologia di Husserl approda con Heidegger al linguaggio.
Linguaggio che non è
uno strumento nelle mani dell’uomo, ma è lo strumento dell’essere. Il
linguaggio possiede l’uomo. L’uomo deve poetare. Il vero linguaggio della
filosofia è la poesia, cioè il lasciare parlare l’essere. Quando il poeta è
ispirato, le parole non le crea, nascono da qualcosa d’altro, da una epifania
che vede. Il filosofo deve essere il custode del bosco, che è la casa
dell’essere e che va salvaguardata. Va lasciato parlare l’essere. Si fa
filosofia ascoltando e alle volte anche tacendo.
Heidegger, cattivo
maestro
Concludiamo
spiegando perché dobbiamo annoverare Heidegger, così affascinante e convincente
nella sua filosofia e nel suo pensiero, fra i cattivi maestri usciti al seguito
della sinistra e della destra hegeliana, trascurando la sua vita personale
decisamente amorale che non ci interessa in questa esposizione. Come Hegel è
convinto che non c’è più nulla di stabile, è tutto un divenire inesorabile, che
l’assoluto stesso è diveniente. Heidegger ha una visione storicistica della
verità. La Verità è diveniente, non è qualcosa che si da, non è qualcosa di
immutabile.
Tutti i filosofi e i
teologi che hanno assunto Heidegger come chiave di lettura per fare teologia
sono approdati all’abbattimento della
Verità. Si parla del divenire del dogma, che il dogma deve essere sempre
reinterpretato e adattato alla vita, perché è la vita che fa la verità, è la
vita che coglie di volta in volta la Verità lasciando parlare il divenire.
Nasce quindi un odio viscerale nei confronti del dogma e della dottrina, cioè
di tutto ciò che è visto come un monolite inattaccabile solo per l’ottusità
della Chiesa. Bisogna invece reinterpretare i dogmi, renderli più appetibili
alla mentalità moderna (verità diveniente). Cristo Via, Verità e Vita non è più
attuale, va tutto reinterpretato e “facilitato” per adattarlo alle nuove
esigenze della gente di oggi.
L’unico teologo che
è sempre rimasto ed è tuttora ben saldo sulle posizioni della Chiesa Cattolica
(Universale), del suo Magistero e della sua Tradizione, che ha sempre avuto
come suo centro di riferimento Gesù
Cristo (vero Dio e vero Uomo) Via, Verità e Vita e la ragione al servizio della
fede, come la fede a servizio della ragione, mantenendo sempre vivi gli
insegnamenti di Sant’Agostino e di San Tommaso, è stato ed è Papa Ratzinger,
ora Papa emerito Benedetto XVI (unico teologo nella storia della Chiesa
diventato papa) a cui questo corso fa riferimento e che continua a guidarci in
questa iniziativa [Ndr].
Conseguenze dell’abbattimento della Verità (1)
L’uomo che salva sé stesso – J. Ratzinger
(tratto da: Joseph Ratzinger – Glaube und Zukunft – Munchen 1971)
L’uomo attende
la salvezza da se stesso, e sembra anche capace di darsela. Così, al primato
del futuro si connette un primato della prassi, un primato della condotta umana
attiva, che viene posta al di sopra di qualsiasi altro atteggiamento.
Tutto
ciò comincia a produrre effetti anche nella teologia, che si apre sempre più
insistentemente a una simile disposizione di fondo. Contro l’”ortodossia” (rigorosa fedeltà ai principi di una dottrina),
ora scende in campo l’”ortoprassi” (azioni e comportamenti conformi ad una regola o ad una ideologia). Contro
l’”escatologia” (insieme di concezioni sul fine ultimo
dell'umanità e dell'universo)
l’”escatoprassi” (agire pratico e responsabile
di fronte alla morte). (In altre parole: posporre la fede e l’amore ai
cavilli farisaici per valutare ciò che è lecito e ciò che non è lecito nelle
varie situazioni storiche di un mondo che continua a cambiare [Ndr]).
