mercoledì 24 maggio 2017

4t-5-Nietzsche: la morte di Dio

Le Slides e la Dispensa

























La modernità e i pensatori cattolici


Nietzsche rappresenta l’epilogo o il traguardo della modernità. La modernità è un momento abbastanza variegato e sicuramente c’è posto anche per i pensatori cattolici. È però evidente che questi non sono i pensatori di cui si parla quando si affronta la modernità, non figurano certo fra i pensatori che influenzano o guidano la modernità, né tantomeno che lasciano tracce evidenti del loro pensiero. Esistono, parlano, scrivono, ma l’attenzione generale è completamente volta altrove. Per esempio è attratta dal pensiero nazionalistico. Con il modernismo, abbiamo visto, la ragione si separa dalla fede. La ragione si dimentica della filosofia (del ragionare vero e proprio) per questo nel titolo abbiamo messo “l’eclissi del pensiero” per sottolineare la principale caratteristica della filosofia contemporanea, di quella filosofia che non accetta il metodo filosofico.
Siamo nell’800, i nomi che continuamente appaiono sono quelli di Marx, di Freud e di Comte e di quello, ormai meno recente, di Nietzsche, tutti ormai fortemente secolarizzati, cioè che dichiarano la morte della religione, perché passaggio superato o addirittura perché causa di problemi sociali e ostacolo al progresso.
Siamo nel romanticismo che è caratterizzato dal recupero della tradizione contro l’illuminismo che si era contrapposto alla storicità della tradizione. Che cos’è la storicità? È ciò che di fatto cura tutti i vizi, tutte le imperfezioni, tutti i difetti che ci erano stati dati dalla tradizione.  La storia infatti è fatta di tutti questi elementi, anche negativi, che possono e debbono essere letti alla luce della totalità della storia, del fine della storia. In fondo per i romantici la storia è la manifestazione progressiva dell’eterno, è la manifestazione di Dio. I mali e i fatti della storia hanno un senso perché vanno visti nell’ottica di Dio. In altre parole l’illuminismo ha portato alla ribellione, alla rivoluzione nei confronti del passato e della tradizione, perché quello che è stato prima non va bene, va curato, ribaltato, va cancellato (giustificando la morte di moltitudini di oppositori). Il romanticismo si caratterizza invece per la polemica contro la meccanica e l’artificiale logica del progresso moderno e per l’idealizzazione nostalgica dei rapporti sociali pre-moderni, ispirati al cristianesimo, quello non ancora corrotto dalla riflessione critica.
In questo orizzonte si muovono i pensatori cattolici che si accorgono che la filosofia è diventata una sorta di sogno. Si è abbandonata la filosofia realista, tradizionale, antica, cristiana nella quale c’è corrispondenza fra quello che io penso e la realtà, dove c’è una realtà che deve essere indagata. Dove la mia mente si adegua alla realtà che trova. C’è una realtà fuori di me, questa realtà io la conosco e mi ci adeguo. C’è un senso che sta sotto tutte le cose.
La modernità capovolge tutto, e parte dal “controsenso” di Rousseau: “lasciamo da parte i fatti”. Cioè l’invito a ragionare solamente lasciando da parte la realtà. Sarà lei che dovrà adeguarsi al mio pensiero, cioè “la verità non è altro che quello che deciso io con la mia sola capacità di ragionamento”. “è la realtà che deve adeguarsi alla mia idea”.

Antonio Rosmini (Rovereto, 1797Stresa, 1855)


Filosofo, educatore e presbitero italiano. La Chiesa cattolica lo venera come beato dal 2007. Rosmini è una voce che si preoccupa dei danni che questo modo di ragionare moderno può arrecare alla fede e ai credenti, ma anche all’intera società. I danni sono creati proprio da questo invadente e dilagante soggettivismo che afferma che la realtà non può che prescindere dal soggetto, è il soggetto che la fonda. Questa teoria infatti ha un suo fascino e che sembra attuale. In fondo la nostra esistenza o crede ad un senso che sta sotto le cose e i fatti e mi do da fare per trovarlo e capire che posto ho io in quel senso o il senso sono io. O Dio c’è ed è Lui che da il senso alle cose, o Dio sono io e quindi il senso lo dò io. Su questi argomenti si batte Rosmini per aiutarci a non rimanere ingannati dal soggettivismo. Si batte infatti contro l’empirismo dichiarando il suo errore che è quello di credere che tutta la verità derivi dall’esperienza. Come si potrebbero altrimenti spiegare i grandi concetti universali che ha l’uomo. Il soggettivismo illuministico è pure in difetto col suo ricondurre il tutto alla sola percezione umana (Kant). È vero solo quello che il soggetto percepisce, quindi esiterebbe solo la verità pensata, non quella reale, quella cioè che esiste anche all’infuori del pensiero dell’uomo.
Rosmini si preoccupa di salvaguardare l’essere, l’esistenza, e lo fa rifacendosi alla tradizione Agostiniana e a quella Tomistica che scavano nel sistema platonico ed in quello aristotelico. Egli ricupera il concetto di ente di san Tommaso. Ente è ciò che è, ciò che esiste. Il pensiero non può pensare che a qualcosa che c’è, non può pensare a nulla che non esista. Il pensiero intenziona sempre qualcosa, perché se non pensa a quella cosa il pensiero non esiste. Rosmini ripropone  l’idea che il mondo esiste fuori di noi, che c’è una realtà che esiste fuori di noi e questa realtà la percepiamo conoscendola, pensandola. Sostenere che il contenuto essenziale del pensiero è l’ente, è l’esistente, è ciò che esiste e dire che fuori di esso non c’è pensiero è combattere il soggettivismo. Vuol dire che mano a mano che scopro la realtà, cioè la verità sull’esistente, scopro la porzione di rivelazione di Dio che mi viene data. Scopro attraverso l’essere, l’essere degli esseri, cioè Dio.

