mercoledì 24 maggio 2017

4t-6-Nietzsche: l'oltreuomo

Le slides e la Dispensa

























Nietzsche e la decadenza del mondo occidentale


Nella sua opera giovanile “La nascita della tragedia” Nietzsche affronta il problema di come è nata la tragedia greca e dice che per comprendere bene il genio dei greci bisogna fare riferimento a due dimensioni o categorie, quella dell’Apollineo e quella del Dionisiaco.

Prosegue affermando che l'errore della specie umana consiste proprio nell'aver voluto trovare un perchè ad ogni cosa, nel tentativo di razionalizzare tutto, facendo morire il senso del tragico presente fino ad Eschilo e a Sofocle, massimi esponenti della tragedia greca. E' a partire da Euripide che si é avviato questo esasperato processo di razionalizzazione che ha portato in trionfo il dio Apollo, il solare dio della razionalità, a discapito di Diòniso, il notturno Dio dei festini e della tragedia.
Quella dell’Apollineo (del dio Apollo) incarna la forma, il finito, la ragione e che sostanzialmente era caratterizzato dalla scultura e dalla poesia epica ed era ben equilibrato da un altro spirito, quello Dionisiaco che scaturisce dalla forza vitale, è caos, è divenire, è l’ebrezza, è la danza del dio Diòniso. Finché queste due dimensioni stavano in equilibrio il mondo greco ha prodotto le tragedie classiche di Sofocle di Eschilo, ecc. (la tragedia attica), solo che poi ha prevalso l’Apollineo, cioè la ragione ha prevalso sulla vita e sul divenire, quando la ragione ha cercato di dare un senso alla vita. Nietzsche si richiama a Socrate e alla tragedia di Euripide che si rifà a Socrate.
Nietzsche fa questa sottolineatura, il coro nella tragedia antica partecipava alla rappresentazione in un circolo vitale, con la tragedia di Euripide il coro invece commenta quello che accade al protagonista e cerca di darne un senso. Questo prevalere della ragione e del senso della vita è per Nietzsche il primo segnale della decadenza del mondo occidentale. L’uomo cioè ha creato un rimedio alla vita facendo emergere la verità, l’immutabile, il senso, la ragione.

Quindi la filosofia non nasce per la meraviglia che affascina gli uomini che scoprono la realtà e la vita, ma dall’orrore che invece scoprono studiando la vita e la realtà, allo sgomento di fronte al divenire inesorabile e caotico della vita. L’uomo allora pone rimedio a questa paura che lo attanaglia “ragionando” (filosofeggiando). Infatti il greco thauma usato da Aristotele significa sì meraviglia e stupore, ma anche dovuto alla paura e al terrore del divenire.
Ma per Nietzsche queste sono tutte menzogne o comunque medicine che peggiorano il male che vorrebbero curare. Rimedio che toglie all’uomo la vita, cioè non lo fa vivere, gli fa contemplare illusioni, ma non vivere. La cura della filosofia è stata quindi peggiore del male che voleva curare. Platone che inventa un mondo irreale per dare un senso al mondo reale, non ha senso, è un inganno, altrettanto il cristianesimo con il suo assoluto e la vita in un nuovo mondo, ma pure l’illuminismo, il marxismo, il positivismo, eccetera, che con le loro utopie portano l’uomo a non vivere davvero la sua vita. L’uomo con queste menzogne è di fatto tutto proteso verso un qualcosa che di fatto non arriva mai e così si dimentica di vivere.
Bisogna riconsegnare all’uomo la sua vita. Questo è possibile annunciando la notizia delle notizie: “Dio è morto”, cioè è morta qualunque verità immutabile. L’uomo ora si trova di fronte ad un deserto. Dio è morto, ma resta morto, cioè non è sostituibile con nient’altro, con nessun’altra ideologia. Con Nietzsche sono morti tutti i sensi possibili, è morta qualunque direzione, il nostro è un eterno precipitare, c’è solo il divenire. Non c’è più la destra e la sinistra, il davanti e il dietro. L’uomo è completamente consegnato a questo inesorabile divenire. Dio è morto e resta morto, non ci sono surrogati possibili.
Di fronte a questa nuova prospettiva deve nascere una nuova umanità. Il famoso “superuomo”. Diciamo subito che il filosofo nostro contemporaneo Gianni Vattimo, suggerisce di chiamarlo “oltre-uomo” per non confonderlo con Superman o Flash Gordon.
Il “superuomo” di Nietzsche non è un uomo più potente di tutti e con poteri superiori e straordinari, ma un uomo che vada oltre il concetto di uomo, quello che per due millenni è rimasto schiacciato da ideologie e menzogne che lo hanno tenuto lontano dalla sua vera vita.

Zarathustra e l’oltre-uomo

Questo concetto di “super uomo” o di “oltre-uomo” proviene dalla famosa opera di Nietzsche “Così parlò Zarathustra” . Zarathustra o Zoroastro è un profeta indiano vissuto intorno al 1.600 a.C. a cui la tradizione attribuisce l’invenzione della religione zoroathrista. Nietzsche attribuisce a questo personaggio l’annuncio del suo “oltre-uomo”.
L’oltre-uomo è un uomo che sopravvive alla notizia della morte di Dio. Cioè l’uomo che capisce che è morto qualunque senso o direzione o meta che si voglia dare alla vita, sia metafisica che immanente. Nella “Gaia Scienza” Nietzsche afferma la necessità di non sostituire Dio con qualcos’altro, feticci o alternative a Dio. Di non riempire il vuoto lasciato da Dio con qualche altra divinità.
La vera grande battaglia che Nietzsche porta avanti é contro Dio: credere in un Dio che punisce e in un mondo ultraterreno non fa altro che rimpicciolire l'uomo e fargli perdere il senso della terra! "Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna, un'immensa orribile ombra. Dio é morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. E noi, noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!".
Molti hanno cercato e molti in futuro cercheranno di trovare un senso razionale
alla vita, chiedendosi il perchè e provando a trovare una spiegazione. Ma la cosa più importante é imparare ad apprezzare la vita, senza mai perdere il senso della terra, annebbiati da eventuali vite ultraterrene! Chiunque vi da speranze ultraterrene (l’illuminismo, la scienza, Il marxismo, il progresso, il sol dell’avvenire, il paradiso, ecc.) fa il vostro male, vi illude. La storia (non) marcia verso nessuna direzione.

Le tre metamorfosi

“Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo”.
Cioè lo spirito umano è stato per secoli cammello (schiacciato da due gobbe – due millenni di menzogne). Quando poi il cammello diventa leone, quando cioè si accorge delle millenarie menzogne, l’uomo si libera dai fardelli metafisici all’insegna del “io voglio” me, nell’ambito di una realtà ancora negativa che non gli permette ancora di essere ciò che è. Infine il leone diventa fanciullo, cioè sta nascendo un nuovo tipo di uomo. Quindi il nuovo uomo nasce sapendo che Dio è morto, che rimane morto e che nemmeno la sua ombra o un suo surrogato può sostituirlo. L’uomo nuovo ora sa che tutto ciò che è stato presentato come punto o cosa a cui tendere è sempre stato solo menzogna, raggiro, veleno per la vita dell’uomo. L’uomo nuovo ha sconfitto due millenni di menzogne.
Il dittatore logico Socrate ha bevuto la cicuta tutto contento e sereno, ma Nietzsche afferma che come Apollo ha dato un veleno mortale a Dioniso facendo prevalere la ragione sulla vita, su divenire, sull’istinto, così Socrate ha bevuto la cicuta e l’ha fatta bere a tutto l’occidente lasciando intendere che la vita è tutta una ricerca per raggiungere una meta che non arriva mai e che fa dimenticare di vivere. Bisogna restituire all’uomo la vita.
L’oltre uomo quindi è colui che innanzitutto sopravvive alla notizia che Dio è morto e che resta morto e non inventa un surrogato di Dio da mettere al suo posto. L’oltre-uomo ha sconfitto millenni di menzogne, di illusioni, di falsità, di veleno. L’oltre-uomo è questa creatura nuova che vive finalmente questa nuova condizione di sapere che non c’è verità, non c’è Dio, non c’è direzione, non c’è meta, non c’è senso.

Il pensiero dell’eterno ritorno dell’uguale

Ma l’oltre-uomo è anche colui che fa suo un pensiero abissale: “il pensiero dell’eterno ritorno dell’uguale”. È questa una sua dottrina che afferma che tutto ciò che vediamo ritorna eternamente e che è contenuta nella sua opera “La gaia scienza”.
L’Eterno Ritorno dell’Uguale, che è caposaldo della filosofia di Nietzsche, è probabilmente caratteristica o archetipo  narrativo universale, è infine elemento che scandisce le nostre esistenze. Ne siamo immersi, lo viviamo ogni giorno.
Ogni volta che ci mettiamo a cena, che stappiamo una bottiglia di vino, che brindiamo per un anniversario, che diamo da mangiare al gatto, che ci laviamo la faccia … ogni volta che ci svegliamo.Siamo prigionieri dell’Eterno Ritorno, poiché siamo strettamente legati, e parte integrante, di un sistema finito, immerso in un tempo infinito.