Se in passato
l’illuminismo poté dire al contadino che il concime è più efficace della
preghiera, oggi, mutate le circostanze, si può dire che anche la preghiera
debba subire una “riconversione”: essa non può più essere considerata come una
invocazione dell’aiuto di Dio (e quindi un riconoscimento del suo esserci Padre
[Ndr]), ma deve essere piuttosto considerata come una prassi per la propria
autorealizzazione. La fede nel progresso, già data per morta, risorge di nuovo;
e l’ottimismo e il positivismo, convinti nuovamente di poter creare la città
dell’uomo, fa nuovi adepti.
Quando l’uomo ha
per la prima volta posato il piede sulla luna (1969), nessuno in verità ha
potuto sottrarsi all’entusiasmo, all’orgoglio e alla gioia per l’impresa
gigantesca che in quel momento era riuscita al genere umano. Quell’evento non è
stato recepito come la vittoria di una determinata nazione, ma come una
vittoria dell’uomo.
Ma quello stesso
uomo però, pur capace di cose tanto inaudite non è in grado di evitare che ogni
anno milioni di individui muoiano di fame, che milioni di famiglie non possano
avere una esistenza degna, che non si riesca a porre fine alle guerre, ad
arginare la marea crescente di criminalità (e del terrorismo e delle fughe di
massa diremmo oggi [Ndr]). Tutto ciò getta allora un velo di profonda tristezza
su questa meravigliosa impresa.
La strada per la
luna è più facile da trovare che la via che
conduce l’uomo a se stesso. Il “potere” dell’uomo su di sé riposa
manifestamente su di un piano totalmente
diverso da quello del potere di applicazione della scienza e della tecnica.
(Gesù Cristo: Via, Verità e Vita è la strada giusta che permette all’uomo di
ritrovare se stesso [Ndr]).
Conseguenze dell’abbattimento della Verità (2)
La Teologia dei dissidenti
Se
uno pseudo teologo afferma che gli angeli non esistono, oppure che il demonio e
l’inferno non esistono, oppure che Gesù non è risorto fisicamente, oppure che
il peccato originale è solo un errore dei progenitori, oppure che la S. Messa
non è il sacrificio della Croce, ma soltanto un banchetto; oppure che bisogna
riconsiderare la presenza reale e la conversione eucaristica perché sarebbero
posizioni sbagliate; oppure che la Chiesa e i preti non erano nel pensiero di
Gesù storico, ma sono entrambi un’invenzione della comunità cristiana dopo la
risurrezione o più tardi; oppure che la Chiesa è scomparsa nel 3° secolo ed è
riapparsa solo col Concilio Vaticano II; oppure che il magistero della Chiesa e
l’insegnamento del Papa sono un optional; oppure che l’infallibilità del Papa o
del Magistero non sono da considerare come punti fissi; oppure che la
Tradizione della Chiesa è un elemento ingombrante, perché ciò che conta è solo
la moderna esegesi biblica; oppure che il Concilio Vaticano II è stata una
rottura rispetto a tutta la Tradizione della Chiesa; oppure che gli
insegnamenti morali del Magistero della Chiesa sono solo orientativi, e vanno
rivisti, soprattutto in merito ad omosessualità, anticoncezionali, rapporti
prematrimoniali, fecondazione artificiale, ecc., oppure che l’ascetica era adatta per gli uomini del MedioEvo e che chi si attiene
all’insegnamento ufficiale della Chiesa avrebbe una fede infantile. Ebbene in
questi ed atri casi, siamo di fronte a falsi teologi, o comunque a teologi non
cattolici, ma anche a falsi cristiani. (Falsi profeti dai quali Gesù Cristo ci
ha messo in guardia).
Istruzione
sulla vocazione ecclesiale del teologo,
emanata il 24 maggio 1990 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con
l’approvazione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II:
1.