Rosmini e il Concilio Ecumenico Vaticano II

Di particolare interesse fu la sua opera "Le cinque piaghe della santa Chiesa", scritta nel 1832 e pubblicata nel 1848. L'autore mostrò di discostarsi dall'ortodossia dell'epoca. Per tale ragione l'opera fu messa all'Indice sin dal 1849 e ne scaturì una polemica nota col nome di "questione rosminiana".
L'opera fu riscoperta al Concilio Vaticano II. Il primo a parlare al Concilio di Rosmini fu il vescovo mons. Luigi Bettazzi, presente durante alcune sessioni in rappresentanza del cardinal Giacomo Lercaro di cui ne era Vicario generale.
Di Rosmini, il 4 ottobre 1965, Bettazzi disse: « ...Mi sia consentito ricordare ancora in quest'aula l'esempio di Rosmini, molto legato a Tommaso, ma anche studioso e amante del suo tempo, e che certamente guadagnò a Cristo non pochi uomini contemporanei e posteriori.
Tutto questo mi sembra si accordi con le cose che sono state già dette da non pochi Padri su questo schema in generale, che cioè gli uomini non si aspettano dalla Chiesa soluzioni particolari, ma piuttosto la presentazione di valori che li aiutino a trascorrere questa vita umana più nobilmente e con maggiore sicurezza. Parlando della libertà abbiamo dovuto esaltare i valori dell'umiltà; parlando del matrimonio, il ruolo della fortezza; parlando dei problemi economici e di molti altri problemi, l'efficacia di un certo disprezzo delle cose: occorre dunque mettere in luce la necessità dell'ubbidienza, della castità, della povertà, non solo nella vita e nell'esempio (e nella Bozza di Documento!) dei religiosi, aiuto agli uomini di questo tempo, perché possano vivere la loro vita umana nel modo migliore e più efficace; il primo e principale compito dunque per i cristiani che coltivano la sapienza dev'essere, alla luce del Magistero, l'amore delle Scritture e l'amore di questo mondo in un colloquio franco e aperto... ». Papa Paolo VI, in un'udienza concessa alle suore rosminiane disse a proposito di Rosmini:
« ...i suoi libri sono pieni di pensiero, un pensiero profondo, originale che spazia in tutti i campi: quello filosofico, morale, politico, sociale, soprannaturale, religioso, ascetico; libri degni di essere conosciuti e divulgati... È stato anche un profeta: Le Cinque piaghe della Chiesa (una volta la chiesa non aveva piacere che si mettessero in luce le sue mancanze, le sue debolezze). Lui, per esempio, previde la partecipazione liturgica del popolo...Tutti i suoi pensieri indicano uno spirito degno di essere conosciuto, imitato e forse invocato anche come protettore dal Cielo. Ve lo auguriamo di cuore... »

Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa”.

L'opera è suddivisa in cinque capitoli (corrispondenti ciascuna ad una piaga, paragonata alle piaghe di Cristo). In ogni capitolo la struttura è la medesima:
·         un quadro ottimistico della Chiesa antica
·         segue un fatto nuovo che cambia la situazione generale (invasioni barbariche, nascita di una società cristiana, ingresso dei vescovi nella politica)
·         la piaga
·         i rimedi.
Prima piaga. È la divisione del popolo dal clero nel culto pubblico. Nell'antichità il culto era un mezzo di catechesi e formazione e il popolo partecipava al culto. Poi, le invasioni barbariche, la scomparsa del latino, la scarsa istruzione del popolo, la tendenza del clero a formare una casta hanno eretto un muro di divisione tra il popolo e i ministri di Dio. Rimedi proposti: insegnamento del latino, spiegazione delle cerimonie liturgiche, uso di messalini in lingua volgare.
Seconda piaga. Insufficiente educazione del clero. Se un tempo i preti erano educati dai vescovi, ora ci sono i seminari con "piccoli libri" e "piccoli maestri": dura critica alla scolastica, ma soprattutto ai catechismi. Rimedio: necessità di unire scienza e pietà.
Terza piaga. Disunione tra i vescovi. Critica serrata ai vescovi dell'ancien régime: occupazioni politiche estranee al ministero sacerdotale, ambizione, servilismo verso il governo, preoccupazione di difendere ad ogni costo i beni ecclesiastici, "schiavi di uomini mollemente vestiti anziché apostoli liberi di un Cristo ignudo". Rimedi: riserve sulla difesa del patrimonio ecclesiastico, accenni espliciti di consenso alle tesi dell'Avenir sulla rinunzia alle ricchezze e allo stipendio statale per riavere la libertà.
Quarta piaga. La nomina dei vescovi lasciata al potere temporale. Rosmini compie un'approfondita analisi storica sull'evoluzione del problema e critica i concordati moderni con cui la S. Sede ha ceduto la nomina al potere statale (e, accenna prudentemente, per avere compensi economici).
Quinta piaga. La servitù dei beni ecclesiastici. Rosmini sostiene la necessità di offerte libere, non imposte d'autorità con l'appoggio dello Stato, rileva i danni del sistema beneficiale, propone la rinuncia ai privilegi e la pubblicazione dei bilanci.