La gaia scienza, Libro IV, n. 341 (estratto)

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?"
Friedrich Nietzsche ricupera qui la visione ciclica del tempo (il circolo di Plotino) per combattere la visione lineare del tempo del cristianesimo che aveva conquistato tutto l’occidente. Lo stesso illuminismo, il marxismo, il positivismo, ecc. avevano utilizzato lo stesso concetto di linearità del tempo e della storia, una linea retta che va verso una direzione ben precisa e definita. Creazione del mondo e dell’uomo, peccato originale, castigo di Adamo ed Eva, venuta di Gesù Cristo, sua passione e morte e quindi resurrezione, salita al celo, nascita della Chiesa e attesa del suo ritorno sulla terra e quindi Apocalisse (disvelamento finale). Gli stessi negatori del cristianesimo, mai avevano combattuto questo concetto di linearità, anzi lo avevano adottato in pieno. Cioè tutti avevano adottato il criterio di un percorso che si svolge nel tempo per raggiungere una meta. La vita è come una corsa verso una meta, ogni ideologia ha la sua: l’Apocalisse per i cristiani, il sol dell’avvenire per il marxismo, o la scienza che risolve tutto, o la libertà piena, ecc. Nietzsche invece scardina completamente l’idea di tempo, la storia (non) va verso nessuna direzione, non va da nessuna parte, non va verso nessuna meta. La visione ciclica serve a Nietzsche per dire che solo in una visione ciclica del tempo ci fa dire si alla vita. Ci vuole un uomo nuovo per accettare l’idea che tutto ritorna. Solo così l’uomo ama la vita, non una sola volta, ma infinite volte, nel dolore e nel piacere. L’oltre-uomo è colui che accetta tutto quello che la vita dà (il bello e il brutto, la gioia e la sofferenza, il benessere e il malessere). Il nuovo uomo è quello che ce la fa a dire si alla vita e a tutto ciò che in essa accade, a volere la vita fino in fondo e per sempre e in tutte le sue manifestazioni. L’oltre uomo è colui che accetta il divenire, che accetta la vita e tutto ciò che la vita da. Sta qui la differenza fra Nietzsche  e Schopenhauer.

Nietzsche  e Schopenhauer

Nietzsche all’inizio fu un entusiasta del mondo come “volontà e rappresentazione” prospettato da Schopenhauer. La filosofia di Schopenhauer, come abbiamo visto , contiene nella sua opera giovanile, gran parte del suo pensiero, espresso in “ Il mondo come volontà e rappresentazione” , Schopenhauer sostiene che il mondo è fondamentalmente ciò che ciascun uomo vede ("relativismo") tramite la sua volontà, nella quale consiste il principio assoluto della realtà, nascosto alla ragione. La sua analisi pessimistica lo porta alla conclusione che i desideri emotivi, fisici e sessuali, che presto perdono ogni piacere dopo essere stati assecondati, ed infine divengono insufficienti per una piena felicità, non potranno mai essere pienamente soddisfatti e quindi andrebbero limitati, se si vuole vivere sereni. La condizione umana è completamente insoddisfacente, in ultima analisi, e quindi estremamente dolorosa.
Di conseguenza, egli ritiene che uno stile di vita che voglia negare i desideri, e che sia del tutto  simile agli insegnamenti ascetici dei Vedanta e delle Upanishad dell'induismo, del Buddhismo delle origini, e dei Padri della Chiesa del primo Cristianesimo, nonché una morale della compassione, è quindi l'unico vero modo, anche se difficile per lo stesso filosofo, per raggiungere la liberazione definitiva, in questa vita o nelle successive. Sull'esistenza di Dio, Schopenhauer è invece ateo, almeno per quanto riguarda la concezione occidentale moderna. Schopenhauer non si contrappone all’idea che Dio è morto, è d’accordo con il concetto che la vita è volontà senza senso, che tutto ciò che è reale è razionale, l’essenza del mondo è una volontà di vita che procede inesorabilmente, senza senso, senza scopo, senza direzione, una volontà cieca e irrazionale.

Il giovane Nietzsche  quando legge  Schopenhauer ne è entusiasta, ma poi rimane deluso dal constatare che Schopenhauer proponeva poi una cura: l’arte, la pietà, ma soprattutto l’ascesi. In questo “farmaco” per affrontare la vita, Nietzsche ci vede un modo per tagliare i ponti con la vera vita. Schopenhauer che concorda con l’idea che la vita è senza meta e senza senso, poi di fatto propone un rimedio che dice no alla vita. 
Dalla “voluntas” alla “noluntas”. In particolare l’ascesi proposta è un vero e proprio distaccarsi dalla vita.
Nietzsche  dice no a questo rimedio, la vita va accolta, non ci sono cure, altrimenti gli diamo la cicuta di Socrate o la cicuta dell’ascesi di Schopenhauer o la cicuta del regno dei celi dei cristiani o del mondo delle idee di Platone: basta insegnarci a morire, vogliamo vivere. Basta con la filosofia che pretende di darci la cura per la vita. Cura che in realtà non è tale perché ci fa morire. Basta con il marxismo che ci fa morire con il concetto che l’individuo umano deve sacrificarsi per la collettività e che è un essere genericamente determinato e quindi immortale. Basta con il positivismo che ci pone come meta il progresso scientifico, ma per arrivare a cosa?
Nietzsche lancia un appello “vi scongiuro, rimanete fedeli alla terra”, cioè diamo un si incondizionato alla vita, con tutto quello che essa comporta, una vita che tornerà un numero innumerevole di volte.

La visione e l’enigma


Il brano di Così parlò Zarathustra che per primo annuncia l’eterno ritorno è La visione e l’enigma. La dottrina dell’eterno ritorno viene qui esposta mediante una “visione” enigmatica, essa è «la visione del più solitario tra gli uomini (lo stesso Nietzsche)». L’eterno ritorno richiede una solitudine assoluta, e questo perché necessita di una trasformazione nell’intimo dell’uomo. La visione descrive Zarathustra che si inoltra in un sentiero desolante ed in salita: «Un sentiero, in salita dispettosa tra sfasciume di pietre: un sentiero di montagna digrignava sotto il dispetto del mio piede (simbolo del faticoso innalzarsi del pensiero. Il cammino di Zarathustra è in salita ed il suo incedere è reso faticoso da una presenza: lo spirito di gravità. Questo spirito è rappresentato da un nano a lui aggrappato che vuole vanificare ogni superamento, ogni anelare dell’uomo a qualcosa di superiore.
Zarathustra però non si arrende, il suo spirito è pieno di coraggio: «Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte son io –: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo– tu non potresti sopportarlo!». Solo quindi questo «pensiero abissale» può sconfiggere lo spirito di gravità. Ed infatti pronunziate queste parole: «avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia». Da qui prende inizio la descrizione del punto nevralgico della visione dell’eterno ritorno. Seguiamo punto per punto i passi di questa visione: «Garda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine». La porta carraia, per sua natura, è un punto di sutura, unisce due vie. Le due vie simbolizzano le due estasi del tempo, il passato e il futuro; entrambe infinite, e quindi impercorribili fino in fondo, l’una si contrappone all’altra: «Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta “attimo”». Il tempo, se visto come un flusso continuo, si presenta come una linea continua ed infinita; se visto invece a partire dall’“attimo”, le due infinità del tempo sono tra loro sia convergenti sia divergenti. L’attimo cioè è il punto a partire dal quale le due infinità si approssimano, ma anche si allontanano. L’attimo crea quindi una estrema tensione tra le due infinità; «ma chi ne percorresse uno dei due – sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?». Il punto essenziale è quindi capire se questa tensione nell’eternità del tempo venga risolta, oppure no.

Bisogna subito ribadire che l’eterno ritorno non è la semplice affermazione che il tempo è in verità circolare. Infatti, il nano semplifica la descrizione di Zarathustra: «Tutte le cose dritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è circolo. Le cose diritte sono una parvenza. In verità il loro scorrere è un circolo, cioè la verità stessa – l’ente, così come esso in verità scorre – è ricurvo. Il ruotare-in-circolo-su-se-stesso del tempo e quindi il continuo ritornare dell’uguale, di tutti gli enti, nel tempo, è il modo in cui l’ente nel suo insieme è. Esso è il modo dell’eterno ritorno. Così il nano è giunto a indovinare l’enigma».
Ma Zarathustra rimprovera il nano, accusandolo di prendere questo enigma troppo alla leggera: «Tu, spirito di gravità! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato – e sono io che ti ho portato in alto!». La questione dell’eterno ritorno posta come semplice circolarità del tempo, è per Zarathustra estremamente semplificante, non coglie, cioè, il punto essenziale di questa dottrina. Vediamo come invece Zarathustra pone l’essenza dell’eterno ritorno: «Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un’eternità.