La verità
che rende liberi è un dono di Gesù Cristo (cf. Gv 8, 32). La ricerca della verità è
insita nella natura dell’uomo, mentre l’ignoranza lo mantiene in una condizione
di schiavitù. L’uomo infatti non può essere veramente libero se non riceve luce
sulle questioni centrali della sua esistenza, ed in particolare su quella di
sapere da dove venga e dove vada. Egli diventa libero quando Dio si dona a lui
come un Amico, secondo la parola del Signore: «Non vi chiamo più servi, perché
il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché
tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). La liberazione
dall’alienazione del peccato e della morte si realizza per l’uomo quando il
Cristo, che è la Verità, diventa per lui la «via» (cf. Gv 14, 6).
Conseguenze dell’abbattimento della Verità (3)
Attacco a Ratzinger
È una cronaca attenta ai particolari e ai retroscena degli
attacchi contro Benedetto XVI, che dal 2006 a oggi ne hanno fatto il Pontefice
più sistematicamente aggredito da un'incessante campagna mediatica degli ultimi
anni. Benedetto XVI è consapevole dei molti
attacchi che riceve come “ottuso conservatore”. È invece molto interessato alle
nuove tecnologie e alla necessità di migliorare le strategie di comunicazione
della Santa Sede. Ma è anche molto sereno. È disponibile a seguire i problemi
che la rivoluzione delle comunicazioni – una rivoluzione forse non meno
importante di quella degli anni 1960 in tema di morale e di crisi dell’autorità
– pone alla Chiesa, ma non a inseguirli. Insiste sul fatto che la salvezza
della Chiesa perseguitata non verrà dalle strategie, dalle diplomazie, dalle
tecnologie – per quanto queste siano importanti e non vadano trascurate – ma
dalla fedeltà alla preghiera, alla meditazione, al Cristo crocefisso. È probabile
che abbia ragione non solo, com’è ovvio, sul piano spirituale
ma
anche su quello culturale e sociologico, dove alla Chiesa non si chiede
d’imitare i modelli dominanti ma di essere se stessa. Non tutti, anche tra i
cattolici, sembrano averlo compreso. (Estratto da: Paolo Rodari e Andrea Tornielli: Attacco a Ratzinger. Accuse, scandali, profezie e complotti contro
Benedetto XVI – ed. Piemme 2010)
L’Esistenzialismo
L’esistenzialismo è
una vera e propria filosofia, ma è anche un movimento culturale che si sviluppa
già nel primo dopo guerra ma che avrà il suo apice nel secondo dopo guerra. È
un clima culturale così grande che investe la letteratura, il romanzo, il
cinema, la moda, ecc. entra cioè in tutto il tessuto sociale. Qual è l’elemento
caratteristico di questo evento storico? Ricordiamo che si esce dalla guerra,
da un momento di grande crisi, di grande pessimismo, di grandi delusioni. Si è
ormai definitivamente fuori da quell’ottimismo che aveva caratterizzato l’800
che avevano preteso di rassicurare l’uomo spiegando il senso della realtà e
della storia con l’idealismo, il positivismo, il marxismo, l’evoluzionismo,
perfino la possibilità di controllare la psiche, ecc. In nome della ragione,
dell’assoluto, dell’idea sembrava di essere entrati in un progresso
inarrestabile, da qui un gran ottimismo sul futuro. Le due guerre hanno
abbattuto ogni speranza, i problemi che esse avrebbero dovuto risolvere si sono
invece esasperati.
Pietro Chiodi (1915 – 1970)
Dice Chiodi: “Bisognava dunque che il
romanticismo esaurisse tutte le sue risorse,
così nella forma idealistica, come in quella positivistica. Bisognava che la
prima guerra mondiale facesse crollare tutto il mondo di illusioni. Bisognava
che l’arte attraverso il contatto con tipiche manifestazioni extraeuropee
vedesse dileguare l’assolutezza delle sue determinazioni strutturali, forma,
spazio, figura, colore. Bisognava che la scienza vedesse dissolversi nell’insensatezza
le sue pretese di un sapere teologizzante (La scienza che nell’800 giustifica
se stessa - scientismo). Bisognava che la religione stessa si trovasse una
volta ancora dinnanzi al prevalere delle forze del male e della distruzione,
perché rinascesse in tutta la sua tensione una situazione esistenzialistica e
con essa l’istanza kierkegordiana di una filosofia esistenziale”.