La pedagogia di Antonio Rosmini

di Giovanni Pusineri (estratto)
6. La filosofia come vera pedagogia dello spirito umano.
Infine è sentenza comune degli studiosi che bisogna annoverare il Rosmini tra i più grandi pedagogisti non tanto per i suoi scritti riguardanti più propriamente l’educazione, quanto per tutto il complesso dell’opera sua di pensatore. La ideologia e la logica, la psicologia, la morale, la politica, il diritto, tutte, si può dire, le scienze filosofiche furono dal Rosmini trattate con profondità di pensiero e originalità di vedute: e la scienza e l’arte dell’educazione, per essere davvero una scienza ed un’arte, devono appunto fondarsi sopra un saldo pensiero filosofico. Così, quantunque il Rosmini non ci abbia dato un trattato completo di pedagogia in forma rigidamente scientifica, ha reso possibile ad altri il farlo (per es., ad Antonio Rayneri, che primo diede all’Italia un tale lavoro, basandosi appunto sul pensiero filosofico di lui), e ad ogni modo ha giovato assai alla Pedagogia, dandoci una compiuta filosofia dello spirito.
Tecnicamente il Rosmini fa della Pedagogia un ramo di quel gruppo delle scienze filosofiche che chiama scienze di ragionamento (distinte dalle scienze di intuizione e dalle scienze di percezione), e precisamente di quella che tratta della attività propria degli enti, per la quale ciascuno raggiunge il suo perfezionamento nell’avvicinarsi all’ideale od archetipo, e che egli chiamava Deontologia . Essa dunque nel grande albero delle scienze filosofiche occupa un posto subordinato. Ma sotto un altro aspetto, in quanto cioè tutte hanno per ultimo fine il perfezionamento della persona umana, ben si può dire che per il Rosmini essa le subordina tutte a sé, in modo da riuscire, quando dalla teoria si passi alla vita stessa spirituale, all’apice delle scienze filosofiche, e anzi ad essere tutta la filosofia. Scrive di fatto : «Se il fine della filosofia è di trovar quiete e riposo alla curiosità della mente, il suo frutto, più prezioso ancora, è di assicurar l’animo umano della possibilità, che egli giunga al compimento di tutti i suoi desideri, di togliergli, intorno a ciò, ogni incertezza, di additargli quella sicura via, per la quale egli giunga alla cima a cui tende. La qual via lo conduce a Dio, a cui il consumato filosofo si dà ad ammaestrare come discepolo, e a perfezionare come creatura. Tale è il fine della filosofia, tale il suo frutto. Ma se invece di considerare la scienza, si vuoi considerare la scuola della filosofia, ella in tal caso diventa la vera pedagogia dello spirito umano: della mente, che conduce alla scienza più compiuta, e dell’ animo, ai cui affetti svela innanzi il più compiuto bene. Sotto il quale aspetto di una pedagogica dell’umanità la filosofia è concepita da Platone» 18. Pensiero che egli fin dall’inizio del suo filosofare trovava attuato da Dio nel governo del mondo, quando scriveva: «Noi immaginiamo tutto questo universo sia fisico che morale come un grande e sacro libro aperto da Dio innanzi agli occhi degli uomini e non scritto dentro, se non tutto di quesiti e difficoltà proposte a risolvere all’umana intelligenza, affinché coll’investigarne le risoluzioni e le risposte, essa venga accrescendo di cognizione e d’appagamento».
Il qual concetto della filosofia, come di una pedagogia dello spirito umano, che ricerca e trova la sua beatitudine nel raggiungimento intellettuale ed effettivo colla Suprema Verità e col Sommo Bene, appare in tutti gli scritti del Rosmini, ove egli dà la teoria dell’uomo e di ciò che serve al suo perfezionamento. Così quando lo vediamo insistere sopra il concetto della perfetta unità dell’uomo: unità che risulta dal concorso di molte attività subordinate, le quali operano ciascuna dentro una propria sfera d’azione e secondo determinate leggi, ma che alla fine sono tutte controllate dall’ attività suprema, che egli chiama la persona, dominata unicamente dalla legge della libertà20. Ed allora non si avrà vera educazione, se non nel miglioramento di questo principio attivo supremo, il quale solo si migliora nella ricerca della massima adesione colla verità e col bene. Quindi, anche quando il Rosmini, per la necessità di dire una cosa alla volta, scende alla più minuta analisi delle umane facoltà, e ci parla di un’educazione fisica, intellettuale e morale; oppure, adottando il linguaggio corrente, discorre di educazione individuale, domestica e magistrale, civile, ecclesiastica, o fa altre suddivisioni simili, non bisogna perder di vista che la vera educazione non si ha che nell’educare tutto intero l’uomo, e in quell’ordine con cui ci vien presentato nella sua realtà, e secondo quella sostanza spirituale che sola può davvero migliorare ed appagare pienamente, che è la verità presa nella sua completezza e integrità, nella VERITÀ INTERA, com’egli la chiama. Ma questa esigenza dell’umana natura già ci trasporta al di fuori e al di sopra di essa: poiché la verità intera non è nella natura, né nel puro intendimento, ma dev’ essere un reale: e la realtà della verità è solo in Cristo: «qui la verità è una sostanza, la più nobile delle sostanze, una persona».