Lo scenario precedente svanisce; d’un tratto Zarathustra si trova «in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna». E nelle prossimità di un cane che ululava, vide una scena agghiacciante: «Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca». Cosa simbolizza il giovane pastore e il serpente? Il giovane pastore è Zarathustra stesso, mentre il serpente simbolizza la circolarità dell’eterno ritorno. Ma allora perché Zarathustra è drammaticamente aggiogato dal pensiero che più di tutti dovrebbe invece affrancarlo?
In effetti, l’eterno ritorno ha due differenti letture, l’una delle quali atterrisce Zarathustra. Se infatti l’eterno ritorno mostra che tutti gli accadimenti dovranno in eterno ripetersi, allora la volontà che crea, in verità, non crea nulla di nuovo, perché appunto ciò che di nuovo crea è già stato creato, e non una volta, ma infinite volte. Da questo punto di vista l’eterno ritorno porta all’estremo la sofferenza della verità metafisica; in quanto appunto, come la verità trascendente, l’eterno ritorno, aggioga l’uomo ad una legge eterna.
Ma esiste anche un’altra lettura dell’eterno ritorno, quella per cui ogni nostro decidere, ogni nostra scelta, è una novità assoluta che si eternizza; nel senso che ogni nostro superamento non si esaurisce nel tempo della vita attuale, come vorrebbe lo spirito di gravità, ma eternamente ritorna. Eterno è ogni nostro attimo, e quindi eterna è ogni nostra opera, ogni nostro creare; non perché già da sempre ritornante, ma perché il nostro creare crea un frammento dell’eternità. Il tutto insomma si gioca su come intendiamo l’“attimo”, se l’interpretiamo mediante il primo senso negativo dell’eterno ritorno, allora l’attimo non è altro che il ripetersi eternamente di qualcosa di già deciso, e di cui la nostra volontà non può far nulla; se invece interpretiamo l’attimo mediante il secondo senso positivo dell’eterno ritorno, allora esso è veramente un atto creativo “nuovo” che ritornerà in eterno, o anche qualcosa che io già da sempre ho creato e per sempre ritornerà.
Ed infatti, nella visione Zarathustra prova all’inizio a strappare il serpente dalle fauci del giovane pastore, ma non riuscendoci, grida «Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!». Il morso non è altro che l’attimo deciso dall’uomo che si eternizza per sempre. Infatti, il pastore che mordendo stacca la testa del serpente si trasforma: «Non più pastore, non più uomo, – un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!». È il riso del fanciullo eracliteo che in un attimo crea una nuova eterna configurazione del mondo. È l’oltre-uomo.

Dunque abbiamo visto chi è questo “superuomo” di Nietzsche che abbiamo ribattezzato “oltre-uomo”. È un uomo che sopravvive all’idea della morte di Dio, fa sua l’idea abissale dell’eterno ritorno. Ma c’è dell’altro è anche l’uomo che attua la transvalutazione di tutti i valori.

La transvalutazione di tutti i valori.

 Se cioè tutte quello che è stato pensato fino ad ora è falso, se tutto quello che è stato creduto è addirittura deleterio, anzi velenoso perché non cura l’uomo ma lo uccide, è chiaro allora che tutti i valori etici e morali, tutto ciò a cui è stato attribuito valore, in realtà è un disvalore. Bisogna allora attuare una transvalutazione di valori, cioè trasformare la valutazione che diamo dei valori. L’oltre-uomo è colui che vede e valuta la vita in un altro modo, colui che abbraccia i valori vitali e non quelli disumani. Nella sua opera “la genealogia della morale” ricerca l’origine dei valori e afferma che nell’antica Grecia c’era un equilibrio fra la casta dei guerrieri che detenevano il potere con il coraggio e la forza e quella dei Sacerdoti che portavano i valori morali e spirituali. Ad un certo punto però prevalse la casta dei sacerdoti, come avvenne con gli ebrei e poi con i cristiani, e furono poi questi a definire quali fossero i veri valori da seguire. Nasce così la morale occidentale a seguito di una sorta di rivalsa dei sacerdoti (fisicamente più deboli e meno eroici)  sui guerrieri più legati alle vere forze vitali dell’uomo.
I sacerdoti sono così riusciti a far prevalere quei valori che sono di fatto contro la vita, contro la forza e contro il corpo.
“Sono stati gli ebrei ad aver osato con una terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell’odio più abissale, l’odio dell’impotenza, il rovesciamento della aristocratica equazione di valore: buono, nobile, potente, bello, felice, caro agli dei. Definendo invece come buoni soltanto i miserabili, i poveri, gli impotenti, gli umili, i sofferenti, gli indigenti, i sofferenti, i deformi e quelli che di fatto sono gli unici devoti. Sono stati cioè valorizzati solo i valori antivitali. Sono stati posti come esempio da imitare le categorie più deboli. Per Nietzsche l’oltre-uomo è un aristocratico, appartenente ad una casta limitata dei veri forti, di coloro che amano la vita, la purezza della vita, contro tutti coloro che invece esaltano la non vita. L’oltre-uomo non è una proposta per tutta l’umanità, ma per una casta aristocratica illuminata.
Il cristianesimo non ha fatto altro che questi disvalori ebraici diventassero patrimonio dell’umanità. Il cristianesimo ha sconfitto la grande Roma, simbolo della potenza, dell’eroismo, della forza. Quando la gente comincia ad esaltare valori antivitali gli uomini forti e coraggiosi crollano. Già la parola cristianesimo è per Nietzsche un equivoco. È esistito un solo cristiano e questi è morto crocifisso.
Nietzsche infatti ha simpatia per Cristo, ma odia i cristiani perché mentre Cristo ha detto il suo si alla vita accettando la morte e la morte di croce, i cristiani cercando di imitarlo dicono no alla vita. Non esiste la verità, esiste la prospettiva che ognuno dà alla propria vita.

La volontà di potenza

Abbiamo visto che l’“oltre-uomo” di Nietzsche è un uomo che sopravvive all’idea della morte di Dio, fa sua l’idea abissale dell’eterno ritorno, attua la transvalutazione di tutti i valori, ma è anche ricolmo di volontà di potenza, cioè di vita. È quella che Arthur Schopenhauer chiamava la volontà di vivere, la potenza della vita. È l’idea che la vita va colta in tutto quello che essa ci da. La volontà di potenza è la capacità dell’uomo di dare lui il senso unico e irripetibile alla sua vita. Nietzsche dice non esistono sensi metafisici, non esistono nemmeno sensi immanenti. Non è che l’essere ha una verità dentro di se che io scopro. C’è solo il senso che io do alla mia vita. La mia prospettiva di vita è mia e solo mia, cioè non può diventare valida per tutti. L’imitazione di Cristo a cui sono chiamati i cristiani è da combattere perché pretende di rendere assoluta una verità che è del singolo, nel caso solo di Gesù Cristo e non estendibile a tutti gli altri.
Nietzsche se la prende anche con il positivismo. Non esistono i fatti, ma la personale interpretazione dei fatti di ciascuno.

La volontà di potenza e di dominio spiegata da Nicola Abbagnano ( 1901–1990 - filosofo e storico ateo della filosofia italiano)
La volontà di potenza di cui parla Nietzsche non ha solo le valenze teoriche già descritte, ma ne contiene anche altre ben più crude e storicamente funeste come la sopraffazione e il dominio. La vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, bisogna sopraffare il debole perché è una minaccia per la vita. La lotta per l’uguaglianza dei diritti è già un sintomo di malattia, perché salvare il sano e insieme all’ammalto è una contaminazione della razza pura. Di fronte a testi inequivocabili di questo tipo che avevano già impressionato Lucas e che nessun successivo esorcismo interpretativo è riuscito a minimizzare o a edulcorare, non si può fare a meno di riconoscere che nella visione di Nietzsche della volontà di potenza albergano aspetti antidemocratici e antiegualitari che fanno parte della componente reazionaria del suo pensiero”.
La filosofia di Nietzsche è una filosofia per spiriti forti che si richiama a Eraclìto, aristocratico per eccellenza, con i suoi “svegli” e i suoi “dormienti” e che è stata poi pienamente abbracciata dal Nazismo.