Ciò a cui l’esistenzialismo mira e guarda è
questo soggetto umano, finito, lacerato, in crisi in tutte quelle sue
dimensioni vitali, dal nascere al morire, al patire, allo scorrere del tempo,
alla malattia, alla lotta per la sopravvivenza. Tutte quelle dimensioni che
prendono l’uomo, lo gettano nel mondo, in una esistenza e li vive e li si
realizza.
L’esistenza per gli esistenzialisti è qualcosa
di indeducibile, è qualcosa che non esiste a priori, non è qualcosa di ontologicamente
dato che dopo dobbiamo riconoscere. L’uomo si fa nel momento in cui vive questa
esistenza, nel tempo storico in cui la vive, in un momento preciso. L’esistenza
è il modo proprio d’essere dell’uomo. Un uomo che continua a fare delle scelte
secondo un suo programma derivato da un progetto che dipende da cosa vuole
essere. Le cose del mondo invece sono quel che sono e rimangono tali. L’uomo è
sempre percepito in rapporto all’essere, alle cose. Da questo rapporto con il
mondo e con le cose è continuamente chiamato ad operare delle scelte. Nelle
scelte noi ci assumiamo i rischi dell’esistenza. Esistenza che si realizza
nella possibilità di fare. L’uomo è inteso come singolo, nella sua irriducibile
specificità. Viviamo in un preciso contesto, in un preciso momento storico, in
un luogo particolare e questa determinazione è assolutamente insuperabile. Non
c’è un concetto di umanità o di uomo a cui rifarsi, l’uomo è quello che decide
di diventare.
Nicola
Abbagnano (1901 – 1990)
Il filosofo italiano Abbagnano spiega così l’esistenzialismo:
“l’esistenzialismo filosofico è un concetto storiografico, per indicare tutte
quelle forme di pensiero che in un certo contesto cronologico e culturale
(prima e seconda guerra mondiale), si sono trovate a condividere una visione
dell’esistenza come modo proprio dell’essere dell’uomo. Che cos’è l’essere
dell’uomo? È il suo esistere. L’individuo, nella sua singolarità irripetibile e
situata in una determinata condizione storico temporale, compresa fra la
nascita e la morte, è chiamato a decidere, in vista della propria autenticità e
realizzazione”.
Jean-Paul-Sartre ( 1905
– 1980)
Sartre è un filosofo, scrittore, drammaturgo, critico
letterato e attivista francese, considerato uno dei più importanti
rappresentanti dell'esistenzialismo, che in lui prende la forma di un umanismo ateo
in cui ogni individuo è radicalmente libero e responsabile delle sue
scelte, ma in una prospettiva soggettivista e relativista. In seguito Sartre diverrà un
sostenitore dell'ideologia marxista e del conseguente materialismo
storico.
In
Francia l’esistenzialismo ha avuto uno sviluppo particolarmente significativo
dove Jean Paul Sartre (1905 – 1980) ha avuto il ruolo più importante. Egli ha
scritto di tutto, letteratura, romanzi, opere filosofiche, opere politiche,
programmi televisivi, insomma è personaggio dominante in tutta la cultura del
XX secolo. Il suo pensiero ha quindi una sua particolare importante e
determinante influenza.
Sartre
recupera il concetto fenomenologico di Husserl dell’intenzionalità della coscienza.
Anche Sartre dice che la nostra coscienza pensa sempre a qualcosa, intenziona
sempre qualcosa, perché la nostra coscienza è ”vuota”. La nostra coscienza non
ha nulla se non le cose con le quali si mette in relazione. Nell’opera “L’essere e il nulla”, che poi è il
capolavoro di Sartre, egli ci dice che l’essere si dà in due modi: l’essere in sé e l’essere per sé.