7. Unità del fine: Educazione una e unicamente religiosa.
Perciò la vera educazione, oltreché una, dev’essere unicamente religiosa, e di una religiosità non meramente naturale e incompleta, ma soprannaturale e completa, cioè cristiana, in cui la verità, come s’è detto, è una realtà, e s’identifica colla carità. Difatti se l’educazione vera ha la sua unità nel «subordinare tutto alla morale perfezione», che è poi I’ unico bene che realmente appaghi e feliciti l’umana persona, ne segue che dove consista l’apice e il compimento della perfezione morale sarà anche il principio e la base che si ricerca della educazione. Ma la suprema legge morale nel sistema filosofico rosminiano intima il riconoscimento pratico degli enti nell’ordine loro: e il primo e supremo Essere, da cui ogni altro ha vita e valore; cioè partecipa il suo grado di entità, è Dio: dunque nel riconoscimento pratico di questo, ossia nell’ amore, nel culto e nell’ obbedienza a Dio, che sono atti della verità vissuta, ossia della carità, sarà anche posta la vera moralità: e quindi la vera moralità è la vera religione, e l’oggetto di questa, Dio, sarà anche principio e fine e centro informativo dell’unità educativa, come di ogni sistema speculativo e di ogni attività pratica.
Qui qualcuno potrebbe obbiettare, e non senza qualche apparenza di ragione: concedo che l’idea di Dio sia messa al vertice dello scibile e della scienza e arte dell’ educazione. Ma perché essa sia il fondamento dell’educazione, dovrebbe essere non solo al vertice, bensì anche alla base della grande piramide dello scibile: cosa che non pare possibile ammettere, visto che l’idea di Dio è la più complessa, la più astratta la più difficile a formarsi adeguatamente, tanto che è come un assioma per gli Scolastici, e per il Rosmini stesso, che di Dio non si può conoscerne l’essenza né averne un’idea positiva, ma solo un’idea inadeguata e per analogia, una mera cognizione ideale negativa.
L’obbiezione, dicevo, ha qualche speciosità: ha ingannato ed inganna molti. Il Rousseau ragionava così, ed escludeva Dio dall’educazione giovanile. I positivisti, i materialisti, tutti i soggettivisti, anche quelli che non vogliono escludere Dio anzi vogliono di proposito introdurlo nell’educazione, se coerenti, dovrebbero ragionare così, e parimenti allontanare Dio dall’educazione giovanile.
Lasciando che con tale ragionamento bisognerebbe riserbare l’idea di Dio a solo un’élite di intellettuali, «invano - dice il Rosmini stesso - volle il Rousseau far credere che il culto della deità non fosse opera da lingua che chiama babbo e mamma». «Anzi – continua - il tenero infante, quasi più vicino all'origine sua, pare che vi si rivolga con trasporto, che la ricerchi con ansietà, che la ritrovi più rettamente dell’adulto medesimo: ed appartiene assai più a Dio che all’uomo il comunicarsi all’anima semplicetta che sa nulla, e che pure intende il suo Fattore». Parole soffuse di poesia: ma di questa poesia il Filosofo aveva assicurato saldamente il valore colle sue ricerche gnoseologiche e psicologiche, condotte con quel finissimo spirito di osservazione e di analisi che tutti concordemente gli riconoscono; ricerche, le quali lo avevano portato a concludere, in modo da non lasciar per lui dubbio alcuno, che nella mente umana prima v’ha l’indeterminato che il determinato, prima l’universale che il particolare, prima l’idea dell’essere che i concetti degli enti sensati; ricerche, che lo avevano condotto a riconoscere in quest’idea, od essere ideale, formatrice dell’ intelligenza umana, un’ immagine, una traccia, un’ombra, un vestigio, “un’appartenenza” della divinità, e a constatare che Dio, cioè il concetto di un Essere Misterioso, Grande, Potente, Benefico, è presentissimo alla mente infantile, solo che la voce del cuore materno per poco vi richiami l’attenzione.
Così dunque Dio non solo è al vertice, ma è anche alla base dell’opera educativa: e il Rosmini è perfettamente coerente a tutto il suo sistema di pensiero, quando, dall’asserire che l’educazione deve essere una, e per il fatto che centro dell’unità non può essere che Dio, conclude che «per essere una, l’educazione dev’essere unicamente religiosa». La quale conclusione, a cui vien logicamente portato dai suoi principi filosofici e dall’osservazione sull’anima infantile, è poi dal Rosmini avvalorata col mettere in evidenza il nesso strettissimo che ha l’ordine sociale coll’ordine religioso. «Anche coloro – dice - che combattono questo concetto, hanno tuttavia in fondo al cuore un senso di religione e una vaga aspirazione ad essa, perché, se sono uomini, non possono aver estinto in sé il germe della giustizia, che è quello stesso della religione»; cioè, come s’ è detto sopra, Dio, fonte e oggetto di questa, è anche la fonte della verità ed oggetto supremo della moralità e della giustizia.
8. In Dio è anche l’unità delle scienze.
Stabilito il principio, occorre scendere all’attuazione di esso, e cioè trovare il modo di «far entrare efficacemente mente la religione nell’educazione», ossia «un metodo adatto e commisurato alle forze dell’uomo», tale che sappia armonizzare la religione con tutto quel complesso di conquiste, onde va giustamente gelosa e orgogliosa l’umana natura, «inserendo la religione nella tendenza stessa che ha l’uomo al vivere sociale e alla felicità». Poiché solo in questa maniera la religione potrà diventare l'essenza, l’anima della vita, la vita stessa dello spirito, e dominare ed intensificare tutto lo sviluppo di cui esso è capace, nell’acquisto delle scienze e nell’attività pratica, subordinando quelle e questa al perfezionamento personale, come mezzi al fine.
In questa maniera il Rosmini si apre la strada alle applicazioni pratiche del suo principio pedagogico dell’unità, rilevando che l’unità stessa religiosa dell’educazione, perché veramente risponda alle esigenze molteplici dello spirito, di cui si sostanzia la sua unità, presentandosi esso nei più vari atteggiamenti, a seconda dei bisogni, dei tempi, delle condizioni di cultura e d’ambiente, dovrà contenere e germinare una gran varietà di forme e di aspetti; e così, oltre all’unità del fine, già toccata, da proporsi alla volontà, si dovrà mantenere l’unità delle dottrine che costituiscono la materia dell’insegnamento, e l’unità delle diverse potenze dell’anima umana, che egli chiama unità dell’oggetto e del soggetto.
Quanto all’unità delle dottrine che costituiscono l’oggetto di ogni insegnamento, essa è un dogma per tutti i pensatori. Il Rosmini a diciannove anni ne poteva scrivere così: «Chi ben vedesse come tutte le scienze, tutto lo scibile è una unità, una cosa sola, e ciascuna scienza è parte d’un medesimo tutto, conoscerebbe appieno il valore e l’utilità di ciascuna, l’influenza che vicendevolmente si hanno, non ne dispregerebbe alcuna: e avvilendo la grammatica, intenderebbe come egli offende la retorica, e offendendosi essa, sarebbe la teologia oltraggiata e risentita». Essendo uno lo scibile, è facile trarre i precetti pratici riguardanti le varie materie d’insegnamento impartite dallo stesso o da più maestri: punto su cui non cade ormai nessun disaccordo. Ma rilevato questo, rimane sempre da trovare come e dove sia riposta la radice e il coronamento anche di questa unità del sapere.
Il Rosmini ne trova dunque la radice, come s’è già accennato, nell’idea prima da cui parte ogni cognizione, ed in cui tutte le idee sono germinalmente contenute. Arricchendosi la mente, mediante le successive percezioni e riflessioni, non si fa altro che aggiungere determinazioni a quella primitiva idea, che, secondo il Rosmini, rimane come lo schermo su cui vengono a proiettarsi e ad illuminarsi le varie figure. V’è dunque un’unità alla base dell’edificio scientifico, il quale s’innalza fino alle più sublimi altezze, estendendo i suoi fondamenti all’infinito com’ è infinita l’idea primigenia, e prendendo tutti i vari aspetti di cui sono capaci la percezione e il ragionamento applicati nelle maniere e agli oggetti più disparati, per ritornare nel suo vertice ad essere rifuse nell’unità dell’idea prima, e a completarsi e concretarsi in Dio stesso, detto il “Dio delle scienze”. Iddio dunque, non solo quale è possibile conoscersi dall’umana ragione, ma quale ci si è rivelato egli stesso mediante il Verbo Incarnato, Uno nella natura e Trino nelle persone, è per il Rosmini alla vetta dell’edificio dello scibile, e a Lui debbono subordinarsi e mirare tutte le particolari scienze. In questa maniera vuole il Rosmini unificata, e santificata, ogni cognizione; poiché Dio «o entra in tutto e ad ogni istante, o non deve entrare mai in nulla. Non si può tagliare in pezzi la realtà per darne solamente una parte all’assoluto; non c’è nessun attimo che possa esser sottratto a Dio, nessun grado dell’essere, nessun movimento del sapere, nessuna forma di attività. L'educazione cristiana consiste appunto e solo in questo: formare l'uomo in modo che lo sviluppo dell'io, con tutte le sue attinenze con la natura e con la storia, abbia Iddio come principio animatore».