Vita di Nietzsche

Friedrich Wilhelm Nietzsche ( Röcken 1844  Weimar 1900 ) è stato un filosofo, poeta, compositore e filologo tedesco, tra i massimi filosofi e prosatori di ogni tempo, Nietzsche ebbe un'influenza controversa, ma indiscutibile, sul pensiero filosofico, letterario, politico e scientifico del Novecento. La sua filosofia, appartenente al filone delle filosofie della vita, è considerata da alcuni uno spartiacque fra la filosofia tradizionale e un nuovo modello di riflessione, informale e provocatorio. In ogni caso, si tratta di un pensatore unico nel suo genere, sì da giustificare l'enorme influenza da lui esercitata sul pensiero posteriore.
Nietzsche scrisse vari saggi e opere aforistiche sulla morale, la religione (in particolare quella cristiana), la società moderna, la scienza, intrise di una profonda lucidità ed avversione alla metafisica, seppure spesso il filosofo venga accomunato anche all'irrazionalismo, di una forte carica critica, sempre sul filo dell'ironia e della parodia, portando anche l'occidente a conoscenza di parte delle filosofie orientali. Nella sua filosofia si distingue una fase wagneriana, che comprende La Nascita della Tragedia e le Considerazioni inattuali, in cui il filosofo combatte a fianco di Wagner per una riforma mitica della cultura tedesca.
Questa fase sarà poi abbandonata e rinnegata con la pubblicazione di Umano, troppo umano - nella stagione cosiddetta "illuministica" del suo pensiero -, per culminare infine, pochi anni prima del crollo nervoso - probabile conseguenza di una patologia neurologica ereditaria - che metterà fine alla sua attività, nella fase più prominente del suo pensiero (quella della trasvalutazione dei valori e del nichilismo attivo, costellata dai concetti di Oltreuomo, eterno ritorno e volontà di potenza) che ha il suo apice ed inizio con la pubblicazione del celeberrimo Così parlò Zarathustra.

Commento di don Claudio Crescimanno


Dunque la realtà non ha senso, la vita e la morte non hanno spiegazione e non hanno senso, non si può cercare destinazione né al pensiero né all’azione, cioè non c’è un punto di arrivo nel mio pensare e nel mio agire. Questo non senso non può essere attenuato, e tanto meno risolto, dall’idea che esista qualche cosa fuori di me che possa dare quel senso, quel significato, quello scopo che io non gli posso dare.
Nietzsche infatti non dice tanto che Dio non c’è, ma fa molto di più, si batte per togliere agli uomini l’illusione che ci sia un Dio o una divinità o un suo surrogato o una sua idea o un suo luogotenente o altro a cui aggrapparsi per un ingiustificabile bisogno di senso.
Non è un caso che l’originatore di tutto questo sia Zaratustra, questo fantomatico personaggio dell’antichità (circa 3.000 anni prima), dai contorni sfumati e fondatore di una religione che ha queste caratteristiche, e quindi scelto da Nietzsche proprio per questo. Ed è curioso che per far nascere un uomo nuovo utilizzi un “profeta” così antico.
Lo Zoroastrismo ha queste caratteristiche:
1.     è una religione senza Dio, non è una religione teologica, cioè non si pone domande su Dio, è una religione antropologica, è un via per l’uomo, non un via per l’uomo verso Dio.
2.     è un satellite del grande sistema manicheo, in cui il bene e il male sono sullo stesso piano e hanno una funzione reciproca. È di fatto la visione dell’equilibrio fra l’Apollineo e il Dionisiaco, tra la ragione e l’istinto, tra il bene e il male, tra la luce è l’oscurità. Due Spiriti primi sono il Bene e il Male, la Verità e la Menzogna: ai seguaci del primo toccherà in sorte la Vita e la Migliore Esistenza mentre i seguaci del secondo otterranno la Non-Vita e la Peggiore Esistenza.
3.     è la religione della forza. In esso la casta dei sacerdoti è la casta dei guerrieri. La casta che custodisce i segreti misterici ed esoterici della religione e della vita è una casta di sacerdoti guerrieri o di guerrieri sacerdoti.
Quindi possiamo dire che lo Zoroastrismo si prestava “ad hoc” allo scopo di Nietzsche e alla dimostrazione della sua tesi.
Ci stiamo avvicinando alla fine di un percorso che ci vede nel secolo XIX° alla morte di Nietzsche e alla vigilia della realizzazione sperimentale delle due grandi correnti: la sinistra hegeliana con Marx e la destra razzista di Nietzsche accomunate, anche se nemiche, dal rifiuto di Dio e dall’uso della forza delle idee e delle armi.
Siamo cioè alla vigilia della realizzazione pratica di queste due correnti di pensiero. Abbiamo già evidenziato che i filosofi non sono dei teorici astratti che lasciano il tempo che trovano, ma influenzano gli uomini, le loro passioni, le loro strutture e istituzioni e le loro azioni.
La famosa frase “La filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale il mondo rimane tale e quale” che ricorre quasi sempre quando si inizia a studiare filosofia a scuola vorrebbe essere un invito per i “dormienti” a lasciarla perdere per dare agli “svegli” la possibilità di dominarli [Ndr].
Da questi due pensatori, Marx e Nietzsche, sono venuti i due grandi sistemi che hanno imperversato e ancora imperversano anche con nuove forme di violenza i nostri giorni.
Il XX° secolo è dal punto di vista politico e culturale e per il suo esagerato contributo di sangue, la realizzazione di queste due ideologie (Marxismo e Nazionalsocialismo) che non possiamo non chiamare demoniache perché utilizzate a piene mani dal seduttore di sempre che cerca di realizzare l’inferno già su questa terra [Ndr].
Il pensiero di Nietzsche comunque è un pensiero poderoso, è la prima grande novità dopo tanta rimasticatura dell’idea illuministica e idealista che ha imperversato per due secoli. Dal punto di vista storico però prende un abbaglio impressionante.
Di fatto anche Nietzsche fonda una sua religione, critica gli altri perché si creano un dio con la D minuscola che sostituisce la Classe, la Scienza, la Ragione, ecc. ma di fatto lo fa anche lui, perché se non fosse che deve sostenere una tesi ed avere una visione ideologica della realtà, non potrebbe non rendersi conto dell’abbaglio storico che ha preso. Nietzsche infatti sostiene che la religione biblica ebraico cristiana, cioè il sistema di idee più importante e influente in tutto l’occidente, a da qui in tutto il mondo, è stato un fattore paralizzante della vita.
Storicamente invece la religione biblica ebraico cristiana ha cosparso l’Europa e per contagio il resto del mondo, di terreni bonificati (e relative tecniche), di libri e culture salvati, di macchinari e tecniche cha hanno dato sviluppi interessanti all’agricoltura, all’artigianato e alle industrie, di Scuole, di Università e di Ospedali. Mentre la sua visione e quella del suo amico Marx hanno riempito l’Europa di Gulag, di campi di concentramento, di processi sommari, di olocausti, di purghe, di deportazioni, di pulizie etniche, di devastazioni culturali, economiche, politiche, religiose, ecc.
Quale visione è veramente contro la vita?

La gaia scienza, Libro IV, n. 341 (estratto)

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?"
Friedrich Nietzsche ricupera qui la visione ciclica del tempo (il circolo di Plotino) per combattere la visione lineare del tempo del cristianesimo che aveva conquistato tutto l’occidente. Lo stesso illuminismo, il marxismo, il positivismo, ecc. avevano utilizzato lo stesso concetto di linearità del tempo e della storia, una linea retta che va verso una direzione ben precisa e definita. Creazione del mondo e dell’uomo, peccato originale, castigo di Adamo ed Eva, venuta di Gesù Cristo, sua passione e morte e quindi resurrezione, salita al celo, nascita della Chiesa e attesa del suo ritorno sulla terra e quindi Apocalisse (disvelamento finale). Gli stessi negatori del cristianesimo, mai avevano combattuto questo concetto di linearità, anzi lo avevano adottato in pieno. Cioè tutti avevano adottato il criterio di un percorso che si svolge nel tempo per raggiungere una meta. La vita è come una corsa verso una meta, ogni ideologia ha la sua: l’Apocalisse per i cristiani, il sol dell’avvenire per il marxismo, o la scienza che risolve tutto, o la libertà piena, ecc. Nietzsche invece scardina completamente l’idea di tempo, la storia (non) va verso nessuna direzione, non va da nessuna parte, non va verso nessuna meta. La visione ciclica serve a Nietzsche per dire che solo in una visione ciclica del tempo ci fa dire si alla vita. Ci vuole un uomo nuovo per accettare l’idea che tutto ritorna. Solo così l’uomo ama la vita, non una sola volta, ma infinite volte, nel dolore e nel piacere. L’oltre-uomo è colui che accetta tutto quello che la vita dà (il bello e il brutto, la gioia e la sofferenza, il benessere e il malessere). Il nuovo uomo è quello che ce la fa a dire si alla vita e a tutto ciò che in essa accade, a volere la vita fino in fondo e per sempre e in tutte le sue manifestazioni. L’oltre uomo è colui che accetta il divenire, che accetta la vita e tutto ciò che la vita da. Sta qui la differenza fra Nietzsche  e Schopenhauer.