L’essere
in sé è tutto ciò che non è la mia coscienza, tutto ciò che la coscienza
intenziona, tutto ciò con il quale la coscienza entra in relazione, cioè il
mondo, le cose del mondo. Le cose che sono quello che sono e non possono
diventare altro che quello che sono (animali compresi).
Chi
è invece l’uomo? L’uomo è l’essere per sé è la coscienza, è ciò con cui si
presenta e si rapporta alle cose ed è vuota, non è un oggetto, è vuota di
essere. Il suo essere è essere vuota di essere. Si riempie nella possibilità di
essere, di agire, di fare, di entrare in rapporto con le cose e con il mondo.
Visto
così, l’uomo è libertà di essere ciò che vuol essere. Cioè la coscienza è
libera in quanto può pensare e determinare quello che vuole, essa ha un potere
gigante, perché ha il potere di nullificare la coscienza (L’essere e il nulla).
Da
una parte c’è il mondo che esiste, dall’altra parte ci sono io che sono un
nulla ed ho il potere di nullificare la realtà qui presente. Questa mia libertà
è però una sorta di condanna, perché non posso non scegliere, sono condannato
ad essere libero, non posso non operare nessuna scelta, non possiamo scegliere
di non scegliere. La libertà non è un essere, essa è l’essere dell’uomo. Io
sono condannato ad esistere per sempre al di là dei moventi e dei motivi del
mio atto.
Questa
condanna ad essere liberi apre un altro problema che è quello della
responsabilità. Sono obbligato a fare delle scelte e tutto quello che faccio è
mia responsabilità. Non c’è nessuna azione che compia l’uomo che sia inumana,
perché tutto viene dall’uomo.
Dice
Sartre ne “L’essere e il nulla” le
peggiori situazioni della guerra, le peggiori torture, non creano affatto
qualcosa di inumano (che non è umano), non c’è una situazione inumana. Non vi
sono casi accidentali, tutto viene dall’uomo. Se io sono mobilitato in una
guerra, questa guerra è la mia guerra, è mia propria immagine ed io la merito.
La merito, in primo luogo, perché potevo sottrarmi ad essa con il suicidio o la
diserzione. Se non mi sono sottratto, io l’ho scelta. L’ho scelta per debolezza
davanti all’opinione pubblica, perché preferisco certi valori a quelli del
diritto stesso a far la guerra, ma in ogni caso si tratta di una scelta che si
porta dietro una responsabilità. È l’uomo che si sceglie, è l’uomo che è
responsabile delle sue scelte.
Prima
conseguenza si ha nel rapporto con gli altri, perché se io ho questa relazione
con la realtà e con gli altri, anche gli altri l’hanno con me e con le cose.
Esiste quindi una sorta di “conflitto”
con gli altri che rappresenta la caratteristica degli esseri umani (accoglienza
o difesa dall’altro). Sartre dirà “l’inferno
sono gli altri”.
La
nostra esistenza allora è un assurdo. Io non ho chiesto di vivere. L’uomo non è
libero di essere libero. La vita non ha senso. La vita è un vuoto, un vuoto
senza Dio. L’unica esperienza emotiva possibile che provo di fronte alla
consapevolezza che io sono obbligato ad esistere in una realtà che in fondo non
ha senso, dove cerco di trovare un posto, ma questo posto non c’è, l’unica
esperienza emotiva possibile che provo dice Sartre è la nausea.
Questo schema di fatto è uno schema generale,
perché tutto l’esistenzialismo si adatta perfettamente a qualsiasi tipo di
esistenzialismo, ateo, religioso, umanista e ontologico, perché ha questa
radice profonda che è il soggetto che vive.
L’uomo,
da sempre, risponde a tutto questo rifugiandosi nella metafisica, nella religione,
ma questo non gli risolve il problema, anzi lo peggiora. L’uomo cerca di
colmare questa distanza fra l’essere delle cose e il suo vuoto, ma la cosa non
può esistere. Cerca di rispondere con la ragione, ma la ragione non fonda
l’esistenza. La coscienza non fonda se stessa, non è qualcosa di dato. Le mie
idee non esistono prima di me. Non c’è la legge morale, naturale e divina che
mi guida. No, io prima di nascere sono carne pura. Inizio a essere quando io mi
do da fare, quando io inizio a vivere. In fondo tutte le cose che facciamo sono
indifferenti. Come faccio a dire che una cosa è più grave delle altre o è più
importante delle altre o vale più delle altre.