Vincenzo Gioberti (Torino 1801  Parigi, 1852)


Vincenzo Gioberti  fu un presbitero, patriota e filosofo italiano e il primo Presidente della Camera dei deputati del Regno di Sardegna, tra le principali figure del Risorgimento italiano. Gioberti critica l’antisoggetivismo di Rosmini, perché afferma che di fatto, se l’uomo col suo pensiero scopre le cose e quindi attraverso di esse Dio, di fatto Dio è frutto della sua mente e quindi anche questa è una sorta di soggettivismo. Gioberti fa notare che Dio è sempre presente, anche quando l’uomo non è ancora arrivato a pensarlo, quindi non è l’uomo che fa Dio, ma è Dio che fa l’uomo. È Dio che guida ogni nostro pensiero, ogni elemento della realtà. Questa visione filosofica di Gioberti è definita “ontologismo”. Tutto è l’essere, tutto è Dio. Dio non passa attraverso il filtro del soggetto.
Il suo essere presbitero e cattolico gli procurò diversi dispiaceri e diversi ostacoli nella carriera politica. Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica. Visse in povertà e passò il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi agli studi letterari. Morì improvvisamente di un colpo apoplettico il 26 ottobre 1852.

“l’eclissi del pensiero”

Siamo lontanissimi dai pensatori che in questa tappa del nostro viaggio con i filosofi abbiamo incontrato. Sembra quasi che il mondo cristiano stia dormendo. Ma è possibile una qualche conciliazione con il modernismo? È possibile pensare cristiano in questi tempi?

Il punto è che è la ragione che è diventata sterile. La ragione ha cominciato questo suo degrado abbandonando la fede. Questo è stato un passaggio traumatico. La fede dava un senso all’esistenza attraverso il linguaggio della ragione. Tolto il senso è rimasto il linguaggio. È rimasta la ragione che doveva essere evidente a se stessa, doveva bastare a se stessa. La ragione è come se avesse compiuto una parabola, ad un certo punto si dimentica pure di se stessa, non si riconosce più nella filosofia e non può che arrivare al suo epilogo che è il nichilismo di Nietzsche.
Nietzsche è di fatto il pensatore più onesto, intellettualmente più onesto, perché vede e capisce le cause del disfacimento del pensiero, vede che i percorsi effettuati non hanno portato a nulla e critica tutti i suoi predecessori, la critica al cristianesimo è inserita in questa contestazione globale a tutto il pensiero occidentale. Nietzsche si sente figlio di questa cultura amorale senza valori e senza senso, dove la ricerca dell’èpisteme non interessa più e non  cura più l’angoscia del divenire. Il senso da ricercare non ci colma più. Dobbiamo trovare un’altra strada per riuscire a vincere l’angoscia dell’esistenza.
Il cristianesimo propone la sua, fin dall’inizio dell’era cristiana, con quel armonioso matrimonio fra fede e ragione e gli altri?

Nietzsche (1844 – 1900)

 

È un filosofo che giganteggia nella storia della filosofia occidentale. A lui è legata la profezia circa la morte di Dio. Era conscio che le sue percezioni fossero in anticipo sui tempi “ io sono nato postumo, sono vissuto un secolo prima, verrà il giorno in cui mi daranno ragione. Un uomo solo, una vita di sofferenza, perde il padre a 5 anni, avrà sempre un rapporto conflittuale con la madre, con la sorella e con la donna che amava che non lo volle. Morirà in un ricovero per malati mentali. È sempre rimasto aperto il problema se le sue idee fossero frutto della sua malattia o se fu la sua malattia una conseguenza delle sue idee. Rimane il fatto della sua consapevolezza che le opere da lui scritte non sarebbero state capite, infatti le dovette pubblicare a sue spese. Ebbero un folgorante successo proprio mentre stava per morire assistito dalla sorella.
Nietzsche è di difficile sistematizzazione, perché il suo pensiero non è quello di costruire una filosofia, cioè di un’altra ennesima verità, visto che per lui la verità non esiste. È caratteristica di Nietzsche, un po’ come Eraclìto, scrivere dei pensieri, molto efficaci, più da leggere che da spiegare, per la loro forte carica emotiva, causa del loro grande successo.
“conosco la mia sorte, un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme, una crisi come mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che fin ora era stato creduto, preteso, consacrato, io non sono un uomo, sono dinamite” da “Ecce Homo” di Nietzsche

Contesto culturale in cui Nietzsche ha vissuto

Nietzsche si pone in un periodo che possiamo definire come lo spartiacque fra due epoche. Da una parte la fiducia ottocentesca nelle scienze e nel progresso sociale, dall’altra la crisi delle certezze che caratterizzerà il ‘900 in ogni ambito della cultura.
Nella seconda metà dell’800 l’intera cultura europea va incontro a profonde trasformazioni. Nel 1874 Parigi apre le porte alla prima esposizione del movimento espressionista (Monet, Degard, Sesan,…) che influenzeranno prepotentemente l’arte del secolo successivo. Nella letteratura si affermano nomi straordinari per la loro potenza innovatrice come Dostoiesky, Baudelaire, Rimbaud, Oscar Wilde. Anche sul piano politico, il secolo in cui Nietzsche nasce e vive è caratterizzato da profondi cambiamenti. Sorgono nuovi stati nazionali come l’Italia unita e la Germania e le potenze europee cominciano la corsa alla colonizzazione dell’Africa e dell’Asia. Nascono i primi movimenti femministi per il voto alle donne e le grandi organizzazioni dei lavoratori. La rivoluzione francese ha lasciato il posto alla restaurazione delle antiche monarchie, ma gli ideali rivoluzionari non hanno perso la loro forza. Quando Nietzsche ha solo 4 anni l’Europa viene scossa dai moti rivoluzionari del 1848 che vedono di nuovo protagoniste le classi popolari. Nel 1870, quando la potente Prussia sconfigge la Francia di Napoleone III, la popolazione di Parigi insorge proclamando la repubblica. L’anno successivo nasce la Comune di Parigi, il primo esperimento di governo proletario. È dunque l’era delle folle, della seconda rivoluzione industriale che genera conflitti sociali sempre più intensi. E mentre intellettuali come Marx ed Engels si fanno portatori di bisogni e aspirazioni delle classi oppresse, il mondo della cultura europea reagisce per lo più con diffidenza e disprezzo. I sentimenti profondamente antidemocratici e antiegalitari a cui Nietzsche darà espressione e la sua esaltazione dei valori aristocratici, sono anche il frutto dell’epoca di conflitti e trasformazioni in cui ha vissuto.