Nietzsche  e Schopenhauer

Nietzsche all’inizio fu un entusiasta del mondo come “volontà e rappresentazione” prospettato da Schopenhauer. La filosofia di Schopenhauer, come abbiamo visto , contiene nella sua opera giovanile, gran parte del suo pensiero, espresso in “ Il mondo come volontà e rappresentazione” , Schopenhauer sostiene che il mondo è fondamentalmente ciò che ciascun uomo vede ("relativismo") tramite la sua volontà, nella quale consiste il principio assoluto della realtà, nascosto alla ragione. La sua analisi pessimistica lo porta alla conclusione che i desideri emotivi, fisici e sessuali, che presto perdono ogni piacere dopo essere stati assecondati, ed infine divengono insufficienti per una piena felicità, non potranno mai essere pienamente soddisfatti e quindi andrebbero limitati, se si vuole vivere sereni. La condizione umana è completamente insoddisfacente, in ultima analisi, e quindi estremamente dolorosa.
Di conseguenza, egli ritiene che uno stile di vita che voglia negare i desideri, e che sia del tutto  simile agli insegnamenti ascetici dei Vedanta e delle Upanishad dell'induismo, del Buddhismo delle origini, e dei Padri della Chiesa del primo Cristianesimo, nonché una morale della compassione, è quindi l'unico vero modo, anche se difficile per lo stesso filosofo, per raggiungere la liberazione definitiva, in questa vita o nelle successive. Sull'esistenza di Dio, Schopenhauer è invece ateo, almeno per quanto riguarda la concezione occidentale moderna. Schopenhauer non si contrappone all’idea che Dio è morto, è d’accordo con il concetto che la vita è volontà senza senso, che tutto ciò che è reale è razionale, l’essenza del mondo è una volontà di vita che procede inesorabilmente, senza senso, senza scopo, senza direzione, una volontà cieca e irrazionale.


Schopenhauer
Il giovane Nietzsche  quando legge  Schopenhauer ne è entusiasta, ma poi rimane deluso dal constatare che Schopenhauer proponeva poi una cura: l’arte, la pietà, ma soprattutto l’ascesi. In questo “farmaco” per affrontare la vita, Nietzsche ci vede un modo per tagliare i ponti con la vera vita. Schopenhauer che concorda con l’idea che la vita è senza meta e senza senso, poi di fatto propone un rimedio che dice no alla vita. Dalla “voluntas” alla “noluntas”. In particolare l’ascesi proposta è un vero e proprio distaccarsi dalla vita.
Nietzsche  dice no a questo rimedio, la vita va accolta, non ci sono cure, altrimenti gli diamo la cicuta di Socrate o la cicuta dell’ascesi di Schopenhauer o la cicuta del regno dei celi dei cristiani o del mondo delle idee di Platone: basta insegnarci a morire, vogliamo vivere. Basta con la filosofia che pretende di darci la cura per la vita. Cura che in realtà non è tale perché ci fa morire. Basta con il marxismo che ci fa morire con il concetto che l’individuo umano deve sacrificarsi per la collettività e che è un essere genericamente determinato e quindi immortale. Basta con il positivismo che ci pone come meta il progresso scientifico, ma per arrivare a cosa?
Nietzsche lancia un appello “vi scongiuro, rimanete fedeli alla terra”, cioè diamo un si incondizionato alla vita, con tutto quello che essa comporta, una vita che tornerà un numero innumerevole di volte.

La visione e l’enigma


Il brano di Così parlò Zarathustra che per primo annuncia l’eterno ritorno è La visione e l’enigma. La dottrina dell’eterno ritorno viene qui esposta mediante una “visione” enigmatica, essa è «la visione del più solitario tra gli uomini (lo stesso Nietzsche)». L’eterno ritorno richiede una solitudine assoluta, e questo perché necessita di una trasformazione nell’intimo dell’uomo. La visione descrive Zarathustra che si inoltra in un sentiero desolante ed in salita: «Un sentiero, in salita dispettosa tra sfasciume di pietre: un sentiero di montagna digrignava sotto il dispetto del mio piede (simbolo del faticoso innalzarsi del pensiero. Il cammino di Zarathustra è in salita ed il suo incedere è reso faticoso da una presenza: lo spirito di gravità. Questo spirito è rappresentato da un nano a lui aggrappato che vuole vanificare ogni superamento, ogni anelare dell’uomo a qualcosa di superiore.
Zarathustra però non si arrende, il suo spirito è pieno di coraggio: «Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte son io –: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo– tu non potresti sopportarlo!». Solo quindi questo «pensiero abissale» può sconfiggere lo spirito di gravità. Ed infatti pronunziate queste parole: «avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia». Da qui prende inizio la descrizione del punto nevralgico della visione dell’eterno ritorno. Seguiamo punto per punto i passi di questa visione: «Garda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine». La porta carraia, per sua natura, è un punto di sutura, unisce due vie. Le due vie simbolizzano le due estasi del tempo, il passato e il futuro; entrambe infinite, e quindi impercorribili fino in fondo, l’una si contrappone all’altra: «Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta “attimo”». Il tempo, se visto come un flusso continuo, si presenta come una linea continua ed infinita; se visto invece a partire dall’“attimo”, le due infinità del tempo sono tra loro sia convergenti sia divergenti. L’attimo cioè è il punto a partire dal quale le due infinità si approssimano, ma anche si allontanano. L’attimo crea quindi una estrema tensione tra le due infinità; «ma chi ne percorresse uno dei due – sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?». Il punto essenziale è quindi capire se questa tensione nell’eternità del tempo venga risolta, oppure no.

Bisogna subito ribadire che l’eterno ritorno non è la semplice affermazione che il tempo è in verità circolare. Infatti, il nano semplifica la descrizione di Zarathustra: «Tutte le cose dritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è circolo. Le cose diritte sono una parvenza. In verità il loro scorrere è un circolo, cioè la verità stessa – l’ente, così come esso in verità scorre – è ricurvo. Il ruotare-in-circolo-su-se-stesso del tempo e quindi il continuo ritornare dell’uguale, di tutti gli enti, nel tempo, è il modo in cui l’ente nel suo insieme è. Esso è il modo dell’eterno ritorno. Così il nano è giunto a indovinare l’enigma».
Ma Zarathustra rimprovera il nano, accusandolo di prendere questo enigma troppo alla leggera: «Tu, spirito di gravità! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato – e sono io che ti ho portato in alto!». La questione dell’eterno ritorno posta come semplice circolarità del tempo, è per Zarathustra estremamente semplificante, non coglie, cioè, il punto essenziale di questa dottrina. Vediamo come invece Zarathustra pone l’essenza dell’eterno ritorno: «Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un’eternità.

Lo scenario precedente svanisce; d’un tratto Zarathustra si trova «in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna». E nelle prossimità di un cane che ululava, vide una scena agghiacciante: «Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca». Cosa simbolizza il giovane pastore e il serpente? Il giovane pastore è Zarathustra stesso, mentre il serpente simbolizza la circolarità dell’eterno ritorno. Ma allora perché Zarathustra è drammaticamente aggiogato dal pensiero che più di tutti dovrebbe invece affrancarlo?
In effetti, l’eterno ritorno ha due differenti letture, l’una delle quali atterrisce Zarathustra. Se infatti l’eterno ritorno mostra che tutti gli accadimenti dovranno in eterno ripetersi, allora la volontà che crea, in verità, non crea nulla di nuovo, perché appunto ciò che di nuovo crea è già stato creato, e non una volta, ma infinite volte. Da questo punto di vista l’eterno ritorno porta all’estremo la sofferenza della verità metafisica; in quanto appunto, come la verità trascendente, l’eterno ritorno, aggioga l’uomo ad una legge eterna.
Ma esiste anche un’altra lettura dell’eterno ritorno, quella per cui ogni nostro decidere, ogni nostra scelta, è una novità assoluta che si eternizza; nel senso che ogni nostro superamento non si esaurisce nel tempo della vita attuale, come vorrebbe lo spirito di gravità, ma eternamente ritorna. Eterno è ogni nostro attimo, e quindi eterna è ogni nostra opera, ogni nostro creare; non perché già da sempre ritornante, ma perché il nostro creare crea un frammento dell’eternità. Il tutto insomma si gioca su come intendiamo l’“attimo”, se l’interpretiamo mediante il primo senso negativo dell’eterno ritorno, allora l’attimo non è altro che il ripetersi eternamente di qualcosa di già deciso, e di cui la nostra volontà non può far nulla; se invece interpretiamo l’attimo mediante il secondo senso positivo dell’eterno ritorno, allora esso è veramente un atto creativo “nuovo” che ritornerà in eterno, o anche qualcosa che io già da sempre ho creato e per sempre ritornerà.
Ed infatti, nella visione Zarathustra prova all’inizio a strappare il serpente dalle fauci del giovane pastore, ma non riuscendoci, grida «Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!». Il morso non è altro che l’attimo deciso dall’uomo che si eternizza per sempre. Infatti, il pastore che mordendo stacca la testa del serpente si trasforma: «Non più pastore, non più uomo, – un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!». È il riso del fanciullo eracliteo che in un attimo crea una nuova eterna configurazione del mondo. È l’oltre-uomo.