Diceva Dostoevskij
“se Dio non c’è tutto è permesso”. Chi può dire cosa è giusto e cosa è sbagliato,
chi può dire chi ha ragione o chi ha sbagliato. Tutte le attività umane sono
equivalenti e che sono destinate per principio a scomparire. Le cose del mondo
sono gratuite ed un valore non è superiore ad un altro. La vita quindi è una
avventura assurda dove l’uomo si proietta al di là di sé stesso come per voler
diventare Dio. L’uomo è l’essere che progetta di essere Dio, ma nella realtà si
mostra per quello che è “una passione inutile”. Ma in fondo che differenza c’è
fra un eroico condottiero che sacrifica la sua vita per difendere la patria e i
suoi fratelli ed un vizioso che vive fra i bagordi? Chi può dire che uno è
migliore dell’altro in una realtà che non ha più senso?
Sartre con la
seconda guerra mondiale fa l’esperienza della resistenza. Questo cambia un po’
la sua visione. Abbandona questo suo negativismo esistenzialista e cerca di
portarlo su di un piano più legato alla responsabilità individuale e sociale,
sul piano della libertà individuale non slegata dalla libertà degli altri.
Siamo nel 1946 quando scrive “essenzialismo e nominalismo” e le vicende della
resistenza e della ricostruzione gli fanno riconsiderare la differenza fra chi
si impegna per gli altri e chi invece si chiude nel proprio egoismo.
C’è una volontà di Dio che
ci accompagna
J. Ratzinger
Per Sartre,
abbiamo visto, la nostra esistenza è un assurdo. L’uomo non è libero di essere
libero. La vita non ha senso. La vita è un vuoto, un vuoto senza Dio.
(Questa
omelia inedita del 5 luglio 1984 di Joseph Ratzinger è di fatto una risposta
all’esistenzialismo di ieri e di oggi e ci aiuta ad uscire da questo vuoto
abissale che ci fa sentire figli di nessuno, senza una meta e dipendenti solo da
noi stessi come se fossimo apparsi per caso in questo mondo.)
“C’è una volontà di Dio che ci accompagna,
e questa sua intenzione è il nostro originario inizio. È questo non vale, si
badi, in generale o alla lontana, ma per ciascuno di noi. Anche se
all’apparenza può sembrare così, nessuno esiste per caso. Ciascuno è voluto e
amato e quindi ciascuno è necessario.
Per ognuno c’è nel mondo un compito, un senso per la vita, e la nostra vita
sarà tanto più pienamente è felicemente realizzata quanto più riconosceremo
questo senso, vivremo questa volontà e saremo una cosa sola con essa.
Di qui subito un
ulteriore domanda: che cosa Egli vuole? Quale idea, quale disegno Egli persegue
con l’uomo? Per un verso, qui c è da rispondere: per ogni uomo egli ha
concepito una fisionomia originale, ciascuno è in modo speciale qualcuno, e non
semplice esemplare di una produzione in serie di milioni di manufatti
standardizzati. Ognuno è un “unicum” che mai si ripete e che Dio vuole proprio
come tale. Questo significa che Egli chiama ciascuno con un nome, non con un
concetto, ma con un nome, che egli solo conosce e che è di sua esclusiva
competenza.