Il pensiero di Nietzsche

Nietzsche non vuole assolutamente essere un filosofo sistematico. Anzi è proprio contro il sistema filosofico. La filosofia non deve essere una verità sistematica, anzi lui combatte ferocemente un po’ tutte le verità. Nei suoi scritti della maturità lascia il campo al linguaggio dell’aforisma con brevi frasi incisive. Fa un esempio nel quale paragona i suoi scritti alle figure in rilievo che essendo in rilievo impongono all’osservatore di integrare con il pensiero ciò che gli sta davanti. Quindi di capire “il non detto”. Solo chi avrà la volontà di penetrarli fino in fondo li capirà.

Andare oltre il rimedio

In “Ecce Homo” Nietzsche dice: “io vengo a contraddire come mai si era contraddetto e nondimeno son l’opposto di uno spirito negatore. Io sono il lieto messaggero quale mai si è visto. Solo a partire da me ci sono di nuovo speranze”.
Nietzsche di fatto ci legge tutta la storia della filosofia. Se ci ricordiamo, all’inizio del viaggio con i filosofi avevamo detto che i primi filosofi avevano iniziato a filosofare colti dallo “stupore” di fronte alla realtà. Aristotele inizia la sua metafisica dicendo che i filosofi, ieri come oggi, hanno iniziato a fare filosofia a causa della “meraviglia” nello scoprire la realtà.
Emanuele Serverino, il grande filosofo italiano a cui spesso facciamo riferimento, fa notare che l’affermazione di cui sopra non è proprio corretta. Il termine greco originalmente tradotto in “meraviglia” è “thauma” che contiene sì il significato di meraviglia, ma una meraviglia che contiene più fortemente il significato di “paura” anzi di “terrore”. Quindi l’affermazione di Aristotele dovrebbe essere tradotta in: “i filosofi, ieri come oggi, hanno iniziato a fare filosofia a causa della paura, del terrore, dell’angoscioso terrore che nasce di fronte alla visione della realtà. Perché? Perché si rendono conto che la realtà è un divenire. La paura della morte. Rendersi conto che tutte le cose e noi stessi per primi veniamo all’esistenza e poi scompariamo e che tutto diviene, tutto scorre, “panta rei”. Allora è chiaro che di fronte a questo angoscioso scorrere inesorabile di tutto, senza nessun appiglio, senza un punto fermo, gli uomini per difendersi hanno cominciato a dare un senso al divenire, hanno cominciato ad elaborare la verità filosofica. Nietzsche conclude che la cura che l’uomo ha escogitato per far fronte al divenire, cioè la creazione delle verità immutabili, che danno un senso al divenire, ebbene la cura è stata peggiore e più deleteria per l’uomo di quella paura, di quel terrore a cui voleva porre rimedio. Era meglio tenerci la paura piuttosto che adottare un rimedio ancora peggiore. Questo perché la verità uccide l’uomo. Perché l’uomo tutto proteso alla contemplazione dell’immutabile, che non esiste, non vive più, si dimentica di vivere, si dimentica di stare nel divenire. Nietzsche quindi sostiene che questo trauma (thauma) da cui nasce la filosofia è sì un sentimento angoscioso, ma la cura che tutta la filosofia occidentale ha fatto per debellare questa malattia (nevrosi di fronte al divenire) è stata peggiore e più deleteria del trauma o terrore originale.
Quindi tutto il percorso della filosofia occidentale è un pensiero che ha ucciso l’uomo. Nietzsche dà una lettura dei filosofi che abbiamo studiato, in contrasto completo con quello che è l’approccio classico alla filosofia.