Dunque abbiamo visto chi è questo “superuomo” di Nietzsche che abbiamo ribattezzato “oltre-uomo”. È un uomo che sopravvive all’idea della morte di Dio, fa sua l’idea abissale dell’eterno ritorno. Ma c’è dell’altro è anche l’uomo che attua la transvalutazione di tutti i valori.

La transvalutazione di tutti i valori.


Se cioè tutte quello che è stato pensato fino ad ora è falso, se tutto quello che è stato creduto è addirittura deleterio, anzi velenoso perché non cura l’uomo ma lo uccide, è chiaro allora che tutti i valori etici e morali, tutto ciò a cui è stato attribuito valore, in realtà è un disvalore. Bisogna allora attuare una transvalutazione di valori, cioè trasformare la valutazione che diamo dei valori. L’oltre-uomo è colui che vede e valuta la vita in un altro modo, colui che abbraccia i valori vitali e non quelli disumani. Nella sua opera “la genealogia della morale” ricerca l’origine dei valori e afferma che nell’antica Grecia c’era un equilibrio fra la casta dei guerrieri che detenevano il potere con il coraggio e la forza e quella dei Sacerdoti che portavano i valori morali e spirituali. Ad un certo punto però prevalse la casta dei sacerdoti, come avvenne con gli ebrei e poi con i cristiani, e furono poi questi a definire quali fossero i veri valori da seguire. Nasce così la morale occidentale a seguito di una sorta di rivalsa dei sacerdoti (fisicamente più deboli e meno eroici)  sui guerrieri più legati alle vere forze vitali dell’uomo.



I sacerdoti sono così riusciti a far prevalere quei valori che sono di fatto contro la vita, contro la forza e contro il corpo.
“Sono stati gli ebrei ad aver osato con una terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell’odio più abissale, l’odio dell’impotenza, il rovesciamento della aristocratica equazione di valore: buono, nobile, potente, bello, felice, caro agli dei. Definendo invece come buoni soltanto i miserabili, i poveri, gli impotenti, gli umili, i sofferenti, gli indigenti, i sofferenti, i deformi e quelli che di fatto sono gli unici devoti. Sono stati cioè valorizzati solo i valori antivitali. Sono stati posti come esempio da imitare le categorie più deboli. Per Nietzsche l’oltre-uomo è un aristocratico, appartenente ad una casta limitata dei veri forti, di coloro che amano la vita, la purezza della vita, contro tutti coloro che invece esaltano la non vita. L’oltre-uomo non è una proposta per tutta l’umanità, ma per una casta aristocratica illuminata.
Il cristianesimo non ha fatto altro che questi disvalori ebraici diventassero patrimonio dell’umanità. Il cristianesimo ha sconfitto la grande Roma, simbolo della potenza, dell’eroismo, della forza. Quando la gente comincia ad esaltare valori antivitali gli uomini forti e coraggiosi crollano. Già la parola cristianesimo è per Nietzsche un equivoco. È esistito un solo cristiano e questi è morto crocifisso.
Nietzsche infatti ha simpatia per Cristo, ma odia i cristiani perché mentre Cristo ha detto il suo si alla vita accettando la morte e la morte di croce, i cristiani cercando di imitarlo dicono no alla vita. Non esiste la verità, esiste la prospettiva che ognuno dà alla propria vita.

La volontà di potenza


Abbiamo visto che l’“oltre-uomo” di Nietzsche è un uomo che sopravvive all’idea della morte di Dio, fa sua l’idea abissale dell’eterno ritorno, attua la transvalutazione di tutti i valori, ma è anche ricolmo di volontà di potenza, cioè di vita. È quella che Arthur Schopenhauer chiamava la volontà di vivere, la potenza della vita. È l’idea che la vita va colta in tutto quello che essa ci da. La volontà di potenza è la capacità dell’uomo di dare lui il senso unico e irripetibile alla sua vita. Nietzsche dice non esistono sensi metafisici, non esistono nemmeno sensi immanenti. Non è che l’essere ha una verità dentro di se che io scopro. C’è solo il senso che io do alla mia vita. La mia prospettiva di vita è mia e solo mia, cioè non può diventare valida per tutti. L’imitazione di Cristo a cui sono chiamati i cristiani è da combattere perché pretende di rendere assoluta una verità che è del singolo, nel caso solo di Gesù Cristo e non estendibile a tutti gli altri.
Nietzsche se la prende anche con il positivismo. Non esistono i fatti, ma la personale interpretazione dei fatti di ciascuno.
La volontà di potenza e di dominio spiegata da Nicola Abbagnano ( 1901–1990 - filosofo e storico ateo della filosofia italiano)
La volontà di potenza di cui parla Nietzsche non ha solo le valenze teoriche già descritte, ma ne contiene anche altre ben più crude e storicamente funeste come la sopraffazione e il dominio. La vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, bisogna sopraffare il debole perché è una minaccia per la vita. La lotta per l’uguaglianza dei diritti è già un sintomo di malattia, perché salvare il sano e insieme all’ammalto è una contaminazione della razza pura. Di fronte a testi inequivocabili di questo tipo che avevano già impressionato Lucas e che nessun successivo esorcismo interpretativo è riuscito a minimizzare o a edulcorare, non si può fare a meno di riconoscere che nella visione di Nietzsche della volontà di potenza albergano aspetti antidemocratici e antiegualitari che fanno parte della componente reazionaria del suo pensiero”.
La filosofia di Nietzsche è una filosofia per spiriti forti che si richiama a Eraclìto, aristocratico per eccellenza, con i suoi “svegli” e i suoi “dormienti” e che è stata poi pienamente abbracciata dal Nazismo.
 

Vita di Nietzsche

Friedrich Wilhelm Nietzsche ( Röcken 1844  Weimar 1900 ) è stato un filosofo, poeta, compositore e filologo tedesco, tra i massimi filosofi e prosatori di ogni tempo, Nietzsche ebbe un'influenza controversa, ma indiscutibile, sul pensiero filosofico, letterario, politico e scientifico del Novecento. La sua filosofia, appartenente al filone delle filosofie della vita, è considerata da alcuni uno spartiacque fra la filosofia tradizionale e un nuovo modello di riflessione, informale e provocatorio. In ogni caso, si tratta di un pensatore unico nel suo genere, sì da giustificare l'enorme influenza da lui esercitata sul pensiero posteriore.
Nietzsche scrisse vari saggi e opere aforistiche sulla morale, la religione (in particolare quella cristiana), la società moderna, la scienza, intrise di una profonda lucidità ed avversione alla metafisica, seppure spesso il filosofo venga accomunato anche all'irrazionalismo, di una forte carica critica, sempre sul filo dell'ironia e della parodia, portando anche l'occidente a conoscenza di parte delle filosofie orientali. Nella sua filosofia si distingue una fase wagneriana, che comprende La Nascita della Tragedia e le Considerazioni inattuali, in cui il filosofo combatte a fianco di Wagner per una riforma mitica della cultura tedesca.
Questa fase sarà poi abbandonata e rinnegata con la pubblicazione di Umano, troppo umano - nella stagione cosiddetta "illuministica" del suo pensiero -, per culminare infine, pochi anni prima del crollo nervoso - probabile conseguenza di una patologia neurologica ereditaria - che metterà fine alla sua attività, nella fase più prominente del suo pensiero (quella della trasvalutazione dei valori e del nichilismo attivo, costellata dai concetti di Oltreuomo, eterno ritorno e volontà di potenza) che ha il suo apice ed inizio con la pubblicazione del celeberrimo Così parlò Zarathustra.