Ciascuno riceve una
sua personale chiamata (che sia un analfabeta o un gran dottore). E vivendo con
cuore desto e aperti al dialogo e alla comunicazione con Dio, noi possiamo
riconoscere come Egli abbia bisogno di noi in quella situazione apparentemente
irrilevante e come, proprio in questo modo, noi diventiamo smisuratamente
importanti. C’è solo bisogno di ricordare che uomini che erano apparentemente i
più dimenticati, i meno importanti del mondo, – una ragazza di Nazaret, dei
rozzi e semianalfabeti pescatori sul lago di Genesaret – sono diventati di
incommensurabile importanza per l umanità e la storia. Perfino un odioso agente
delle tasse (san Matteo) ed un persecutore accanito dei cristiani (san Paolo)
sono diventati indispensabili per la diffusione della “Buona Novella”, il
Vangelo. Non è sempre così evidente e, tuttavia, Dio vuole tutti e ha
bisogno di ciascuno, perché il suo mondo divenga ciò
che Egli vuole che esso sia”. J. Ratzinger1984
La Società tecnologica e la Fede
J. Ratzinger
“Lo studio delle verità di fede (la catechesi)
è in crisi e in crisi è pure la società. Nella società tecnologica, cioè nel
mondo che l’uomo ha costruito con le sue proprie mani, non si incontra
immediatamente il Creatore, ma, piuttosto, l’uomo incontra innanzitutto e
sempre se stesso. La struttura di fondo dell’universo tecnologico e la
fattibilità così come la sua certezza è la certezza che deriva dal calcolo. Per questa ragione,
l’interrogativo circa la salvezza dell’uomo non si indirizza più a Dio, che non
si manifesta più in alcun luogo, ma torna di nuovo a vertere sul potere dell’uomo,
che mira a diventare “ingegnere” di se stesso e della storia.
Conseguentemente
egli non indaga più sui criteri morali necessari alla sua condotta nella
direzione del “linguaggio della creazione” o del Creatore che gli è diventato
ignoto. Sotto l’aspetto morale, per lui la creazione tace; essa parla solo il
linguaggio della matematica, dello sfruttamento tecnologico ; oppure protesta
contro la violenza perpetratale dall’uomo. Ma anche in questo caso il suo
rimprovero morale rimane indeterminato (...). Per un verso, questa immagine
complessiva del mondo si riflette nei
mezzi di comunicazione odierni; per l’altro, essa diviene dagli stessi
alimentata. Oggi la rappresentazione del mondo
e degli eventi, proposta dai mezzi di comunicazione, forgia la coscienza
molto più incisivamente che non la personale esperienza della realtà. Tutto ciò
si ripercuote anche sulla catechesi. Questa vede i suoi classici morali – la
Famiglia e la Parrocchia – ormai indeboliti; non più riannodarsi ad una
esperienza di fede vissuta nella comunione viva della Chiesa; e cosi
sembra condannata a non dover proferire
più parole in un epoca in cui la lingua e la mentalità si alimentano soltanto
di quanto, delle esperienze del mondo, l’uomo si è auto edificato”.(tratto da “Die Krise der Katechese” Abbazia di Einsiedeln.
– 1983)
Giovani
impegnati in attività di volontariato che sempre più spesso nascono come
reazione alla società tecnologica perché riescono a dare un senso più pieno
alla propria vita e occasione di vera comunicazione interpersonale (senza barriere tecnologiche) e di concreto
servizio agli altri. Alle volte nascono in parrocchia, altre volte nascono
altrove con il passa parola. Lo Spirito
Santo è pieno di iniziative, l’importante è avere l’occasione di aderirvi [Ndr].
PROGRAMMA incontri della quarta tappa:
l'eclissi della ragione
- 4t-1-La reazione a Hegel: Schopenhauer e Kierkegaa...
- 4t-2-La sinistra hegeliana: Feuerbach e Marx
- 4t-3-Positivismo e Darwinismo
- 4t-4-Spiritualismo e Psicanalisi
- 4t-5-Nietzsche: la morte di Dio
- 4t-6-Nietzsche: l'oltreuomo
- 4t-7-La Fenomenologia di Husserl
- 4t-8-Heidegger e l'esistenzialismo
- 4t-9-Idealismo italiano
- 4t-10-Neopositivismo e Pragmatismo americano
- 4t-11-La Scuola di Francoforte e Popper
- 4t-12-L'Ermeneutica di Gadamer e Benedetto XVI
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