Le menzogne millenarie

Nietzsche afferma di essere il primo che ci dice fino in fondo quali sono state le menzogne che hanno fatto male all’uomo e che queste menzogne debbono essere definitivamente distrutte. Ogni verità fa male all’uomo. Ogni verità che sottrae l’uomo al divenire, non lo salva e inoltre non lo fa vivere. Ma veniamo a queste menzogne.
Socrate il dittatore logico. Colui che ha fatto prevalere la dimensione intellettuale (la ragione, l’intellettualismo socratico), la forma, l’ordine, sulla vita. Che fine fa Socrate? Muore felice bevendo la cicuta. Il dittatore logico Socrate, colui che ha introdotto nella filosofia occidentale l’”infinità dello sfondo”, cioè “una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”, bisogna sempre ricercare, bisogna sempre chiederci il perché delle cose, ricercare sempre la verità. Guardare sempre davanti verso uno sfondo che non arriva mai (una meta che non si raggiunge mai) e quindi tutti protesi verso una ipotetica verità ci dimentichiamo la vita, al punto che Socrate è contento di perderla. È contento di liberarsi della prigionia del proprio corpo. Di fatto il filosofo è colui che ti insegna a morire. La filosofia non è una medicina, ma è un veleno. Socrate è l’emblema di colui che fa prevalere la dimensione filosofica sulla vita. La cicuta, Socrate, l’ha data a tutto l’occidente. L’uomo è stato schiacciato dal peso della verità. Socrate è nemico della vita.
Platone e il mondo ideale. Questo mondo diveniente è falso ci dice Platone. Il vero mondo è il mondo ideale, immutabile, stabile, eterno. Il filosofo deve guardare al mondo ideale, staccarsi dalla vita. Il corpo è un carcere. La vita è una tomba. Questa di Platone è un’altra menzogna, che non ha curato, ma ha ucciso l’uomo. Lo ha schiacciato sotto il peso della verità. Platone è nemico della vita.
Il cristianesimo. Per Nietzsche è sostanzialmente un platonismo di massa. Il mondo ideale prende il nome di regno dei celi. Anche qui non si vive, ci si illude, si perde il contatto con la vita. Il cristianesimo è nemico della vita. I martiri danno la vita per la vita eterna, ma questa vita eterna non c’è. Dirà Zaratustra: “vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra, diffidate di tutti coloro che vi parlano di speranze ultraterrene. C’è solo questa vita. C’è solo il divenire. Tutte le volte che invece di guardare al divenire, guardiamo alla verità immutabile ci facciamo del male, smettiamo di vivere.
Nietzsche non dice solo “Dio è morto”, ma tutte le volte che si pensa a Dio, moriamo noi. Muore l’uomo. L’uomo vecchio, abituato alla verità immutabile, deve morire e deve nascere un uomo nuovo.
L’Illuminismo. Nietzsche ne ha anche per l’illuminismo, per l’idea di progresso. La ragione, contro il divenire, che illumina la realtà. Ma ogni volta che la ragione illumina la realtà crea illusioni, crea menzogne.
Il Positivismo. Ugualmente il positivismo, che vede l’umanità in cammino verso una meta, grazie al progresso scientifico e alle sempre nuove conoscenze. Contro il quale Nietzsche si esprime in modo molto forte “quello che propone il positivismo sono cose da imbecilli” e altre espressioni di una ferocia filosofica inaudita.
Il Marxismo. È del tutto simile al cristianesimo, solo che mette il comunismo come meta finale al posto del regno dei cieli cristiano. Quindi ennesima menzogna che ingannerà l’uomo per un secolo. La storia marcia verso una direzione, c’è la verità del comunismo che non potrà non realizzarsi perché è una conseguenza scientifica, quasi matematica. Il miraggio del sol dell’avvenire è un inganno perché l’uomo proteso verso di esso non vive e quindi si lascia rubare la vita.
Nietzsche dice: “avete il coraggio di dire sì alla vita?”, “dire sì alla vita vuol dire avere il coraggio di dire sì al thauma, al terrore”, senza illudersi che la vita abbia un senso.
Tutto quanto detto fino ad ora è “la morte di Dio” che troviamo nell’Opera “La gaia scienza”. “avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a cercare incessantemente Dio, e siccome si trovavano colà molti di quelli che non credevano in Dio (gli atei ideologici) suscitò grandi risa. – si è forse perduto come un bambino? Dissero alcuni- altri dissero che stava ben nascosto perché aveva paura di loro – altri ancora che era emigrato – e ridevano e scherzavano. Il folle uomo allora balzò in mezzo a loro e li trapassò con il suo sguardo. Dove se ne è andato Dio, gridò, ve lo voglio dire, siamo stati noi ad ucciderlo, voi ed io. Siamo noi tutti i suoi assassini. Con Dio ricordiamo ci sono tutte le verità, tutto ciò che l’uomo ha considerato vero e con il quale ha cercato di dare un senso al divenire angoscioso della vita, dimenticando così di vivere. Ma come abbiamo fatto questo, dice il folle. Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia (il mare della verità). Chi ci ha dato la spugna per strusciar via l’intero orizzonte. Ecco il dittatore logico Socrate che aveva messo l’infinità dello sfondo. Se muore Dio, si cancella tutto, non ci sono alternative, non ci sono altre divinità. Non c’è sulla terra quello che Dio rappresenta nel regno dei celi. Non c’è una meta. Non c’è una direzione. Non c’è uno scopo. “vuoi vivere nell’angoscioso divenire della vita, ma vivere, o vuoi bere felice la cicuta? Cioè la verità?” che mai facemmo a sciogliere da questa terra dalla catena del suo sole. Dov’ è che si muove ora, dov’è che ci muoviamo noi via da tutti i soli. Non è il nostro un eterno precipitare e all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati. Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando verso un infinito nulla, non alita su di noi lo spazio vuoto, non si è fatto più freddo, non seguita a venire notte sempre più notte, e che non c’è più la luce della verità. Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Nello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio. Non udiamo dunque nulla? Non chiudiamo ancora il letto della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono. Dio è morto! Dio resta morto. Noi lo abbiamo ucciso. Siamo noi gli assassini di tutti gli assassini. Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi si è dissanguato sotto i nostri coltelli. Chi detergerà da noi questo sangue, con quale acqua potremo noi lavarci, quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare. Non è troppo grande per noi la grandezza di questa azione? (cioè l’aver tolto qualunque verità? L’aver tolto qualunque meta?). Può l’uomo vivere così? L’uomo muore di fronte a questo, deve nascere un nuovo tipo di uomo. Non dobbiamo noi stessi diventare dei per apparire almeno degni di questa azione? Non ci fu mai un’azione più grande. Tutti coloro che arriveranno dopo di noi, apparteranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai saranno state tutte le storie fino ad oggi. Il mondo dovrà vivere senza Dio. Senza Dio significa senza verità (Dio infatti è il contenitore in cui noi mettiamo tutte le nostre verità). Non solo non c’è più l’immutabile, ma questo comporta delle conseguenze davvero radicali. Nietzsche dirà “il mondo vero è diventato una favola (cioè un mondo vero che da senso alle cose), ma sta per venire un profeta, Zaratustra, che ci dirà che dovrà venire un uomo nuovo, un altro tipo di uomo, perché l’uomo vecchio, l’uomo occidentale, non riesce a vivere senza Dio. (si fa qui cenno all’opera “Così parlò Zaratustra” che affronteremo nei prossimi capitoli).
Nietzsche prosegue dicendo “vengo troppo presto, proseguì il folle, non è ancora il mio tempo, questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino, non è ancora arrivato fino all’orecchio degli uomini (quando scrive Nietzsche). Fulmini e tuoni vogliono il loro tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche l’azione dell’uccisione di Dio, anche le azioni che sono già state compiute, perché siano vedute e ascoltate (Dio è stato ucciso, ma la gente, che pure l’ha ucciso,  non lo ha ancora visto e ascoltato). Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione nello stesso giorno in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo “Requiem eternam Deo”. Cacciatone fuori sembra si sia limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: che altro sono ancora queste chiese se non le fosse e i sepolcri di Dio? (in effetti l’uomo ha ucciso davvero Dio, ma il suo sepolcro, con la resurrezione, si è trasformato in tabernacolo con presente il Dio vivente [Ndr]).

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Marx, Freud e Nietzsche sono i tre pensatori più importanti per capire il nostro tempo. Tutto il pensiero che si è sviluppato nel XX secolo e che arriva fino a noi, è debitore ad uno di questi tre, anzi dovremmo dire meglio, è debitore del ceppo su cui sono fioriti questi tre. Pur nella diversità delle caratteristiche del pensiero di ciascuno, essi hanno un denominatore comune che li porta direttamente a noi. Un denominatore che fa sentire l’influsso su di noi, sul nostro tempo, sulla nostra società. Per capire perché sono così influenti bisogna considerare il loro punto di partenza. Per esempio Marx e Freud hanno origine ebraica. Questo è un dato essenziale per capirli. Perché questo? Perché questa connotazione giudaica (cioè dell’ebraismo ancora prima di Cristo) è fortemente segnata dalla dimensione messianica. Cioè l’attesa del Messia, la comprensione di cosa sia il Messia, il che cosa venga a fare il Messia, quale sia il rapporto fra il Messia e la condizione dell’uomo. Questo è fondamentale per capire la proposta filosofica e pratica di tutti e tre i pensatori, anche se Nietzsche non è ebreo. Cos’è questa connotazione messianica? È il fatto di aspettare una salvezza per l’uomo. L’uomo deve essere salvato. L’uomo ha bisogno di una salvezza. Cioè di qualcosa che viene e gli cambi la vita. Naturalmente il messianismo di questi, non è il messianismo dei rabbini che sono in attesa di un Messia che viene a salvare l’uomo da parte di Dio, a nome di Dio, per incarico di Dio. Il messianismo dei nostri pensatori è un messianismo secolare, si realizza nel secolum, si realizza nel mondo, non ha nessun addentellato con il soprannaturale.