Commento di don Claudio Crescimanno


Dunque la realtà non ha senso, la vita e la morte non hanno spiegazione e non hanno senso, non si può cercare destinazione né al pensiero né all’azione, cioè non c’è un punto di arrivo nel mio pensare e nel mio agire. Questo non senso non può essere attenuato, e tanto meno risolto, dall’idea che esista qualche cosa fuori di me che possa dare quel senso, quel significato, quello scopo che io non gli posso dare.
Nietzsche infatti non dice tanto che Dio non c’è, ma fa molto di più, si batte per togliere agli uomini l’illusione che ci sia un Dio o una divinità o un suo surrogato o una sua idea o un suo luogotenente o altro a cui aggrapparsi per un ingiustificabile bisogno di senso.
Non è un caso che l’originatore di tutto questo sia Zaratustra, questo fantomatico personaggio dell’antichità (circa 3.000 anni prima), dai contorni sfumati e fondatore di una religione che ha queste caratteristiche, e quindi scelto da Nietzsche proprio per questo. Ed è curioso che per far nascere un uomo nuovo utilizzi un “profeta” così antico.
Lo Zoroastrismo ha queste caratteristiche:
1.     è una religione senza Dio, non è una religione teologica, cioè non si pone domande su Dio, è una religione antropologica, è un via per l’uomo, non un via per l’uomo verso Dio.
2.     è un satellite del grande sistema manicheo, in cui il bene e il male sono sullo stesso piano e hanno una funzione reciproca. È di fatto la visione dell’equilibrio fra l’Apollineo e il Dionisiaco, tra la ragione e l’istinto, tra il bene e il male, tra la luce è l’oscurità. Due Spiriti primi sono il Bene e il Male, la Verità e la Menzogna: ai seguaci del primo toccherà in sorte la Vita e la Migliore Esistenza mentre i seguaci del secondo otterranno la Non-Vita e la Peggiore Esistenza.
3.     è la religione della forza. In esso la casta dei sacerdoti è la casta dei guerrieri. La casta che custodisce i segreti misterici ed esoterici della religione e della vita è una casta di sacerdoti guerrieri o di guerrieri sacerdoti.
Quindi possiamo dire che lo Zoroastrismo si prestava “ad hoc” allo scopo di Nietzsche e alla dimostrazione della sua tesi.
Ci stiamo avvicinando alla fine di un percorso che ci vede nel secolo XIX° alla morte di Nietzsche e alla vigilia della realizzazione sperimentale delle due grandi correnti: la sinistra hegeliana con Marx e la destra razzista di Nietzsche accomunate, anche se nemiche, dal rifiuto di Dio e dall’uso della forza delle idee e delle armi.
Siamo cioè alla vigilia della realizzazione pratica di queste due correnti di pensiero. Abbiamo già evidenziato che i filosofi non sono dei teorici astratti che lasciano il tempo che trovano, ma influenzano gli uomini, le loro passioni, le loro strutture e istituzioni e le loro azioni.
La famosa frase “La filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale il mondo rimane tale e quale” che ricorre quasi sempre quando si inizia a studiare filosofia a scuola vorrebbe essere un invito per i “dormienti” a lasciarla perdere per dare agli “svegli” la possibilità di dominarli [Ndr].
Da questi due pensatori, Marx e Nietzsche, sono venuti i due grandi sistemi che hanno imperversato e ancora imperversano anche con nuove forme di violenza i nostri giorni.
Il XX° secolo è dal punto di vista politico e culturale e per il suo esagerato contributo di sangue, la realizzazione di queste due ideologie (Marxismo e Nazionalsocialismo) che non possiamo non chiamare demoniache perché utilizzate a piene mani dal seduttore di sempre che cerca di realizzare l’inferno già su questa terra [Ndr].
Il pensiero di Nietzsche comunque è un pensiero poderoso, è la prima grande novità dopo tanta rimasticatura dell’idea illuministica e idealista che ha imperversato per due secoli. Dal punto di vista storico però prende un abbaglio impressionante.
Di fatto anche Nietzsche fonda una sua religione, critica gli altri perché si creano un dio con la D minuscola che sostituisce la Classe, la Scienza, la Ragione, ecc. ma di fatto lo fa anche lui, perché se non fosse che deve sostenere una tesi ed avere una visione ideologica della realtà, non potrebbe non rendersi conto dell’abbaglio storico che ha preso. Nietzsche infatti sostiene che la religione biblica ebraico cristiana, cioè il sistema di idee più importante e influente in tutto l’occidente, a da qui in tutto il mondo, è stato un fattore paralizzante della vita.


Storicamente invece la religione biblica ebraico cristiana ha cosparso l’Europa e per contagio il resto del mondo, di terreni bonificati (e relative tecniche), di libri e culture salvati, di macchinari e tecniche cha hanno dato sviluppi interessanti all’agricoltura, all’artigianato e alle industrie, di Scuole, di Università e di Ospedali. Mentre la sua visione e quella del suo amico Marx hanno riempito l’Europa di Gulag, di campi di concentramento, di processi sommari, di olocausti, di purghe, di deportazioni, di pulizie etniche, di devastazioni culturali, economiche, politiche, religiose, ecc.
Quale visione è veramente contro la vita?



“Quasi Deus non daretur” o “Quasi Deus esset”  J. Ratzinger

Dietrich Bonhoeffer (1906 – 1945, teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo) nelle annotazioni della sua prigionia, ha osservato un giorno che oggi anche il cristiano dovrebbe vivere “quasi Deus non daretur” (come se Dio non esistesse). Egli non dovrebbe coinvolgere Dio nelle faccende della sua vita quotidiana e dovrebbe plasmare la sua vita terrena con totale responsabilità, senza deleghe. Io, invece vorrei dire proprio il contrario: oggi. Anche colui per il quale l’esistenza di Dio e il mondo della fede sono diventati oscuri, dovrebbe vivere praticamente “quasi Deus esset”: vivere cioè come se Dio realmente esistesse.

Vivere sotto la piena sovranità della Verità, la quale non è un nostro prodotto, ma è nostra signora. Vivere sotto il modello della Giustizia, che non è qualcosa che possiamo escogitarci a piacere, ma è un’istanza di cui avvertiamo tutta la forza e che è metro che misura anche noi. Vivere nella responsabilità di fronte all’amore, che ci attende e ci ama in prima persona. Vivere avvertendo la pretesa (e la costante e amorevole presenza) dell’Eterno. Nelle annotazioni della sua prigionia. 

Chi, infatti, è attento all’odierno volgere degli eventi, capisce che questa è l’unica maniera in cui l’uomo può essere salvato. Dio – Lui solo – è la salvezza dell’uomo. Questa incredibile verità che per molto tempo ci è sembrata teorica e irraggiungibile, è diventata la formula più pratica do questa nostra particolare ora storica. E chi, sia pure forse esitante all’inizio, si rimette a questo arduo e pure inevitabile “come se” – vivere come se Dio esistesse – si accorgerà sempre di più che questo “come se” è la vera realtà. La responsabilità che essa sprigiona renderà allora avveduti della sua forza liberante. E si saprà profondamente e indistruttibilmente perché, anche oggi, il cristianesimo sia ancora necessario come il vero e lieto annuncio che salva davvero l’uomo. (tratto da J. Ratzinger “Dogma e predicazone” ed. Queriniana, 1974)

Ratzinger vs Nietzsche e le “minoranze creative”

          
           Friedrich Nietzsche (1844-1900), considerato tra i più originali pensatori occidentali di ogni tempo, continua ancora oggi ad esercitare un'enorme influenza sul pensiero filosofico e non solo. Nietzsche rientra a pieno titolo nell'evoluzione culturale descritta per comprendere quale sia stato il percorso storico di distacco dell’uomo dalla religiosità, anzi probabilmente rappresenta la tappa finale, o se preferiamo, quella in cui il distacco diventa “l’uccisione di Dio”.
           Di quel punto di vista troviamo conferma, ulteriore arricchimento ed evidenze storicamente più attuali in ciò che ha scritto Josef Ratzinger, prima da cardinale e poi da Papa.
           Ratzinger, divenuto pontefice, cita Nietzsche, in riferimento alla sessualità, nell’enciclica Deus caritas est. Infatti dopo un'attenta disamina filologica dei termini che hanno dato origine alla parola amore – eros (amore tra uomo e donna ), agape (amore nel senso più ampio del termine), filia (amore di amicizia) – Benedetto XVI° si esprime così: “Nella critica al cristianesimo che si è sviluppata con crescente radicalità a partire dall’illuminismo, questa novità [la messa in disparte della parola eros, n.d.r.] è stata valutata in modo assolutamente negativo.

Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche avrebbe dato da bere del  veleno all’eros, che pur non morendone ne avrebbe tratto una spinta a degenerare in vizio [cfr. Jenseits von Gut und Böse, IV, 168]. Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa di Divino?”.
           Dopo aver tratteggiato come l’eros sia stato concepito nelle epoche passate – come ebbrezza divina o come culto della fertilità, in una prospettiva principalmente corporea, pur con l’aspettativa di un contatto con il divino della natura – Benedetto XVI°, sempre nella stessa enciclica, ci ricorda come esso possa trovare la sua vera grandezza quando la persona, che in realtà è creatura unitaria, ama con il corpo e, contemporaneamente, anche con l’anima. Non si ha l’“avvelenamento” della sessualità ma la sua apertura verso una forma di amore più grande e completa che può, proprio per questo, aprire l’uomo alla realtà di Dio.
           Qualche anno prima, da cardinale, Ratzinger, affrontando il tema del rapporto dell’uomo contemporaneo con la religiosità aveva scritto: “...la fede cristiana oggi stenta a raggiungere, con il suo grande messaggio, gli uomini in Europa... Vedo due cause principali. La prima è stata introdotta da Nietzsche quando disse: Finché non si percepisce la morale del cristianesimo come crimine capitale contro la vita, i suoi difensori avranno sempre gioco facile ” (1).
           Il Cristianesimo ha dunque per Nietzsche un valore assolutamente negativo. Egli nella morale cristiana (da lui definita "morale dei vinti") vede una sorta di negazione della vita. Quella cristiana è la religione dei deboli, degli schiavi, di coloro che rinunciano a vivere nel senso pieno del termine ed individua nella stessa storia dell'Occidente un lungo processo di decadenza dell'uomo che ha rinunciato alla vera essenza vitale della natura umana; il vero destino dell'uomo è invece l'affermazione della propria libertà (volontà di potenza).
           Ma è davvero così? Una vita all’insegna dei valori cristiani è una vita di pura rinuncia? È una vita in cui non si possono vivere pienamente le potenzialità dell’esistenza? Aderendo al cristianesimo che “sembra limiti l’uomo in tutto, che guasti la sua gioia di vivere, che limiti la sua libertà così preziosa e lo conduca non al largo... ma nell’angustia, nello stretto” (2) non si è più veramente liberi?
           Ratzinger ci sorprende perché non è con argomentazioni teologiche o filosofiche che controbatte le tesi del filosofo, di estrema attualità in quanto costituiscono oggi un orientamento per molti e fanno parte del senso comunemente accettato. Infatti, per ciò che riguarda questa critica più generale al cristianesimo, Nietzsche afferma che esso può ricevere nuova linfa solo se vi saranno uomini e donne che mostrino agli altri con il loro esempio che è possibile una vita “in tutta la sua libertà”, che sperimenta l’amore come apertura alla grandezza della vita.
           È questo il compito delle minoranze creative cioè di quei credenti che in questa contingenza storica accettano la sfida di essere “lievito”, facendo vedere agli altri come si possa vivere dei grandi valori della tradizione cristiana, presentando questo modello di vita in modo convincente e infondendo il coraggio di viverlo.
           Probabilmente la Chiesa ha proposto nel passato modelli di vita che erano più incentrati sul moralismo piuttosto che sull’incontro con Cristo: solo da questo incontro può prendere forma la nuova vita del credente. Il vero cristianesimo, anche se impegnativo, è gioioso perché nella conoscenza di Cristo si è trovata “la perla preziosa (cfr Mt 13,45 sgg.) che dà valore a tutta la vita, facendo sì che tutti gli imperativi cristiani non siano più zavorre che immobilizzano l’ uomo, ma piuttosto ali che lo portano in alto” (3). [(1) (2) (3)  J.Ratzinger – M.Pera, “Senza radici”, Mondadori, Milano, 2004] (Tratto da “Quaderni Cannibali” Ottobre 2010 www.donboscoland.it)

La psichiatria in soccorso alla mancanza di senso


Dunque per Nietzsche la realtà non ha senso, la vita e la morte non hanno spiegazione e non hanno senso, non si può cercare destinazione né al pensiero né all’azione, cioè non c’è un punto di arrivo nel mio pensare e nel mio agire. Un’altra drammatica conseguenza di questo pensiero si è trovato ad affrontare il giovane psichiatra viennese ebreo allievo di Freud, di cui abbiamo già parlato, Viktor Emil Frankl , che si è trovato a dover gestire: l’impressionante aumento di suicidi giovanili dovuti alla mancanza di senso della propria vita.
Lo studio di questo fenomeno lo ha portato a sviluppare la sua logoterapia che consiste nel ridare un senso alla propria vita, un senso che le faccia accettare la fatica e la sofferenza nell’affrontare le difficoltà del vivere. In altre parole Frankl
parte dall’idea che non è l’uomo che si deve interrogare sul senso della vita, bensì è la vita che pone all’uomo degli interrogativi a cui deve saper rispondere per condurre una vita di significato assumendosi la responsabilità della sua esistenza. Il significato ultimo della vita va oltre la comprensione umana, oltre la ragione dell’uomo; è qualcosa a cui bisogna credere al di là della propria ragione. Ogni cosa che capita durante la vita ha un significato e non è opera del caso. Ed è proprio il destino dell’uomo che, recando in sé la concretezza della vita, lo pone di fronte a delle prove che deve affrontare in modo da sperimentare possibili valori da realizzare che elevino il suo spirito interiore.
La sua opera più nota “Uno Psicologo nei Lager”, come abbiamo già visto, dimostra come lui stesso prigioniero ebreo con altri ha potuto verificare la forza morale e di conseguenza anche fisica e psichica di chi nella sua più drammatica situazione di sofferenza e di umiliazioni è riuscito a dare un senso al suo soffrire e a sopravvivere (in molti casi anche con eroici atti di aiuto nei confronti dei compagni, vedi padre Kolbe) e chi, non trovandolo, si è lasciato morire di fame, di stenti, di malattie e di disperazione.
  
Una simile situazione la troviamo anche nella testimonianza di Eugenio Corti (1921-2014), nel suo ormai più che famoso romanzo autobiografico “Il Cavallo Rosso”, nel quale descrive le atroci sofferenze dei soldati italiani nella ritirata di Russia e come la forza di volontà di superare la drammatica situazione ha permesso a molti di sopportare i fortissimi disagi fisici, psichici e morali incontrati (aiutati anche dalla straordinaria presenza del cappellano militare Don Gnocchi) e di tornare a casa in situazioni praticamente impossibili (e al contempo, anche qui, con numerosi atti eroici per salvare i compagni più deboli) e come invece la disperazione ha portato molti di loro a lasciarsi andare e morire congelati o addirittura a suicidarsi con il  proprio fucile.
Bibliografia consigliata:
Eugenio Fizzotti “Ha senso soffrire?” Ed. CVS
Eugenio Corti "Il Cavallo Rosso" ed. ARES Milano

Quando l’uomo perde Dio – J. Ratzinger


Quando ci rivolgiamo a Dio, quando ci rivolgiamo a Lui, noi diventiamo uomini nuovi. All’opposto, là dove il mondo rifiuta Dio esso diventa un pianeta che esce dalla sua orbita e vaga senza meta nel nulla cosmico. È una terra non più illuminata dal sole e in cui la vita stessa va estinguendosi. Quando l’uomo perde Dio non ce la fa più ad essere giusto, perché ha perso il suo fondamentale riferimento. Noi possiamo essere giusti e sentirci a posto soltanto se la giustizia, prima di tutto, si realizza in noi. Se noi siamo perciò retti. Ma siamo retti se corrispondiamo alla verità del nostro essere. La verità del nostro essere è che Dio ci ha creati e che Egli è la nostra rettitudine. Non vi può essere giustizia se essa non comincia nell’uomo. Non vi può essere giustizia se l’uomo rinnega la sua origine divina”. (tratto da “Omelie romane” 1985 contenute in: “Collaboratori della verità”  di Joseph Ratzinger, ed. San Paolo)

La logica del potere - J. Ratzinger


Esiste una particolare forma di esercizio del potere, purtroppo molto diffusa nel nostro tempo, che si oppone a Dio e che mira a non aver più bisogno di lui, anzi, a farne semplicemente a meno. L’essenza di tale potere consiste ne ridurre le cose e le persone a puro “oggetto”, a puro “ruolo” o “funzione”, facendone così qualcosa di strumentale rispetto ai propri progetti. Cose e persone non vengono considerate come realtà vive e di per sé dotate di diritti costitutivi – di fronte alla cui dignità io devo inchinarmi con rispetto – bensì  trattate come “funzioni”: secondo cioè la logica strumentale della “macchina”, come se fossero apparati inanimati (anche nel senso di senz’anima per quanto riguarda l’uomo).
In ultima istanza, questa forma di potere è tale da condurre l’uomo alla morte; questo potere trascina inesorabilmente colui che se ne serve lungo la china della morte e di ciò che è morto. La legge che impone agli altri finisce per disporre anche di lui.
In questo caso, le parole che Dio ha rivolto ad Adamo – “Se mangerai di quest’albero, morirai” (cfr. Gn 2, 17) – si realizzano nel loro esatto significato letterale. E non può essere diversamente, là dove il potere venga concepito come atteggiamento opposto all’obbedienza. L’uomo non è il signore dell’essere, anche qualora sia capace di scomporlo in parti più o meno grandi, e poi rimontarlo insieme quasi fosse una macchina. E neppure l’uomo può vivere contro l’essere: là dove si persuade di ciò, egli cade in balia della menzogna, cioè del non essere, della pura apparenza (senza sostanza) e così della morte.
Questo potere è ricco di attrattive e di influenza (è perfino proposto dal demonio a Gesù nel deserto). Il suo successo non è che un successo “a termine”, tuttavia questa sua precarietà può durare a lungo, e abbagliare l’uomo che vive nell’immediatezza.
Ma questo potere non è quello autentico né quello vero. Il potere che l’essere stesso racchiude in sé  è più potente ancora: chi sta da questa parte è davvero “vincente”. Il potere dell’essere non è il potere dell’arbitrio individuale, è il potere stesso del Creatore. Di lui sappiamo, nella fede, che oltre ad essere la VERITÀ, è anche AMORE, e che le due cose non possono essere separate. Dio ha tanto potere nel mondo quanto ne hanno verità e amore.[…] (prima parte dell’intervento al Convegno cattolico di Dresda, 10 luglio 1987 dell’arcivescovo Joseph Ratzinger responsabile della Congregazione per la Dottrina della Fede)


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