Per Marx si realizza nel cambiamento della struttura sociale, per Freud si realizza nel cambiamento della struttura mentale, per Nietzsche si realizza nel cambiamento della struttura culturale dell’uomo occidentale. Per tutti e tre c’è un cambiamento radicale, dalle fondamenta, da realizzare.
Perché il messianismo è diventato secolare? Perché il messianismo si realizza nonostante l’assenza di Dio? Perché il messianismo si realizza nonostante il Messia non sia più l’inviato da Dio? Perché il messianismo non si realizza fuori dal mondo, ma si realizza proprio nel mondo? Perché è un messianismo che rinnega le proprie radici. La radice del messianismo biblico sta nella realtà del peccato originale. Cioè c’è stato un male, e da questo male deriva l’esigenza di essere salvati. Dato che il male (il peccato originale) si è consumato nell’ingiustizia del rapporto fra l’uomo e Dio, cioè nell’incontro fra natura e soprannaturale, anche la salvezza dovrà essere nell’incontro fra la natura e il soprannaturale.
Negando il peccato originale, non c’è più un male da cui l’uomo dev’essere salvato in rapporto con il soprannaturale, perché non c’è più neanche il soprannaturale. Il male allora è nella struttura dell’uomo è intramondano e di conseguenza anche il messianismo, cioè la sua salvezza  e il suo bisogno di un salvatore è dentro il mondo (non può essere fuori dal mondo). Non è cioè un rapporto fra il mondo e l’ultramondano. Tutto si realizza dentro il mondo. Il male è qui e il salvatore è qui, la salvezza è qui. Questo è il messianismo secolare. Ciascuno dei tre, che avevamo già chiamato gli uomini del sospetto, Marx, Freud e Nietzsche, propone la propria ricetta. Di fatto tutti e tre propongono una nuova religione. Perché se c’è un male da cui si deve essere salvati, se c’è l’esigenza di un salvatore, se la proposta ideale, filosofica che viene fatta è di una salvezza e se questa è all’interno del mondo, poco importa, siamo comunque di fronte ad una religione. Marx, Freud e Nietzsche sono i fondatori di una nuova religione.

Più problematico dei tre è proprio Nietzsche perché contesta tutti gli altri accusandoli di togliere un Dio, ma di metterne un altro. Per lui Dio è morto, ma resta morto. Che senso ha una sostituzione! Questa è una cura che è peggiore della malattia. Per tirarci fuori da un male, da un problema, da una paura, per riscattare l’uomo dalla sua condizione di sudditanza gli proponiamo un Dio da adorare. Poco importa che sia un Dio trascendente o un Dio immanente, ideale, utopico dentro la testa dell’uomo. Anche Nietzsche stesso prospetta di fatto una nuova religione, nonostante la sua presa di distanza dagli altri due. Tutti e tre comunque sono i profeti di una salvezza e dunque di una religione. Quale sia la religione fondata da Marx e quella fondata da Freud sono evidenti e già trattate, quella di Nietzsche la prenderemo in considerazione nel prossimo capitolo: Nietzsche e l’oltre-uomo.


Secolarizzazione della vita morale.




 Il “seculum” è il mondo profano. La secolarizzazione è il processo secondo cui il mondo profano acquista la sua autonomia dal sacro. Le discipline umane si rendono autonome dalla religione e acquisiscono metodi propri. I mondi della vita umana – politica, scienza, economia – si rendono “maggiorenni” e si organizzano in autonomia dalla religione. Si dice anche che la secolarizzazione ha prodotto la “laicità”, ossia una sfera di attività umane che vivono di vita propria e di regole proprie senza far più ricorso alla fondazione religiosa.

 Dalla Secolarizzazione della Fede, della Speranza e della Carità (l’Amore di Dio), consegue necessariamente una secolarizzazione della vita morale: giudicare l’agire umano con semplici criteri terreni, respingendo l’orizzonte della Fede.

Perduta la sua unica possibile direzione, l’uomo non può che degenerare nel soggettivismo, in cui pretende di capire sé stesso e il mondo mettendo da parte principi metafisici o antropologici fermi, per rimanere con alcune categorie storiche utilizzate acriticamente: una storia che non guarda al passato o al presente ma solo al futuro.

“… quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare”(“Laudati sì” di Papa Francesco n. 123).

L’affermazione dell’uomo come criterio ultimo e misura del bene e del male, non può non ricordare la tentazione diabolica delle origini: “Diventerete come Dio, conoscerete il bene e il male” (Gn 3, 5). Ma ciò che l’uomo riesce a costruire in questo mondo quando non vuole riconoscere Dio, lo dice lo Spirito Santo attraverso san Paolo, con un vigore impressionante: [21]essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. [22]Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti [23]e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.

[24]Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, [25]poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.

[26]Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. [27]Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. [28]E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, [29]colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, [30]maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, [31]insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. [32]E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa. (Rm 1, 21-32).
Il rifiuto del Signore fa sì che la sapienza si trasformi in stoltezza, che l’ingiustizia dilaghi e che l’essere umano profani il suo stesso corpo mediante l’impurità (perversioni sessuali, sodomia, abusi sessuali di ogni tipo, con infanti, con esseri indifesi, con animali, ecc. sempre più presenti e con tentativi di legalizzarne alcuni). Senza un fondamento trascendente in Dio non si può sostenere con logica l’esistenza di norme morali obiettive ed immutabili. Si precipiterà sempre di più nel relativismo morale, come di fatto avviene. (Tratto da “Carità senza Dio?” pag. 68 ed. ARES Milano.

PROGRAMMA incontri della quarta tappa:

l'eclissi della ragione


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